La recente radicalizzazione dello scontro tra palestinesi e israeliani ha, tra le varie cause, anche il crescente peso che da qualche anno i gruppi fondamentalisti islamici hanno assunto all’interno del movimento che raggruppa le tante organizzazioni che mirano alla creazione di uno Stato palestinese indipendente. Il fenomeno dei «kamikaze»
suicidi non si spiega se non attraverso il fanatismo religioso che sempre più prende piede in zone dove, da generazioni, si vive in condizioni disperate e senza prospettive per il futuro. Per comprendere anche la crescente perdita di presa dell’anziano leader palestinese Yasser Arafat sui suoi militanti è utile rifarsi all’accurato ed equilibrato studio che il francese Gilles Kepel ha recentemente dedicato alla storia del fondamentalismo islamico: «Jihad. Ascesa e declino» (pp. 436, € 17,50). Per gentile concessione della Carocci Editore, «Storia in Rete» ne pubblica qui un lungo brano, tratto dal dodicesimo capitolo: “L’Intifada e l’islamizzazione della causa palestinese”.
di Gilles Keppel
Con l’Intifada, che ha inizio alla fine del 1987, la causa palestinese ritrova l’aura che aveva perduto dall’inizio del decennio. Il movimento, il cui nome arabo significa “ribellione”, acquista la sua popolarità come “rivolta delle pietre” sollevando giovani palestinesi disarmati contro l’esercito d’occupazione israeliano. Tale movimento si rivelerà talmente dannoso per lo stato ebraico, per la sua immagine internazionale e la sua identità morale, che costringerà i dirigenti israeliani ad avviare un processo di riconoscimento dell’OLP. Esso prenderà forma dopo la guerra del Golfo del 1990-91 e sfocerà nella «dichiarazione di principio» israelo-palestinese del settembre 1993 e nell’insediamento a Gaza dell’Autorità palestinese autonoma, con a capo Yasser Arafat, nel luglio del 1994.Ma, recuperando il proprio prestigio con l’Intifada, la causa palestinese cambia parzialmente immagine. Essa incarnava ad un tempo il nazionalismo arabo ed ideali che, su scala internazionale, s’inserivano nell’orbita terzomondista e socialista. Era rimasta esterna all’emergere di quello spazio di senso islamico le cui categorie non erano familiari ai suoi portavoce più eloquenti. In questo campo la jihad in Afghanistan si era sostituita ad essa come polo di identificazione, vale a dire come campo di battaglia presso un certo numero di giovani arabi – anche se Abdallah Azzam non mancava mai di ricordare nelle sue pubblicazioni che combattere in Palestina come in Afghanistan costituiva uno stesso dovere individuale per tutti i musulmani, la cui terra era stata «usurpata dal nemico». (…)
Ora, lo scoppio dell’Intifada viene a trasformare questa percezione: esso permette ad alcuni islamismi di acquisire un’eco mediatica in tutti i territori occupati, particolarmente a Gaza. L’OLP perde il suo monopolio sulla rappresentazione simbolica dei palestinesi – e le sarà necessario lottare duramente per conservare la sua egemonia. Abbiamo già avuto occasione di notare come la rivoluzione iraniana avesse ispirato un gruppo militante molto motivato, ma a reclutamento ristretto, la Jihad islamica, che in pratica riconciliò la rivendicazione islamista e la lotta anti-israeliana, in contrasto con l’OLP combattente ma a-religiosa, e ai Fratelli musulmani, religiosi sì, ma politicamente inattivi nei confronti d’Israele. Questo gruppo si distinse per alcune azioni spettacolari, nella fattispecie l’assassinio di soldati israeliani, ma non riuscì costruire né un seguito di massa, né una rete di solidarietà all’interno della popolazione. L’emergere di un movimento islamista potente a seguito dell’Intifada è principalmente imputabile alla trasformazione dei Fratelli musulmani, i quali abbandonarono il loro tradizionale atteggiamento quietista passando alla jihad contro gli occupanti, con la creazione del movimento HAMAS, qualche giorno dopo l’inizio della ribellione.Se ne data l’inizio all’8 dicembre 1987, quando un camion israeliano investì due taxi palestinesi, provocando quattro morti. Il giorno prima, un israeliano era stato pugnalato a Gaza e la collisione fu interpretata come una deliberata ritorsione, e non come un normale incidente stradale, da alcuni giovani palestinesi nei campi dei rifugiati che esplosero in manifestazioni di collera, radunando intorno a sé una folla numerosa. Invece di rientrare rapidamente nella normalità, il movimento, per la stessa sorpresa dei dirigenti dell’OLP esterni ad esso (così come dei Fratelli musulmani), si trasformò in una ribellione duratura. (…).
Intifada, rivolta a «scoppio ritardato»
L’Intifada si produce vent’anni dopo l’occupazione dei territori palestinesi da parte d’Israele nel giugno del 1967. I giovani del 1987 non conoscono altra esperienza se non quella dell’occupazione e della gestione della resistenza da oltre due decenni da parte dei quadri superiori dell’OLP. Se l’organizzazione conserva un accesso privilegiato all’organizzazione sociale palestinese grazie ai fondi che essa raccoglie presso i rifugiati all’estero e soprattutto presso le monarchie petrolifere, e che essa poi ridistribuisce localmente, sembra però dominata militarmente e politicamente da Israele, ed incapace di far uscire dal tunnel una gioventù che ha conosciuto sconvolgimenti profondi. In termini demografici, innanzitutto, i territori occupati detengono il record mondiale di natalità e fecondità; quasi metà della popolazione ha meno di quindici anni e il70% ha meno di trent’anni. L’istruzione si è generalizzata: nel 1984-85 si contavano più di trentamila studenti, in loco come all’estero. Tuttavia, soltanto il 20% dei diplomati della scuola secondaria e dell’università riuscivano a trovare un lavoro al termine degli studi. Tra gli istituti universitari, l’Università islamica di Gaza, fondata nel 1978 e animata dai Fratelli musulmani, contava circa cinquemila studenti, ai quali andavano ad aggiungersi altri istituti islamici a Hebron e a Gerusalemme. Provenienti da ambienti generalmente modesti, prima generazione ad avere avuto accesso allo studio in modo massiccio, i possessori di un diploma o di una laurea si ritrovavano per lo più disoccupati o costretti a fare i braccianti in Israele.
Gli aiuti internazionali, l’emigrazione verso i paesi arabi petroliferi e il trasferimento di fondi degli emigrati avevano fatto sì che non si arrivasse all’esplosione sociale in un contesto attraversato da tali tensioni. Ma il ridimensionamento del mercato petrolifero nel 1986 aveva considerevolmente diminuito la manna dei petrodollari – incoraggiata dall’arrivo degli immigranti provenienti dalla Russia – e mentre numerosi ostacoli venivano frapposti da Israele allo sviluppo economico e a qualsiasi investimento che rischiassero di consolidare l’affermazione di un’entità palestinese. Questa situazione era propizia all’emergere della gioventù come soggetto politico autonomo. Fu questa, infatti, la prima caratteristica dell’Intifada che i dirigenti palestinesi, di qualsiasi tendenza essi fossero, non avevano saputo vedere. Fu nei campi dei rifugiati di Gaza, dove la popolazione si trovava in condizioni di massima ristrettezza, che le manifestazioni furono più violente, fin dai primi giorni. Gli altri gruppi sociali che presero parte alla ribellione –gli abitanti dei paesi (tra cui molti lavoravano come braccianti in Israele) e i commercianti – si unirono ad essa soltanto all’inizio del1988, quando era ormai chiaro che la rivolta sarebbe continuata e che i loro interessi economici e politici sarebbero stati minacciati più dalla loro astensione che dalla loro partecipazione al movimento. Ma durante i quattro o cinque anni in cui si protrasse la ribellione, gli shebab, i giovani, svolsero un ruolo centrale, convinti di non avere nulla da perdere nello scontro frontale, per quanto violento.
Nazionalisti e religiosi in lotta per il controllo della rivolta
L’OLP e HAMAS entrarono rapidamente in concorrenza per dirigere l’Intifada. Entrambe cercavano di mobilitare e di inquadrare a proprio vantaggio gli shebab, il controllo dei quali poteva far oscillare l’ago della bilancia nella lotta, così come tentavano di evitare che essi si unissero all’avversario. HAMAS disponeva di alcuni assi nella manica: come abbiamo già indicato, le tensioni sociali e demografiche esacerbate nei territori occupati nel 1987 presentavano delle somiglianze con quelle che avevano favorito l’emergere di movimenti islamisti in altre regioni. Ma l’OLP, contrariamente ai regimi arabi discreditati, non dirigeva lo stato contro il quale la gioventù avrebbe potuto scatenare la propria rabbia. A dispetto delle sue debolezze e dei suoi insuccessi negli anni ottanta, essa restava l’incarnazione della resistenza e della futura indipendenza; inoltre, Arafat poteva contare su una legittimità politica tra i palestinesi infinitamente superiore a quella di qualsiasi altro capo di stato arabo della regione. La ribellione era innanzitutto rivolta contro l’occupazione israeliana. Tuttavia la competizione islamista si rivelò dura per l’organizzazione nazionalista palestinese. (…) HAMAS si sforzerà di canalizzare la rabbia sociale eterogenea ed imprevedibile di questa gioventù e di trasformarla in uno “zelo” religioso al servizio del proprio progetto specifico di società. Si muoverà su un piano triplo, privato, sociale e politico. Grazie al forte contenuto morale del suo messaggio, esso farà dei giovani meno abbienti i portatori di un’autenticità islamica, ai quali spetterà l’incarico di punire il “vizio” delle classi medie e borghesi, la cui libertà di costumi o la cui occidentalizzazione sarà denunciata con un effetto della “depravazione ebraica”; cosa che metterà così in discussione la legittimità etica del loro status di èlite. Gli attacchi contro le attività culturali “non islamiche”, contro lo smercio di alcolici, così come i getti d’acido sulle donne che non portano il velo (generalmente appartenenti alle classi medie) saranno di questa stessa logica che tende a fare delle classi popolari reislamizzate i rappresentati per eccellenza dei valori della società, in contrasto con le èlite laiche che vengono stigmatizzate moralmente. Un simile fenomeno si era già reso ravvisabile nel 1978 quando il clero aveva preso il controllo del movimento popolare nella rivoluzione iraniana, e lo si ritroverà qualche tempo dopo in Algeria, con lo sviluppo dei gruppi islamisti armati. Il richiamo alla morale serve a galvanizzare i poveri in quanto incarnazione del vero popolo, della «Umma» pura e sincera, di contro ai gruppi dirigenti laici “corrotti”, orientandoli così verso un’alleanza con la borghesia religiosa.
L’OLP, anch’essa presa di sorpresa dall’evoluzione dell’Intifada, l’avverte come una messa in discussione della propria egemonia politica. Essa vi vede un movimento spontaneo di shebab che tende ad emarginare i politici più anziani e già affermati, legati all’organizzazione. A partire dal gennaio 1988, viene a stabilirsi un equilibrio complesso tra i giovani quadri nazionalisti di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme, che appartengono alle diverse componenti dell’organizzazione (Fatab, FPLP, FDLP, Partito comunista), e la direzione in esilio a Tunisi, che non vede l’ora di riprendere l’iniziativa. L’istituzione del Comando nazionale unificato (CNU) è il punto d’equilibrio tra la direzione dall’esterno, incarnata da Arafat, e questa generazione che si trova all’interno, di origine più modesta e che accede per la prima volta a funzioni di responsabilità. Le sfide che questi capi del CNU devono affrontare sono molteplici: essi devono lottare contemporaneamente contro la repressione israeliana, limitare l’ascesa di HAMAS e sottrarsi all’autorità esclusiva che viene da Tunisi. Il mezzo per rispondere a queste sfide si trova nella loro capacità di mobilitare gli shebab, di orientare le loro azioni su bersagli politici antiisraeliani chiaramente identificati, senza deviazioni, e di fornire loro un’alternativa all’identità islamista offerta ad essi dai loro avversari.
HAMAS e il CNU, dall’estate 1988, si contendono apertamente il controllo degli esecutori dell’Intifada pubblicando calendari diversi sui giorni “obbligatori” di sciopero e di lavoro. Vari contrasti si risolvono a vantaggio degli islamisti, tanto che il CNU è costretto a lasciarli liberi di proporre il loro calendario. E’ la prima volta, nella storia del movimento palestinese, che essi riescono ad imporre la loro volontà ai nazionalisti. Tale conquista di potere sul campo trova un prolungamento in campo ideologico con la diffusione della Carta di HAMAS, il 18 agosto, che si distingue dalla Carta dell’OLP, che fino ad allora era stata l’unico punto di riferimento obbligato. La Carta di HAMAS ricorda che per la jihad liberare la Palestina, terra musulmana usurpata dal nemico, è un dovere religioso individuale (fard ‘ayn) – quasi un’eco alle proclamazioni analoghe di Abdallah Azzam sull’Afghanistan (e la Palestina) dopo Peshawar: «non vi sarà soluzione alla causa palestinese se non tramite le jihad. Quanto alle iniziative, alle proposte e altre conferenze internazionali, non si tratta che di perdite di tempo e di attività inutili». E questa è soprattutto l’occasione per fissare una data da contrapporre al processo di negoziazione al quale il Consiglio nazionale palestinese, il “Parlamento” dell’OLP, dà avvio nella sua riunione di Algeri del 15 novembre, in cui viene proclamata l’indipendenza dello Stato palestinese, riconoscendo nel contempo l’esistenza di Israele.Da allora, islamisti e nazionalisti ingaggiano una corsa contro il tempo: HAMAS tenta di capitalizzare l’opposizione alla via diplomatica dell’OLP, sostenendo che l’organizzazione si lascia stupidamente ingannare dalla “doppiezza ebraica”. Ogni inasprimento dello scontro con Israele favorisce la sua strategia. Quanto all’OLP, la continuazione dell’Intifada le serve ad accrescere la pressione sullo stato di Israele per condurlo alla negoziazione nelle migliori condizioni possibili per la parte palestinese. Nella competizione tra questi due modi di sentire, la posta in gioco principale consiste nell’attrarre dalla propria parte i “comitati popolari” che si creano
al livello dei quartieri, dei campi o dei villaggi e organizzano la resistenza quotidiana, stabilendo i turni di guardia, riparando le saracinesche dei negozi e le catene spezzate dai militari israeliani, mettendo in atto tattiche di sopravvivenza in un contesto in cui i boicottaggi e gli scioperi permanenti, le defezioni dei funzionari e dei poliziotti palestinesi hanno come conseguenza le ristrettezze, la mancanza di guadagni e l’asfissia economica. Nel corso dell’anno 1989, le crescenti difficoltà materiali andarono a combinarsi con il blocco politico, dal momento che Israele rifiutava le offerte di negoziato dell’OLP dopo il congresso di Algeri. Questa situazione favorì la radicalizzazione della popolazione e l’influenza degli islamisti. Inoltre HAMAS poteva contare su efficaci forze di ricambio nella rete delle moschee e delle associazioni caritative dei Fratelli musulmani, che avevano approfittato dell’indulgenza di Israele. In settembre lo stato ebraico, ormai preoccupato dal successo islamista, cambiò strategia e prese i primi provvedimenti repressivi, arrestando e condannando lo sceicco Ahmad Yassin e più di duecento tra i principali attivisti del movimento. (…). A questo stadio la repressione non fece che accrescere la legittimità dell’orbita islamista agli occhi della popolazione dei territori occupati. I dirigenti imprigionati furono sostituiti da una generazione più giovane, meno esperta politicamente e la cui foga doveva portare ad atti di violenza disorganizzata. Uno sviluppo analogo andava delineandosi anche tra le file dei nazionalisti, i cui dirigenti erano soggetti ad una repressione più intensa e di più lunga durata da parte d’Israele. Il 1990, il terzo anno di vita dell’Intifada, vide aumentare l’influenza di HAMAS in diversi sindacati professionali palestinesi che, fino ad allora, erano stati sotto il controllo dei sostenitori dell’OLP: per la prima volta gli islamisti vinsero delle elezioni professionali, segnalando così la loro capacità di penetrazione nella classe media dei salariati. Parallelamente essi riuscirono ad ottenere una parte importante dell’aiuto arabo del Golfo nel 1990, il Kuwait versò ad HAMAS sessanta milioni di dollari contro i ventisette milioni destinati invece all’OLP. In tal modo il movimento islamista era riuscito a mobilitare contemporaneamente elementi della borghesia religiosa e della gioventù povera, e in particolare all’interno dei campi dove l’impazienza cresceva nei confronti dell’assenza di risultati da parte dell’offerta di pace di Arafat ad Israele. In risposta a questa sfida, l’OLP propose a HAMAS di entrare a far parte del Consiglio nazionale palestinese, nell’aprile del 1990 –nella speranza di trasformare HAMAS in una forza d’opposizione minoritaria che si sarebbe sottomessa alla legge della maggioranza e sarebbe stata così meglio controllabile – sull’esempio di ciò che era accaduto per il FPLP, il FDLP o il Partito comunista. Il movimento islamista esigeva però quasi la metà dei seggi del Consiglio, la reiterazione dell’eliminazione di Israele e la proclamazione della jihad come sola via per la liberazione della Palestina: se queste condizioni fossero state accettate esse avrebbero trasformato HAMAS nella forma dominante del CNP, rimettendo in discussione tutti gli sforzi diplomatici nati dalle risoluzioni prese ad Algeri nel dicembre 1988. Le condizioni di HAMAS furono respinte dall’OLP, e le scaramucce tra i militanti delle due fazioni si moltiplicarono. (…) Nel 1990, nel momento in cui esplodeva la crisi del Golfo, l’islamismo palestinese aveva saputo avviare una dinamica politica raccogliendo i frutti dell’Intifada, mobilitando allo stesso tempo gioventù povera e classi medie religiose, e contendendo all’OLP la sua egemonia. L’ultima causa legata al nazionalismo arabo sembrava sul punto di trasformare la sua chiave simbolica, spostandola verso l’integrazione al proprio interno dello spazio di senso islamico, dopo che questo era già avvenuto in Afghanistan e prima che avvenisse in Algeria e in Bosnia. Ma la capacità di Yasser Arafat di risollevarsi dalle situazioni più difficili e di cambiare il corso degli eventi, capacità temprata da due decenni di avversità e di prove durissime, avrebbe deciso altrimenti. (…)».
Foto in apertura Rainwiz, CC 2.0 sa by nc