Nell’estate del 1914, per ordine di Nicola II, venne formata la divisione di cavalleria caucasica che entrò nella Storia con il nome di “Divisione Selvaggia”. I suoi audaci combattenti terrorizzarono il nemico e combatterono valorosamente sui fronti della Prima guerra mondiale.
di Edward Chesnokov, (Russkaya Semyorka) da RBTH del 15 agosto 2014
Sotto le insegne dello Zar bianco
I musulmani dell’impero russo, la maggioranza dei quali viveva nel Caucaso o nell’Asia centrale, era esentata dall’obbligo del servizio militare. Le autorità temevano il fatto di armare un popolo naturalmente agguerrito e potenzialmente ostile. È difficile valutare quanto fossero legittime queste preoccupazioni, dato che alla metà del XX secolo, decine di cavalieri montanari musulmani hanno prestato fedelmente servizio nel Convoglio dello Zar, un’unità speciale alla quale era affidato il compito di garantire la sicurezza personale dell’imperatore. Nell’agosto del 1914, quando nel paese dilagò un grande fervore patriottico, fu creata la Divisione di cavalleria degli indigeni del Caucaso, agli ordini di Nicola II. Molti giovani montanari, che erano in grado fin dall’infanzia di tenere a bada un cavallo, di restare in sella e di sparare senza mancare il bersaglio, risposero alla chiamata dello Zar Bianco, come era noto il regnante russo in Oriente.
I dzhigits arrivarono in sella ai loro cavalli e indossando le loro uniformi, caftani circassi e alti copricapi di lana, con daghe e spade. L’unica spesa che dovette sostenere il governo per armarli fu quella per il fucile. Il salario fu fissato in 20 rubli al mese. Il servizio nella speciale formazione di cavalleria era su base volontaria. Di conseguenza, anche se i musulmani costituirono il 90 per cento dell’organico della “Divisione Selvaggia”, tra di loro si potevano tranquillamente trovare anche soldati e ufficiali aristocratici russi, tedeschi baltici e perfino marinai della Flotta del Baltico.
Nel frattempo, in un gruppo nel quale tutti erano rigorosamente superbi aristocratici, vigeva l’assoluta democrazia e il metro per giudicare qualcuno era il suo effettivo servizio sul campo di battaglia. Verso la fine del 1914, dopo che il contingente ebbe ricevuto quattro mesi di addestramento, la Divisione fu trasferita sul fronte sud-occidentale, dove erano in corso aspri combattimenti contro gli austriaci.
Fratello dello zar, padre dei soldati
Dal momento in cui si formò la Divisione fino all’inizio del 1916, il granduca Mikhail Alexandrovich, fratello dell’ultimo zar russo, ne fu il comandante più celebre. Eccellente cavaliere e atleta dalle dita d’acciaio, in grado di spezzare un intero mazzo di carte ancora sigillato, godette di grande reputazione tra i cavalieri montanari. Nella vita di tutti i giorni il trentacinquenne aiuto generale era modesto e riservato, ma non temette mai di farsi vedere nei posti più pericolosi. Con lui la Divisione partecipò alla conquista di Stanislavov (oggi denominata Ivano-Frankivsk) e liberò la Galizia nel 1915.
Mikhail Alexandrovich visse anche lui la tragica esperienza dei suoi antenati reali e il 13 giugno 1918 fu giustiziato: sopravvisse soltanto di poco alla sua ex Divisione, che era stata smembrata all’inizio di quello stesso anno. Intrepidi senza eguali L’episodio che di seguito raccontiamo può aiutare a farsi un’idea più precisa di quali fossero le tattiche militari degli “indigeni”. È la primavera del 1915 quando i fiumi della Galizia si sono appena liberati dai ghiacci. Un centinaio di cavalieri montanari che stringono le spade tra i denti guada di notte il Dnestr, arrivando sull’altra sponda dove si sono accampati gli austriaci. In silenzio uccidono le sentinelle. Davanti a loro vi sono le trincee protette dal filo spinato.
Non avendo appresso le cesoie speciali necessarie a tagliarlo (i cavalieri montanari consideravano inutile portarsi dietro oggetti non necessari per il combattimento ravvicinato), si limitano a gettare sul filo spinato i loro burka daghestani. In silenzio strisciano verso le trincee e armati delle sole spade si lasciano cadere sul nemico con urla gutturali. I nemici, presi dal panico, si ritirano. Altri “indigeni” – già a cavallo – attaccano i fuggitivi: sono riusciti a guadare il fiume più in basso…
Naturalmente, la guerra non fu una passeggiata, anche contro le truppe austriache del Kaiser che erano inferiori in termini di abilità nei combattimenti. Nel corso dei tre anni nei quali rimase attiva, per la Divisione Selvaggia passarono circa diecimila tra soldati e ufficiali. Se si tiene conto che il contingente permanente di uomini a cavallo era di 3450, è facile calcolare quanto siano state gravi le sue perdite. Ovviamente, è del tutto impreciso immaginare i cavalieri montanari come anacronistici nella “guerra motorizzata” che si stava combattendo: la Divisione Selvaggia era equipaggiata di mitragliatrici e veicoli corazzati.
La nascita delle leggende
A dispetto di tutto il loro ardimento, i cavalieri di montagna che erano eccellenti nelle missioni diversive e di pattugliamento o nelle cariche della cavalleria, non furono granché efficienti nei combattimenti di trincea, all’interno della quale i soldati potevano fermarsi anche per un anno intero. Nondimeno, la Divisione degli “indigeni” divenne un importante strumento per la propaganda: con il suo solo nome essa instillò paura nei nemici lungo tutto il Fronte orientale. Nella mente degli europei – tedeschi e austriaci – quel nome evocava immancabilmente l’immagine di un selvaggio cavaliere asiatico che ignorava ogni forma di pietà, un’immagine in effetti non troppo lontana dalla realtà.
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