Marino Pagano per “Libero quotidiano”
Medioevo, sempre ed ancora medioevo. Medioevo nella testa, se si vuole, sui capelli. Così vuole sicuramente Virtus Zallot, docente di Storia dell’Arte medievale e Didattica dell’Arte all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia, autrice, per Il Mulino (253 pagg,, 26 euro), di un saggio curioso sin dal titolo. Sulle teste nel medioevo. Storie e immagini di capelli, per l’appunto. Qualche anno fa, nel 2018, sempre per Il Mulino, era apparso il suo Con i piedi nel medioevo.
Medioevo ovunque, insomma. Il punto è che il corpo, se è importante oggi, era importante pure nel medioevo. I capelli come occasione di lettura culturale e sociale – attraverso la mediazione della creatività dell’arte – di un periodo complesso come quello medievale. Il capello permette al potere ed alle sue ostentazioni una visione non a tutti i costi uniforme.
Il tutto in esistenze più brevi rispetto alle nostre, ma inserite in una lettura storiografica che contempla il lungo periodo. E dunque, tanti cambiamenti in pochi decenni di vita ma tanti in molti secoli. In barba alla visione pregiudiziale di un medioevo visto come epoca di fissità. I capelli come «attributo non solo di persona, ma di personalità», scrive l’autrice. Capelli come proiezione dei sessi, dei gruppi: della riconoscibilità pubblica.
Soprattutto nell’Alto medioevo, la capigliatura dell’uomo ha il suo risvolto sociale ma anche stretto alla virilità: i capelli lunghi ne saranno il simbolo, mentre la donna doveva nascondere i capelli col velo, tranne le vergini, “in attesa” o martiri – e dunque vergini in eterno – che fossero.
Quando e quali i momenti di questo esibizionismo sociale? Siamo a Firenze, nel ‘300. Qui Franco Sacchetti fece ironia sulla tradizione femminile di acconciarsi la testa a forma di torri costituite da cerchi sovrapposti di capelli veri e finti. Sua la canzone Contro alla portatura de le donne fiorentine.
Nel Tardo medioevo si affermò il balzo, struttura a cupola, uovo o turbante, a cui si avvolgevano i capelli. Noto, in questo senso, il ritratto di Ginevra d’Este da parte del Pisanello, oggi al Louvre. Facciamo attenzione, intanto, alla possibilità di potersi atteggiare, di darsi un tono. Ebbene: i pettini, tanto per cominciare, costavano, erano spesso di materiale prezioso e le classi povere li hanno conosciuti più tardi.
L’estetica, ancora una volta, veicola il messaggio sociale. Complessità di stile come privilegio, mentre le donne semplici si limitavano ad imitare le abbienti oppure a raccogliere i capelli, come si è usato persino fino a pochi decenni fa. La vanità femminile era considerata ai limiti dello sfacciato dai predicatori religiosi: una forma di peccato, da farsi perdonare.
Con il Tardo medioevo, poi, il rigore di acconciature dalle fogge talvolta bizzarre sarà totale e capillare (ops!). Sempre tra i ricchi, ovviamente. Un problema eterno, come sappiamo, è quello di nascondere la canizie e così, nel medioevo, è codificata la tintura, che tuttavia accompagna la storia dell’uomo da sempre, sin dal neolitico.
Le donne, per le fonti, amano imbiondire i capelli. Cesare Vecellio, nel suo Abiti e costumi a Venezia, descrive l’uso delle donne di frequentare la terrazza delle case, l’altana, credendo di conservare gli aspetti giovani nei capelli, tenendoli esposti al sole per tante ore. Ma oltre al sole, per le dame veneziane, c’era appunto una tintura, stesa sui capelli con la “sponzeta”, una piccola spugna.
Il medioevo, però, oscilla tra estremi e così, quando serviva, altro che cura e crescita: il capello andava anche tagliato, sorta di espressione anche rituale. Così Liutprando accorciò i capelli a Pipino il Breve, re Artù all’eroe Culhwch. E i merovingi? Per loro, al contrario, i capelli lunghi significavano regalità. Qui l’eredità biblica sembra chiara. Se si perdevano i capelli, il rischio si faceva alto, compromettendo ogni aspirazione. Un caso su tutti, quello della regina Clotilde: tra nipotini uccisi, piuttosto che dai capelli corti, preferì la prima opzione.
I capelli rientrano in pieno nella logica medievale e nelle sue principali sintesi culturali. Questo accade per l’aderenza dei capelli alla vita, all’esistenza. I capelli sono vita, sono morte.
In questo senso, la Zallot ricorda il Petrarca del Trionfo della Morte, allorché a Laura la vita è tolta proprio mediante lo strappo di un capello. Come dire: senza il capello si muore. Ed inevitabilmente il lungo apparato di citazioni, artistiche e letterarie, sta a caratterizzare il volume nella convinzione di una precisa peculiarità legata ai capelli.
«Significativamente gli scrittori limitano spesso il ritratto fisico alla descrizione dei capelli, talora citandone soltanto il colore. Pregiudizio formalizzato, esso informava sulla valenza del personaggio: dei neri e rossi era meglio diffidare, mentre i biondi garantivano superiorità fisica, etica e sociale», scrive la Zallot.
Un libro completo, perché alla fine si sofferma anche sulla trattazione del tema del capello nell’evo moderno e contemporaneo, persino con qualche accenno pop. Un mondo diverso, il nostro, da quello medievale, va da sé. Dall’immagine che trasmette un sapere simbolico ed essenziale, tipica dell’età di mezzo, all’attuale culto ipertrofico per l’immagine stessa.
E così, magari, il medioevo ci appare addirittura un insospettabile maestro di misura. Ancora una volta, va a finire che il millennio più bistrattato di tutti ci insegna qualcosa.