Mosca si preparava a far guerra al Terzo Reich sognando di giungere sino alle sponde dell’Atlantico. Berlino l’anticipò di un soffio e il disastro che ne seguì fu pagato a caro prezzo da polacchi, baltici, ucraini e finlandesi
.
.
di Augusto Zuliani da Il Domenicale
.
Nei nostri libri storiograficamente corretti – in primis nei testi scolastici – domina ancora la tesi di una pacifica Unione Sovietica proditoriamente aggredita dalla Germania nazionalsocialista. Solo dopo l’implosione del regime di Mosca e l’apertura, parziale, dei suoi archivi, è risultato evidente come anche l’URSS fosse pronta alla guerra. Diversi storici russi e tedeschi – Valerij Danilov, Juri Gorkov, Viktor Suvorov con il suo Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale (trad. it. Spirali, Milano 2000), Joachim Hoffmann (1930-2002) e Werner Maser (1922-2007) – documentano infatti che, attaccando di sorpresa Mosca il 22 giugno 1941, Adolf Hitler anticipò semplicemente di alcune settimane le mosse del rivale. Che le forze sovietiche non fossero attestate sulla difensiva, ma positivamente proiettate a occidente, lo rivelano del resto la catastrofe a cui andarono incontro nei primi giorni di guerra e la politica di sterminio attuata durante il ripiegamento caotico e repentino che ne seguì.
Stalin, Berija e pure Kruscëv
Infatti, dopo l’attacco tedesco scattato il 22 giugno 1941, l’NKVD (Il Commissariato del popolo per gli affari interni) e l’NKGB (il Commissariato del popolo per la sicurezza dello Stato) decisero di eliminare tutti i “nemici del popolo”: e cioè i delinquenti comuni, i lavoratori coatti e i prigionieri politici accusati di “deviazionismo trotzkista” o di “sciovinismo”. Con l’NKVD di Lavrentij P. Berija che si distinse per solerzia, fu in questo quadro che si consumò il tragico crimine perpetrato nella foresta di Katyn e falsamente attribuito ai nazisti.
Chi fosse il vero responsabile dei massacri di prigionieri, lavoratori coatti o semplici civili nonché della distruzione di città intere come Chisinau, capitale della Moldovia data alla fiamme il 18 luglio, o Harkov, in Ucraina, era un interrogativo che si posero addirittura gli stessi comandi tedeschi, perplessi di fronte alle dimensioni di quei fenomeni. Per esempio, in un perplesso rapporto del comando tedesco (citato da Alfred-Maurice de Zayas nell’oramai classico The Wehrmacht War Crimes Bureau, 1939-1945, pubblicato originariamente nel 1979, quindi uscito in sette edizioni rivedute tedesche e quattro statunitensi) si legge: «Non risulta che l’ordine provenga da Stalin».
Del resto, il disfacimento dell’Armata Rossa comportò pure la disgregazione dell’intera struttura socio-economica militarizzata sovietica così che solo il terrore di massa e il controllo ferreo di ogni canale d’informazione impedì il collasso completo del regime. In questo scenario, tutto il potere si concentrò di fatto nei servizi segreti di polizia, ma, anche di principio, le responsabilità politiche degli eccidi ricaddero sull’intera nomenklatura, ivi compreso il Nikita S. Kruscëv; infatti, il futuro “destalinizzatore” prima definì «macellaio dell’Ucraina» il generale Ivan Serov, braccio destro di Berija, poi, dopo la morte di Stalin, ne approvò la nomina alla guida del KGB nel 1954.
Nella Polonia occupata dai sovietici il terrore era pratica corrente; tra il 1939 e il 1941 circa 1,5 milioni di persone vennero arrestate e deportate, e di loro quasi il 90% morì. Inoltre, secondo lo storico statunitense Carroll Quigley (1910-1977), venne ucciso un terzo dei 320mila polacchi catturati come prigionieri di guerra dall’Armata Rossa nel 1939.
Fu poi la volta dei Paesi baltici. Il 24 giugno 1941, a Vilekya, cittadina lettone reinquadrata dai sovietici nella Repubblica di Bielorussia, caddero sotto i colpi dell’NKVD diverse decine di prigionieri politici e molti ufficiali lettoni. Il 9 luglio a Tartu, in Estonia, Paese dove addirittura un terzo della popolazione finì eliminato o deportato, furono uccisi 250 detenuti, poi gettati in fosse comuni. Particolare attenzione venne del resto riservata alla Lituania, a grande maggioranza cattolica: sempre nel giugno 1941, nel carcere di Lukisˇke˙s, costruito nel 1904 dallo zar al centro della capitale Vilnius, gran parte dei detenuti fu liquidata, e tra il 24 e il 25 il “massacro di Rainiai” (dal nome della foresta nei pressi della cittadina di Telsˇiai) costò la vita a una ottantina di prigionieri politici. In quel giugno disgraziato, la prigione di Pravienisˇke˙s, presso Kaunas, vide consumarsi anche il massacro di 260 persone, detenuti politici, certo, ma anche tutto il personale del carcere.
Un’autentica ecatombe
Né il terrore rosso risparmiò la Finlandia, in guerra con l’URSS dal 1941 al 1944: i reparti sovietici entravano infatti regolarmente nel Paese scandinavo e ne massacravano i civili con una efferatezza documentata dalle fotografie rese pubbliche dal governo di Helsinki solo nel novembre 2006.
Più a sud, in Bielorussia, le carneficine assunsero dimensioni ancora maggiori: il 22 giugno 1941 a Grodno si contarono oltre 1700 vittime, il 24 a Berezwecz, nei pressi della cittadina di Vitebsk, i morti furono 800 (tra cui numerosi polacchi), altre migliaia di persone perirono durante le marce forzate verso est e la medesima sorte toccò alle migliaia che tra il 24 e il 27 del mese furono ancora oggetto della repressione sovietica a Chervyen, nei pressi di Minsk.
In Ucraina lo sterminio colpì soprattutto le regioni occidentali, dove forte era la presenza della Chiesa cattolica di rito greco: tra il 23 e il 30 giugno a Leopoli vennero uccisi 4mila prigionieri, epperò ancora il 5 settembre 1959 il giornale comunista locale, Radianska Ukraina, attribuiva il massacro ai “fascisti hitleriani”. Altre numerose vittime (tra le 1500 e le 4mila) furono mietute a Lutsk, quindi a Berezhany, presso Tarnopoli, tra il 22 giugno e il 1° luglio caddero 300 polacchi e molti ucraini, quindi a Vinnitsa, dove i massacrati furono 9mila. A Dubno furono uccisi tutti i prigionieri compresi donne e bambini, a Sambir si contarono 570 morti, a Simferopol, in Crimea, il 31 ottobre 1941 decine di persone vennero massacrate nella locale prigione o nei locali dell’NKVD e così avvenne pure a Jalta il 4 novembre.
Molte delle fosse comuni in cui i sovietici gettarono sommariamente i prigionieri assassinati furono scoperte dai tedeschi nel 1943, i quali invitarono immediatamente una commissione internazionale a visitarle per fare luce. Eppure quanto accadde in Ucraina venne reso noto solo dopo il 1988.
In generale, gli stermini erano motivati dal timore che le popolazioni non russe, una volta liberate dal giogo di Mosca, si schierassero con i tedeschi, cosa che peraltro spesso avvenne e spesso in mera funzione anticomunista e patriottica. Vi erano però, da parte sovietica, anche motivazioni squisitamente ideologiche. Nei pressi di Orel, per esempio, una città della Russia sud-occidentale, nel settembre 1941 vennero fucilati oltre 150 prigionieri politici e tra questi alcuni bolscevichi della prima ora poi considerati “antipartito”.
La memoria, cortissima
Eppure la verità sulle stragi rosse “dimenticate” fu nota prestissimo.Tra i primi a parlarne vi fu infatti nientemeno che Victor Kravcenko, alto funzionario sovietico riparato negli Stati Uniti nel 1944, il quale nel libro Ho scelto la libertà (trad. it., Longanesi, Milano 1948) scrisse: «Eravamo in parecchi al Sovnarkom [Consiglio dei ministri] a sapere che, più volte, i prigionieri (dei gulag e campi di lavoro ) che non si potevano evacuare venivano fucilati in massa. Ciò avvenne per esempio a Minsk, a Smolensk, a Kiev, a Karkov, nella mia città natale di Dniepropetrovsk e a Zaparozhe […]. Nel kombinat per lavorare il molibdeno, a Nalcik nella Kabardino-Balkaria, Nord-Caucaso, tutti i lavoratori coatti uomini e donne furono uccisi dal NKVD prima dell’arrivo dei tedeschi». Com’è possibile che di tutto questo sangue innocente non vi sia sostanzialmente più memoria?
Augusto Zuliani
Inserito su www.storiainrete.com il 5 maggio 2009
_____________________
Storia in Rete ha dedicato alle stragi di Katyn l’articolo d’apertura del numero 41 (marzo 2009)
e l’articolo di Michele Rallo “Chi ha paura del polacco cattivo?” su Storia in Rete numero 42 (aprile 2009)
Ho letto un libro di Paul Carell scritto vari anni fa, sull’operazione Barbarossa,
dice che furono sorpresi di trovare l’esercito Russo schierato in maniera non adatta alla difesa, ma più ad un imminente attacco. probabilmente non è campata in aria l’idea che Hitler anticipo l’attacco che sarebbe venuto dall’ est.
Caro Angelo,
l’idea non è affatto campata per aria. Anzi. E’è al centro di un interessantissimo saggio che ti consigliamo: Viktor Suvorov, “Hitler, Stalin e la rivoluzione bolscevica mondiale” (Spirali). Un digesto dello stesso è stato fatto da Stefano Fabei in “Operazione Barbarossa” (Mursia).
Non esistono prove di questo ma solo teorie e dicerie, non esiste alcun documento attestante l’idea di un attacco imminente da nessuna parte, a parte un promemoria di Zhukov che parlava della possibilità di stilare un piano per un attacco preventivo (ma del resto anche gli americani durante la guerra fredda avevano piani per un attacco preventivo all’URSS il fatto che non lo abbiano fatto prova che l’esistenza di un piano non implica necessariamente la sua attuazione, nel 1941, l’Armata Rossa era nel pieno della sua riorganizzazione, i nuovi carri stavano uscendo dalle fabbriche (i T34 e i KV 1 superiori a tutto quello che i tedeschi potevano mettere in campo, e non erano ancora entrate in servizio le armi leggere di nuova concezione (PPsh 41) sarebbe stato un vero suicidio attaccare nel 1941 e Stalin e l’ato comando sovietico lo sapevano fin troppo bene, i piani prevedevano che la riorganizzazione sarebbe stata ultimata non prima del 1942 se non nel 1943 parlare di un attacco prima di allora è sempluicemente assurdo.
Piccolo appunto gli americani mandarono ai sovietici pochissime armi personali (circa 150.000 Thompson e 1 dicesi 1 garand) e diverse migliaia di carri, così come gli inglesi, ma non erano affatto apprezzati dai russi che soprannominarono il Grant la “tomba per i fratelli” il contributo americano fu fondamentale nei trasporti (willys e studebaker) e nelle materie prima, dire che i russi erano inferiori negli armamenti prima dell’arrivo degli aiuti usa è errato, come detto dei carri lo stesso vale anche per il PPsh 41 o per lSVT 40 tokarev che quando potevano i tedeschi prendevano subito e riutilizzavano.
Consiglio la lettura dei libri di Glantz e di Erickson i due massimi esperti sulla guerra sul fronte orintale
Sull’argomento Glantz e Erickson sono un pò datati o non trattano proprio la questione specifica (pur essendo validi testi di riferimento).
Da consultare invece:
V. Suvorov, Chief Culprit: Stalin’s Grand Design to Start World War II e Icebreaker: Who Started the Second World War?
In inglese e tedesco vi è una ampia letteratura sulla questione (cfr. Stalin’s Other War: Soviet Grand Strategy, 1939-1941 di Albert Weeks, Hitler: Stalin’s Stooge di Edwards…) in italiano ben poco, ma non per questo dobbiamo limitarci ai soli Glantz e Erickson. 😉
Ritengo piuttosto ingenuo affermare che non esistano prove documentali che testimonino piani di aggressione dell’Europa da parte dell’URSS alla fine degli anni ’30.
E’ presumibile che molti di tali documenti furono sicuramente eliminati dal Cremlino quando l’esercito tedesco era in prossimità di Mosca, nell’inverno 1941, quando molti funzionari e burocrati lasciarono la capitale.
Esistono, tuttavia, documenti accertati che testimoniano la forte determinazione di Stalin e dell’URSS di ampliare le proprie “sfere di interesse” in direzione del baltico e dell’Europa dell’Est. Mi riferisco, ovviamente, ai protocolli segreti del patto Ribbentrop-Molotov sui Paesi Baltici (in seguito aggrediti ed annessi all’URSS) ed ai colloqui fra Molotov e Hitler sulle sfere di competenza nei balcani che fecero infuriare quest’ultimo e, a mio avviso, lo convinsero ancora di più delle sue intenzioni di aggredire l’URSS.
Infine, basta dare un’occhiata alla mappa startegica del confine russo tedesco nel 1941 per notare le centinaia di divisioni dell’Armata Rossa schierate ad occidente della Linea Stalin, a ridosso del nuovo confine russo-tedesco.
Una Nazione che teme di essere aggredita non disloca il grosso delle proprie forze in aree non fortificate come accadde il 22 Giugno 1941.
Probabilmente l’Armata Rossa non era ancora pronta per una campagna ad occidente e ciò è testimoniato dalla sua pessima prestazione contro la Finlandia, tuttavia, quanto esposto lascia supporre che i piani di Stalin includevano probabilmente l’Europa e l’Oceano Atlantico.
Tali piani furono probabilmente sconvolti anche dalla rapidità con la quale la Wehrmacht liquidò la Polonia nel 1939 e Francia e Gran Bretagna l’anno successivo; il che sicuramente convinse Stalin a posticipare una possibile invasione dell’Europa orientale e centrale fino al riassetto dell’Armata Rossa, pesantemente menomata nei comandi dalle purghe e con un parco veicoli gigantesco ma drammaticamante obsoleto nel 1941.