di Cesare Maffi da ItaliaOggi del 10 gennaio 2023
Il quadro più celebre al mondo è senz’altro la Gioconda. In Italia, però, il capolavoro leonardiano è inteso sottratto alla penisola e portato fraudolentemente in Francia. Sovente il nome indicato per la spoliazione è Napoleone. In verità, fu lo stesso Leonardo a donare a re Francesco I la Gioconda, che in Italia giunse solo nel 1911, trafugata da un ladro che appunto la riteneva di proprietà nostrana. Il quadro venne esposto e poi restituito due anni dopo, con vasto interesse nella comunicazione (Gabriele d’Annunzio scrisse L’uomo che rubò la Gioconda).
Di là della comune credenza, o credulità, a proposito del capolavoro, rimane che enormi spoliazioni furono operate in Italia negli anni successivi alla Rivoluzione del 1789, sia dai giacobini sia dall’avidità di Napoleone, il quale favorì la nascita del Louvre come immenso museo di raccolta d’arte, caotica più che mai. Il volume testé uscito per la penna di Giorgio Cavallo costituisce un’accurata disanima delle sottrazioni esercitate per lustri ai danni di quadri, specie pale d’altare, sculture, manoscritti, monete, affreschi, medaglie, archivi … Nobili e diocesi, conventi e abbazie, illustri proprietari e castellani, furono privati di un immenso patrimonio culturale, non di rado dietro individuazione da parte di commissari francesi, preposti a quelli che erano autentici furti. Non mancarono le sottrazioni messe nero su bianco nei trattati di pace, quale pagamento delle spese di guerra e, di fatto, bottino nelle mani dei francesi vincitori.
Napoleone intendeva costituire il museo per eccellenza, la più vasta raccolta di opere d’arte di qualsiasi genere, tanto che il Louvre fu ribattezzato Musée Napoléon. Replicò le collezioni principesche, elevando la Repubblica al sommo grado di prestigio che ebbero le signorie italiane o la stessa corona francese. Voleva creare un’enciclopedia dell’arte, divenuta infine una pura ostentazione. Migliaia di opere d’arte, cedute all’asta per pochi spiccioli, favorirono mercanti e antiquari: si diede così vita al mercato antiquario moderno, dedicato non più soltanto a ricchi collezionisti, nobili, membri del clero, ma pure a persone comuni.
Questa sorta di democratizzazione dell’arte, di conoscenza più estesa, non era nuova, perché altri grandi musei erano già sorti. Cavallo ricorda i Musei Capitolini, costituiti nel 1734 per volere di Clemente XII. Anna Luisa de’ Medici, ultima della grande dinastia, donò ai Lorena, succeduti in Firenze, il nucleo costitutivo degli Uffizi, nati nel 1737, con l’impegno che la raccolta restasse nella città toscana. Nel 1777 Ferdinando IV istituì il Real Museo Borbonico, oggi Museo Archeologico Nazionale (in questi giorni il ministro Gennaro Sangiuliano ne prevede un ampliamento, nell’immenso Albergo dei poveri).
Con il Musée Napoléon le opere d’arte, prima conservate da famiglie aristocratiche o da sovrani e papi, venivano apprezzate da un vasto pubblico. Si perdevano, tuttavia, quelli che si possono definire valori fondanti, specie per le opere religiose, nate come icone in luoghi di culto. Come la Madonna del Parto, di Piero della Francesca, venerata per secoli nel cimitero di Monterchi specie dalle donne incinte. A tutt’oggi la conservazione dell’affresco, in uno speciale museo, è contestata fra più enti, sempre restando sullo sfondo la fede delle partorienti nei dintorni.
Tornando alle spoliazioni francesi, per comprenderne l’estensione basta un breve cenno ad alcuni degli autori depredati: Raffaello, Rubens, Giorgione, Jan Bruegel il Vecchio, Correggio, Giulio Romano, Tiziano, Cimabue, Beato Angelico, Filippino Lippi … Sono stati tentati dei numeri, che risultano impressionanti: sarebbero stati ben 5.233 gli oggetti d’arte sottratti. Le restituzioni? Furono parziali. Basti dire che il più competente fra quanti si occuparono del ritorno a casa dei beni rubati, cioè Antonio Canova, riuscì a riavere la consegna di 249 opere d’arte per il papa, mentre 248 rimasero in Francia e 8 furono dichiarate disperse. Merita un cenno Venezia. L’immensa tela delle Nozze di Cana di Paolo Veronese è tuttora al Louvre, mentre a S. Giorgio Maggiore è visibile una copia. Sono invece tornati in S. Marco i quattro Cavalli, a loro volta sottratti del 1204 a Bisanzio.