L’incursione del leader dei lumbard segue di poco l’iniziativa dei senatori leghisti che, solo alcuni giorni orsono, hanno depositato a Palazzo Madama una pdl per il riconoscimento costituzionale degli inni e delle bandiere regionali e arriva quando è ancora calda la polemica sull’introduzione dello studio dei dialetti nei programmi scolastici. La Lega fa vacillare il valore simbolico del Tricolore e rimette in discussione un’altra icona dell’unità d’Italia: l’inno di Mameli.
Redazionale de “Il Giornale” di domenica 16 agosto 2009
La nascita dell’inno d’Italia
Nato nel 1847 nella fase più calda del Risorgimento, Fratelli d’Italia attende ormai da oltre mezzo secolo di entrare nell’articolato della Carta costituzionale come inno ufficiale del nostro Paese. Nel 1946 il governo sceglie l’Inno di Mameli. È una scelta è provvisoria, ma, curiosamente, rimarrà tale, almeno da un punto di vista formale. Vari tentativi di integrare il testo costituzionale portati avanti nelle passate legislature non sono andati a buon fine e ora, in questa sedicesima legislatura, sono tre le proposte di legge a sostegno del Canto degli italiani, due del Pd ed una del Pdl, che attendono di iniziare il proprio iter nelle commissioni parlamentari.
Fuori dalla Costituzione
Nel novembre di due anni fa il Senato aveva approvato in prima lettura un progetto di legge per rendere finalmente definitiva, anche sotto il profilo formale, la scelta di Fratelli d’Italia come inno nazionale. Alla Camera, però, il provvedimento non fu più votato e l’Inno di Mameli tornò nella dimensione provvisoria che lo ha caratterizzato fin dalla sua nascita. Ora, probabilmente, il Parlamento chiuderà definitivamente questo capitolo della storia italiana. A Giuseppe Mazzini non piaceva: troppo scivoloso e retorico il testo, troppo orecchiabile la musica. Eppure, quel Canto degli italiani, scritto da Goffredo Mameli nel 1847 e musicato da Michele Novaro nello stesso anno,è divenuto, insieme al Tricolore, il simbolo sonoro del Risorgimento prima e dell’Italia unita poi. Ma è rimasto “provvisorio”, perchè nessun atto formale nè del Parlamento nè del governo ne ha mai fatto l’inno ufficiale del nostro Paese.
Cantato da tutto il Paese
L’Inno di Mameli, ormai, lo cantano anche i calciatori della nazionale, dopo le polemiche che avevano investito gli azzurri per il loro ’silenziò ai mondiali del 1994 e del 1998. La “svolta” nel 2002, ai mondiali in Giappone e Corea, dopo le sollecitazioni del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che in più di un’occasione aveva sollecitato tutti ad onorare i versi di Mameli sulle note del Novaro. Nel 2000 aveva fatto scalpore la proposta, provocatoria, di Gianni Baget Bozzo di sostituire Fratelli d’Italia con un inno a Berlusconi. E ancor prima la Lega aveva riacceso polemiche nate più di un secolo prima, rilanciando l’idea di sostituire Fratelli d’Italia con il verdiano Va’ pensiero. L’Inno di Mameli le ha viste proprio tutte: anche la critica mossagli da Antonio Spinosa di essere maschilista perchè nei versi del suo autore non si accenna neppure minimanente alle imprese compiute da eroine risorgimentali come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi. Imprese che però, probabilmente, erano ignote a Mameli o successive alla sua morte, avvenuta nel 1849 a soli ventidue anni a causa di una ferita rimediata durante la difesa di Roma assediata dai francesi.
Nel Ventennio fascista
Fratelli d’Italia i suoi guai li ha passati anche durante il ventennio fascista. Dopo la marcia su Roma, presero sempre più piede, oltre all’inno ufficiale del regno che era la Marcia Reale, i canti fascisti: non erano inni ufficiali, ma il regime ne curava, e in modo assai capillare, la diffusione. I canti risorgimentali furono tollerati. Tranne, s’intende, quelli “sovversivi” di stampo anarchico o socialista, come l’inno dei lavoratori o l’Internazionale. Oltre a quelli di nazioni straniere ostili al governo fascista, come La Marsigliese. Anche La Leggenda del Piave, canto che accompagnò le gesta dei soldati italiani nella Grande Guerra, venne confinata in un angolo, riemergendo solo una volta l’anno, il 4 novembre, per ricordare la vittoria sull’invasore austriaco. Poi, nel 1932 il segretario del partito Achille Starace vietò qualsiasi canto che non facesse riferimento al Duce o alla rivoluzione fascista, travolgendo così anche l’Inno di Mameli. Nel 1948 il Tricolore entra ufficialmente nella Costituzione italiana, ma nulla si dice dell’inno, ancora oggi, almeno formalmente, provvisorio.
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Inserito su www.storiainrete.com il 17 agosto 2009
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IL CANTO DEGLI ITALIANI
Parole: Goffredo Mameli (Genova, 5 settembre 1827 – Roma, 7 luglio 1849)
Musica: Michele Novaro (Genova, 23 ottobre 1818 – Genova, 21 ottobre 1885)
Fratelli d’Italia,
L’Italia s’è desta;
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma;
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,
Noi fummo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,
Uniamoci, amiamoci;
L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio:
Uniti con Dio,
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,
Dall’Alpe a Sicilia,
Dovunque è Legnano;
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core e la mano;
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla;
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,
Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò!