Due intere puntate appena andate in onda su Rai Uno (Preferisco il paradiso con Gigi Proietti), per mostrarci una specie di don Mazzi (con tutto il rispetto) del XVI secolo. La stessa cosa fecero con la fiction su don Bosco, ridotto, anche lui, a un pretino politicamente corretto. Invece, come don Bosco, s. Filippo Neri era un gigante, e sarebbe bastato raccontarne la vita per fare spettacolo.
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di Rino Cammilleri da Il Giornale del 24 settembre 2010
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Basti solo dire che quando il re di Francia, Enrico IV di Navarra, si fece cattolico da ugonotto che era, il papa Clemente VIII non credeva alla sincerità di questa conversione; ebbene, quel re mandò il duca di Nevers a Roma proprio da Filippo Neri perché intercedesse. Il confessore del papa era il cardinale Cesare Baronio, cresciuto nell’Oratorio. E il santo gli vietò di assolvere il papa finché non avesse ceduto. Filippo Neri era infatti consigliere di Clemente, come lo era stato di Pio IV e di Gregorio XIV. Nonché direttore spirituale di s. Carlo Borromeo e di suo nipote Federico, di fior di nobili e cardinali e perfino del grande musicista Palestrina. Già, perché l’Oratorio non era solo un espediente per recuperare ragazzini di strada ma un’invenzione geniale che, tra le altre cose, originò la composizione musicale chiamata, appunto, «oratorio», mix vocale-recitativo-strumentale che fece scuola. Di tutto questo non c’è traccia nella fiction con Gigi Proietti, né dell’amicizia stretta del Neri con altri giganti come s. Camillo de’ Lellis, s. Francesco di Sales, s. Ignazio di Loyola. Filippo Neri, toscanaccio fiorentino, nacque nel 1515 e morì nel 1595. Era figlio di uno che aveva ridotto la famiglia sul lastrico a furia di fare l’alchimista e cercare la pietra filosofale. Allegrissimo e stravagante, quando vide che la gente gli dava del «santo» cominciò a fare il matto: talvolta usciva con un cuscino legato in testa, altre con solo mezza barba rasata. Temeva l’adulazione ma era una specie di Padre Pio della Roma controriformistica. Non era che un pellegrino quando vi giunse, nel 1534. E solo nel 1551 si lasciò convincere a farsi prete. Da principio faceva il precettore in casa di un compaesano. Nella Pentecoste del 1544, mentre pregava nelle catacombe di San Sebastiano, un globo di fuoco gli penetrò nel petto spezzandogli due costole dalla parte del cuore. Da quel momento, non di rado doveva metterci sopra delle pezze bagnate perché il calore che ne emanava superava i 50 gradi. E lui se ne vergognava, così come lo imbarazzavano tutti i miracoli che faceva. Il suo Oratorio, frequentato da gente di ogni ceto (ma anche dalla crème romana) generò un ordine religioso, gli Oratoriani (dei quali il recentemente beatificato cardinale Newman faceva parte). Filippo Neri divenne un potenza in Roma e presso la corte pontificia, come abbiamo visto a proposito di Enrico IV (quello del «Parigi val bene una messa»).
Nella fiction televisiva (così come nel film a suo tempo interpretato da Johnny Dorelli) si vede solo un «prete di strada» qualsiasi, e non si capisce a) perché è santo, b) perché è tutt’oggi così famoso. Filippo Neri inventò anche il giro delle Sette Chiese (nel quale si strascinava dietro mezza città) e rappresentò uno dei pilastri della Controriforma in una Roma che ancora si leccava le ferite del Sacco lanzichenecco del 1527. Invece, abbiamo visto in tivù il solito «prete dei poveri» contrastato dal Bieco Potere della Curia romana, ottusa e oscurantista, come da vulgata politicamente corretta. È vero che, televisivamente, i santi «tirano» lo stesso; ma se i produttori si affidassero a soggettisti più all’altezza i loro soldi sarebbero meglio spesi. Sembra, infatti, che ogni volta si faccia di tutto per mediocrizzarli, i santi, e banalizzarli con ritrattini tediosi. Invece per uno spettacolo coi fiocchi basterebbe riportare i fatti nudi e crudi.
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Inserito su www.storiainrete.com il 30 settembre 2010