Accetto la sfida del romanzo di Alessandro De Nicola (Il Ducetto, Rubbettino) e cerco di rispondere sommariamente alla domanda: e se Mussolini non fosse entrato in guerra?
di Marco Gervasoni da HuffPost Italia del 23 novembre 2023
Per tanti decenni, nell’Italia repubblicana, è circolata un’interpretazione del fascismo, secondo cui il regime sarebbe stato solido, sano e ricco di consenso, insomma amato dagli italiani e che l’unico, o il più grave, errore di Benito Mussolini, fu quello di entrare in guerra a fianco di Adolf Hitler. Era una interpretazione a-fascista: né antifascista, né nostalgica. Ma noi preferiamo chiamarla folkloristica, perché non ha mai avuto successo nella storiografia vera, a cominciare da quella di Renzo De Felice e dei suoi allievi, ma è invece circolata a livello popolare, come attestano anche le copie di vendita della Storia d’Italia di Indro Montanelli, che tale “interpretazione” proponeva.
Insomma le élite la snobbavano, l’”italiano vero” ci ha creduto. Parliamo al passato, ma non siamo proprio certi che tale visione a-fascista sia assente oggi in alte cariche istituzionali, in ministri, e in giornalisti televisivi di lungo corso che amano anche pubblicare libri di storia, a gran tiratura? Insomma, come il personaggio interpretato da Ettore Petrolini in Gastone, anche Mussolini avrebbe potuto dire “a me m’ha rovinato la guera”. Eppure nessuno storico ha mai preso sul serio l’ipotesi controfattuale: e se l’Italia fosse rimasta fuori dal conflitto? E non perché, come si crede volgarmente, la storia non si faccia con i se: la storia si fa soprattutto con i se, cioè con l’interpretazione, altrimenti sarebbe solo cronaca.
Ma, al di là dell’inciso crociano, esiste da tempo un genere chiamato appunto storia controfattuale: se non fosse scoppiata la prima guerra mondiale, se gli Usa non fossero entrati nella Seconda, se la guerra fredda l’avesse vinta l’Urss e cosi via. Evidentemente da noi il fascismo è considerato ancora così tabù da non consentire queste libertà. Che invece si prende, per scrivere un romanzo (Il Ducetto, Rubbettino, 18 euro) Alessandro De Nicola, avvocato, noto editorialista nonché cultore di Adam Smith. Non solo Smith, evidentemente, perché in questo romanzo egli dimostra una profonda conoscenza del fascismo, cioè della sua storiografia, memorialistica e mitografia. Il romanzo di De Nicola parte proprio da qui: Mussolini non entrò in guerra, grazie a concessioni di Churchill, morì nel 1948 e il romanzo si apre con il tentativo del suo successore, Galeazzo Ciano, di liberalizzare il regime fascista. Tentativo che trova contro di lui sia la vecchia ala intransigente dei Pavolini, dei Farinacci e degli Evola, sia l’antifascismo comunista che, da Parigi, muove le fila per attentare alla vita di Ciano: a Mosca faceva comodo che il regime restasse fascista per impedire l’alleanza con gli americani.
Siamo quindi a un incrocio tra il romanzo fantastorico distopico – tipo Non può accadere qui di Sinclair rischia di eleggere un presidente fascista (e il rischio rimane anche oggi) – e la spy story. Non vogliamo rovinare il piacere del plot al lettore anticipando come va a finire, proprio perché il libro è godibilissimo, soprattutto nella pittura dei personaggi storici realmente esistiti (Ciano, Grandi, Bottai) descritti in azione in un contesto, quello dell’Italia degli anni Cinquanta che si era comunque modernizzato e americanizzato – la Coca Cola è ovunque. Ovviamente, come in ogni romanzo storico, sia pure fantastorico, si sovrappongono umori e passioni proprie di altre epoche successive; quelle del terrorismo degli anni Settanta, e quella attuale. Alcuni personaggi del regime parlano e si muovono infatti in maniera non molto diversa da alcuni ministri dell’attuale governo, anche se non sappiamo se l’autore li avesse presenti quando ha scritto quelle pagine.
Vogliamo però accettare la sfida e cercare di rispondere sommariamente alla domanda: e se Mussolini non fosse entrato in guerra? Ma prima, una doverosa premessa: nonostante la visione folkloristica, la storia non è fatta dagli individui e dalle loro scelte, ma è assai spesso, anzi quasi sempre, determinata da strutture che li travalicano: ecologico-ambientali, economiche, sociali, antropologiche, ideologiche, emotive, psicologiche; e anche quando gli individui sono convinti di agire in autonomia, la loro psiche e il loro inconscio li portano in una direzione assai diversa da quella voluta. Era comunque impossibile che l’Italia non entrasse in guerra: è vero che, come hanno documentato De Felice e poi non pochi storici delle relazioni internazionali, fino all’ultimo, cioè alla dichiarazione di guerra, Mussolini mercanteggiò con Francia e Inghilterra: ma solo per guadagnare tempo e per ottenere parecchio, quasi come Giovanni Giolitti alla vigilia della prima guerra mondiale. Ma la scelta era stata già presa anni prima: era tutto il regime, con i suoi miti, la sua propaganda, le sue emozioni, che spingeva verso la guerra, una guerra ideologica contro la plutocrazia (cioè il capitalismo) anglo americano e contro la democrazia liberale. Senza contare che, per la sua posizione geopolitica, l’Italia non è mai riuscita a sottrarsi ai grandi conflitti intraeuropei e poi mondiali, e dalla caduta dell’Impero romano è sempre stata regolarmente invasa.
Quanto al regime fascista, alla fine degli anni Trenta era in seria difficoltà sotto ogni punto di vista e l’entrata in guerra, considerata da Mussolini una passeggiata da cui trarre una facile vittoria grazie alle truppe tedesche, lo avrebbero fortificato e avrebbe permesso di eliminare gli unici due poteri non assorbiti dal totalitarismo del PNF: la monarchia e la Chiesa. Partito nazionale fascista che era tuttavia un organismo vuoto e fragile, come si sarebbe visto nel luglio 1943, quando crollò nel giro di poche ore. Ma se proprio Mussolini non fosse entrato in guerra, il regime sarebbe sopravvissuto, tipo quello franchista? Probabilmente no, sia per la sua fragilità, sia per la posizione geopolitica dell’Italia. Diventare un regime “fascista democratico” era altrettanto impossibile, come del resto si vede anche alla fine del libro di De Nicola, perché un fascista non può essere liberale e democratico – e la concezione folklorista del fascismo (il suo più grave errore, la guerra) era insomma una gran baggianata, e lo è ancora più oggi.