Dicono che sia la nuova Hannah Arendt. Quando glielo dico, non si scompone. Al contrario, rilancia. «Alla Arendt contesto il fatto di non essere andata alla radice del problema del genocidio». E quale sarebbe questa radice? «Il protagorismo di Cartesio».
di Davide Brullo da il Giornale del 09/08/2018
Questa me la spiega dopo. «No. Gliela spiego subito. Con un esempio». Prego. «Ricorderà il caso di Bruce Jenner, campione olimpico di decathlon, che un giorno ha detto al mondo di sentirsi donna. Io, francamente, mi sono sentita offesa. Cosa significa sentirsi donna’ per Jenner? Ha mai avuto delle mestruazioni? Ecco: oggi conta solo quello che pensi, non quello che sei. Se pensi di essere una donna, allora lo sei. Ma pensare una cosa non è essere quella cosa, perché l’uomo ecco il protagorismo non è misura di tutte le cose». Siobhan Nash-Marshall insegna filosofia al Manhattanville College di New York, parla perfettamente in italiano d’altronde, si è perfezionata, accademicamente, all’Università di Padova e alla Cattolica di Milano è tradotta in Italia (da Vita e Pensiero, La ricettività dell’intelletto), il suo ultimo libro, The Sins of the Fathers. Turkish Denialism and the Armenian Genocide (The Crossroad Publishing Company, pagg. 250, $24.95; prossimamente in Italia per Guerini), il primo di una trilogia dedicata al «Tradimento della Filosofia», è stato accostato, per ampiezza d’intenti, alla Banalità del male della Arendt. Fermo la Nash-Marshall a Padova, è ospite di Antonia Arslan, la scrittrice de La masseria delle allodole, di cui sta traducendo, in inglese, Il libro di Mush. A leggere commenti e rassegna stampa, The Sins of the Fathers è il massimo contributo filosofico sul genocidio armeno, che diventa, agli occhi dell’autrice, l’emblema della crisi del pensiero occidentale.
Sin dalla prima pagina lei è perentoria: «la filosofia ha avuto un ruolo cruciale nel genocidio armeno e nel negazionismo turco la filosofia ha le mani sporche di sangue». Cosa significa?
«Illuminismo cartesiano. Ecco cosa significa. Dividere il mondo della ragione da quello materiale, il mondo dell’esperienza da quello del pensiero. Penso dunque sono. L’approccio di Cartesio è devastante congiunto all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese, quando la filosofia cessa di essere amore della sapienza ma progetto demiurgico per cambiare il mondo. Fichte, Herder, Bentham, Hegel, Marx: il pensiero dell’Ottocento ad eccezione di Antonio Rosmini ha come scopo precipuo quello di rendere perfetto il mondo. Il genocidio, allora, è giustificato, terribilmente, da una specifica visione del mondo».
E questo come si lega al genocidio armeno?
«Dai primi decenni dell’Ottocento, dopo la rivendicazione dell’indipendenza della Grecia, l’Impero Ottomano ha come problema, come incubo dominante, la costruzione di una identità propria, turca. L’Armenia è un ostacolo alla creazione del vatan, della patria. Se il vatan esiste, l’Armenia deve essere annientata. Bisogna considerare che i Giovani Turchi, responsabili del genocidio armeno, sono indottrinati dalla filosofia ottocentesca. Credono di avere diritto anche loro a costruire un mondo a immagine e somiglianza della propria idea».
Quando inizia il genocidio?
«I primi stermini cominciano dal 1908, ma tutto ha inizio nel 1878, in seguito al Congresso di Berlino che rettifica la pace di Santo Stefano siglata dalla Russia, vincitrice sull’Impero Ottomano. I Balcani entrano sotto orbita russa ed europea, l’Armenia ottiene alcune concessioni e la promessa di riforme mai attuate. Le testimonianze del console inglese Fitzmaurice, che recensisce i massacri ai danni degli armeni orditi dal sultano Abdul Hamid II, e svariate lettere, dal 1878 al 1915, ai governi francesi e inglesi, dimostrano che l’Europa era a conoscenza di ciò che stava accadendo al popolo armeno. Ma per realpolitik non fece nulla. Soltanto Benedetto XV tentò di evitare il genocidio».
Contro gli armeni si è agito con accanimento: perché davano così fastidio?
«Se vogliamo essere mistici, le direi: perché l’Armenia è stata la prima nazione cristiana. Le ragioni storiche, però, risalgono al 1717, quando il doge di Venezia cede l’isola di San Lazzaro agli armeni, e l’abate Mechitar vi redige la prima grammatica dell’armeno parlato, volgare. Comincia da lì un profondo lavoro sull’educazione che porterà l’Armenia, nei primi anni del ‘900, ad avere una alfabetizzazione pressoché completa, risultato all’epoca non ancora raggiunto nel resto dell’Occidente. Questa grande fioritura culturale fa sì che nel 1915 l’80% circa dell’economia ottomana fosse in mano cristiana. Questo infastidiva i Giovani Turchi».
Lei scrive, studiando i censimenti, che «circa 3,7 milioni di cristiani, il 74% della popolazione dell’Anatolia e delle provincie orientali, sono state eliminate uccise, o deportate in quegli anni», tra il 1914 e il 1927. Cosa sappiamo riguardo ai numeri del genocidio?
«Cosa sappiamo riguardo ai morti nei Gulag stalinisti? Cosa sappiamo dei morti durante la marcia di Mao? Pressoché nulla. Censimenti e statistiche fanno parte della lotta politica: possiamo solo supporre delle cifre. Il censimento in Turchia, poi, avveniva per fede religiosa: tra musulmani e cristiani. La vera domanda, piuttosto, è: chi sono davvero i turchi? In cosa si riconoscono? In quale identità culturale? La verità è che la Turchia, ieri come oggi, è un mosaico».
Hitler prese a modello l’efficienza turca nel gestire il genocidio armeno, replicando il metodo…
«Va detto che la politica antiarmena, in Germania, comincia nel tardo Ottocento, quando una massiccia pubblicistica mostra l’armeno come l’ebreo d’Oriente, come il virus. La Germania aveva mire espansionistiche verso l’Impero Ottomano e interesse nel dileggiare gli armeni. Quanto a Hitler, certo, vede nel genocidio armeno una possibilità realizzata. Se i Turchi ce l’avevano fatta, anche Hitler, allora, avrebbe potuto compiere gli stessi orrori senza particolari pericoli. Le analogie sono agghiaccianti: anche nel nazismo, ad esempio, ha un peso il motivo biologico già cavalcato dai Giovani Turchi, in era di darwinismo rampante.
A suo avviso il negazionismo turco esemplifica l’epoca della post-verità…
«Per Erdogan negare il genocidio armeno è essenziale all’identità turca: dovesse riconoscere la realtà dei fatti, sarebbe la fine del suo governo e la disgregazione della Turchia. Non contano i fatti, ma le intenzioni, il mondo concreto non ha rilevanza: ecco l’illuminismo cartesiano! Il problema, piuttosto, è l’Europa, sono gli Stati Uniti, a cui non importa più di vivere in una situazione contraria alla verità».