HomeXX secoloI Nazionalbolscevichi: l’alternativa (fallita) a Hitler

I Nazionalbolscevichi: l’alternativa (fallita) a Hitler

Fra le due guerre mondiali i filoni del socialismo nazionale tedesco cercarono di riunirsi per combattere a un tempo il capitalismo e l’internazionalismo marxista, ma anche il movimento völkisch, violentemente pangermanista. Nell’incapacità dei comunisti tedeschi di concepire una seria alleanza con i nazionalbolscevichi covò il germe dell’ascesa di Adolf Hitler e del suo “sfondamento a sinistra”. Ottenuto il quale, la strada verso il potere risultò spianata. E per i rivali di Hitler il destino fu segnato. Come racconta un saggio di cui “Storia in Rete” anticipa un passo

di Michelangelo Ingrassia da Storia in Rete n. 78

Nel momento culminante della storia tedesca la sinistra nazionale, socialista e prussiana, tenterà di fermare l’agguerrita ascesa del pangermanesimo e del movimento völkisch, che avevano trovato nel nazionalsocialismo hitleriano la loro forza d’assalto, ingaggiando una lotta su due fronti: uno esterno e l’altro interno alla fortezza nazionalsocialista. Ad attaccare dall’esterno, proponendosi come alternativa al nazionalsocialismo, è il nazionalbolscevismo; a dare battaglia dall’interno, contro la conquista del Partito da parte di Hitler, è la sinistra nazionalsocialista. Ambedue rappresentano così le due facce di quella sinistra nazionale che dopo avere strenuamente lottato contro il marxismo, ora vuole liberare il futuro tedesco dalla gravosa ipoteca di Weimar e dall’incombente pericolo hitleriano. La Germania “immensa e rossa” che nell’Ottocento aveva cercato una via nazionale al socialismo, adesso, nel Novecento, finita la Grande guerra, di fronte allo storico evento della rivoluzione bolscevica che sconvolge il mondo, tenta di trovare una via tedesca al bolscevismo. Si tratta di legare socialismo e bolscevismo allo Stato e alla nazione; il nemico da abbattere è il capitalismo; la cultura da sconfiggere è il pangermanesimo; l’ostacolo da superare è il marxismo. La lunga marcia della Germania “immensa e rossa”, iniziata con il socialismo nazionale, prosegue coerentemente con il nazionalbolscevismo e termina tragicamente con la sinistra nazionalsocialista, che all’interno del Partito tenta di demolire il blocco pangermanico e völkisch cementato da Hitler. Sono, queste, le tre tappe del lungo viaggio compiuto dalla sinistra nazionale nella storia tedesca.

La sinistra nazionalsocialista. Una mancata alternativa a Hitler - Michelangelo Ingrassia - copertina
Le fallite alternative di sinistra
al Nazismo sono descritte
da Michelangelo Ingrassia in
«La sinistra nazionalsocialista»
(Cantagalli, pp. 136, € 12,00 –
www.edizionicantagalli.com)

Negli anni decisivi del primo dopoguerra, quando la Germania è sull’orlo del precipizio, la sinistra nazionale si ritroverà a combattere in solitudine. Non avrà il sostegno della socialdemocrazia, disperata mente aggrappata alle sorti della vacillante repubblica di Weimar, e neppure del partito comunista, intransigentemente legato ai miti storici dell’internazionalismo e del classismo marxisti. Il progetto di una terza via tedesca, alternativa alla repubblica weimariana e al nazionalsocialismo hitleriano, naufragherà nel mare delle utopie risucchiate dai gorghi della storia. Quella terza via socialista e prussiana indicata dalla sinistra nazionale non verrà creduta dai socialdemocratici e neppure dai comunisti. Sarà facile, per il nazionalsocialismo hitleriano, frantumare una sinistra spaccata, incapace di costruire quella sintesi ardita che la necessità dell’ora imponeva. Nel tempo dell’estremo combattimento i motivi ispiratori della sinistra nazionale, già condivisi dalla rivoluzione conservatrice, rivivranno nell’instancabile opera dei due ex esponenti della socialdemocrazia tedesca: il leader del nazionalbolscevismo Ernst Niekisch e l’ideologo della sinistra nazionalsocialista Otto Strasser. Ma mentre il primo tenta di organizzare il “socialismo prussiano” in forma politica autonoma, l’altro è convinto di poter trasformare il partito nazionalsocialista nello strumento invincibile di quello che Marx ed Engels avevano chiamato con maligna ironia il “vero” socialismo tedesco. Il destino della Germania “immensa e rossa” è inesorabilmente legato alle sorti di questa guerra di uomini e idee combattuta su due fronti. In Ernst Niekisch, così come in Arthur Moeller van den Bruck, «si agitava una animosità antioccidentale e antiborghese insieme con una simpatia per i sovietici e in generale per i russi e gli slavi». Di lui ha lasciato scritto Ernst Jünger: «Sotto la sua egida la guerra con la Russia non ci sarebbe stata, né  si sarebbe mai arrivati alle atrocità contro gli ebrei, che ci pongono contro tutto l’universo». Jünger, le cui simpatie a Weimar, piuttosto che ai nazionalsocialisti, vanno ai nazionalbolscevichi, condivideva con Niekisch il tentativo di “riunire in una audace sintesi le due manifestazioni più violentemente antiliberali: il nazionalismo esasperato e il socialismo antidemocratico del partito unico con l’avanguardia operaia leninista”.

In questi pochi riferimenti vi è già l’essenza del nazionalbolscevismo: il socialismo prussiano di Spengler, il nazionalismo proletario di Moeller, il perseguimento di un fronte unico russo-tedesco contro l’imperialismo occidentale di Niekisch. Sintesi di uomini e idee. Gli ex socialdemocratici Otto Strasser, Karl Otto Paetel, Friedrich Lenz, Ernst Niekisch, gli ex comunisti Wolffheim e Laufenberg, i giovani del Circolo Hofgeismar della Gioventù socialista, il sindacalista August Winning, appartengono tutti a quella schiera di socialisti che “avevano avuto modo di constatare come, nella Russia sovietica, si fosse verificato un abbandono degli interessi internazionalistici in nome di una maggiore attenzione per i problemi d’ordine nazionale. Agli occhi di costoro, ma soprattutto a quelli di certi nazionalisti tedeschi, pareva che il bolscevismo sovietico avesse saputo con successo combinare gli aspetti essenziali di un fervente nazionalismo con l’utilitarismo socialista”. A questo raggruppamento umano che si organizza politicamente attorno all’idea del nazionalbolscevismo guardano gli esponenti della rivoluzione conservatrice dopo la drammatica uscita di scena di Moeller. Uomini come Ernst Jünger, Ernst von Salomon, Carl Schmitt, Martin Heidegger, Werner Sombart, Oswald Spengler divengono osservatori illuminati del movimento nazionalbolscevico e si collocano in quest’area già contigua a quella della Konservative Revolution. Certo, con percorsi e soprattutto con esiti diversi. A cose fatte, quando Hitler ha ormai afferrato a piene mani le leve del potere “il nazionalsocialismo costituisce il discrimine, grandioso e tragico, tra i due giganti della Rivoluzione conservatrice, Jünger, che aveva contribuito al disfacimento della democrazia parlamentare di Weimar, si pone immediatamente fuori dal regime, occupando una posizione di resistenza […] Schmitt invece divenne, almeno fino al 1936, il principale giurista del Terzo Reich, ricoprì incarichi prestigiosi e ricevette onori e onorificenze, finché nel 1936 non venne attaccato brutalmente dal potente organo delle Ss «Das schwarze Korps» (Il corpo nero) che si era specializzato a scovare gli intellettuali in odore di eresia”.

La medesima sorte subiranno Heidegger, Sombart e Gottfried Benn mentre von Salomon, come Jünger e Stefan George, che si erano rifiutati di aderire al movimento nazionalsocialista, si terranno alla larga pure dal regime hitleriano con la sola eccezione dell’ex socialdemocratico Otto Strasser. La lotta antioccidentale, antiliberale, anticapitalista dei rivoluzionari-conservatori e dei socialisti nazionali rimasti estranei alla Nsdap, continua invece dalla trincea del nazionalbolscevismo, che trova in Ernst Niekisch il proprio alfiere7. Uscito dalla Spd, Niekisch fonda nel 1926 una rivista significativamente chiamata «Der Widerstand. Zeitschrift für nationalrevolutionäre Politik» (La Resistenza. Scritti per una politica nazionalrivoluzionaria). Il nome scelto per il periodico riassume il programma politico della battaglia nazionalbolscevica: resistere per difendere l’indipendenza economica e la libertà politica della Germania; per sconfiggere il sistema capitalista e liberale di Weimar, che per Niekisch è sottoposto al dominio delle potenze occidentali attraverso il trattato di Versailles. Ed a legare i due sistemi è quella borghesia trasversalmente organizzata all’interno dei partiti e delle istituzioni della repubblica. Naturalmente, agli occhi di Niekisch, anche «il nazionalsocialismo, prima del 1933, non sembrava abbastanza radicale nella sua lotta contro l’Occidente e Versailles». Un’osservazione che non va fraintesa dal momento che il leader del nazionalbolscevismo, dopo il 1933, considererà il nazionalsocialismo una catastrofe. (…) Intanto «La Resistenza» riscuote ampio successo presso la società civile tedesca. Ad essa approdano numerosi ex socialdemocratici e sindacalisti come Karl Otto Paetel ed August Winning, e numerosi rappresentanti di quel mondo rivoluzionarioconservatore come i fratelli Friedrich Georg ed Ernst Jünger (…).

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Questa frenetica attività, segnata dalle numerose conferenze che Niekisch svolge in ogni parte della Germania, subisce una battuta d’arresto nel 1928, quando le elezioni che si svolgono in quell’anno decretano una cocente sconfitta dell’Asp, mandando in frantumi il progetto di costruire un vero e proprio partito nazionalbolscevico. (…) Le speranze del leader nazionalbolscevico si infransero ben presto contro gli scogli della realpolitik. Quando il capo comunista Neumann rivolse un appello ai nazionalsocialisti contro la guerra fratricida, nel quale emergevano anche punte di antisemitismo, Niekisch capì che quella dei comunisti era una posizione tattica finalizzata semplicemente a contenere l’ascesa nazionalsocialista tra le masse popolari. (…)  Così Niekisch rimase incredibilmente il profeta inascoltato della sinistra tedesca; di una sinistra, cioè, che più di ogni altra in Europa poteva dirsi “nazionale” essendo stata, fin dagli albori, sostenitrice del primato dello Stato e decisa avversaria dell’internazionalismo marxista. Seguendo le orme lasciate nella storia da questa sinistra, riannodandone il filo rosso che l’aveva legata alla rivoluzione conservatrice, Niekisch inutilmente aveva rappresentato l’esigenza politica di promuovere un grande movimento rivoluzionario capace di coniugare anticapitalismo, socialismo e nazione, assegnando alla Germania un nuovo ruolo storico.

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