Il 10 novembre è stato siglato un accordo tra il Sindaco di Roma Ignazio Marino e il Gruppo Enel (Green Power North America), denominato The Hidden Treasure of Rome. Nel comunicato ufficiale emesso dal sindaco si legge che una vasta quantità di reperti archeologici inediti (circa centomila) e risalenti alle diverse epoche della storia di Roma, chiusi da decenni nei magazzini dell’Antiquarium dei Musei Capitolini, sarà portata nei più prestigiosi musei e università del Nord America.
di Sabrina Corarze da GOLEM del 14 Novembre 2014
Qui saranno studiati da ricercatori americani attraverso accurati programmi di ricerca e analisi, per poi essere restituiti alla città, classificati e catalogati, insomma, pronti per essere inseriti in importanti progetti espositivi e culturali. Siamo solo a metà comunicato e già gli interrogativi sono tanti. Vi rendete conto di quanto costerà, in termini di tempo e di costo, imballare i reperti, assicurarli e spedirli? Soprattutto, chi pagherà il viaggio di andata e di ritorno dei reperti?
Un simile progetto sarebbe ammissibile se a farlo fosse un paese sottosviluppato che non dispone di professionisti della cultura, come archeologi, bibliotecari, archivisti, restauratori, storici dell’arte. E’ invece inaccettabile se a farlo sia un Paese come l’Italia, nello specifico Roma, che vanta queste categorie professionali specifiche. Forse Marino, e il suo staff, non lo sanno. Eppure in Italia gli archeologi esistono e sono anche numerosi. Con tanti titoli. Con tanti anni di esperienza. Ma soprattutto con tanta voglia di fare.
Solo a Roma esistono tre Università con corsi di Archeologia, due Scuole di Specializzazioni, Scuole di Dottorato e Master specifici del settore. Tutti istituti pubblici. Un iter formativo lungo e costoso. Solo a Roma esistono numerose strutture e valenti ricercatori che si occupano di realizzare progetti di scavo e di studio, progetti che hanno permesso una maggiore conoscenza sia dei reperti conservati nei musei che della città stessa. Peccato però che a Roma, come nel resto d’Italia, gli archeologi, come gran parte dei professionisti della cultura,fatichino a trovare lavoro, un lavoro che quando c’è è sottopagato e precario.
“Quando a metà anno vanno dal commercialista con la loro partita Iva, gestita come fosse quella di un notaio” spiega Alessandro Pintucci, presidente della Confederazione Italiana Archeologi (CIA) “scoprono che dei miseri 1000 euro guadagnati durante un intero mese di lavoro dalle 7 alle 17 gliene rimangono in tasca poco più della metà”. Sempre più spesso per continuare a fare gli archeologi, o per occuparsi in genere di cultura, si è costretti a fuggire all’estero. Con la politica di Marino, ora a fuggire all’estero saranno anche i reperti. Un amore negato quello tra archeologi italiani e reperti dell’Antiquarium. Insomma, sto matrimonio non s’ha da fare o, chissà, forse si farà in America. Sembra proprio infatti che gli archeologi italiani per poter studiare i reperti dell’antica Roma dovranno iscriversi in una delle università del Nord America. Certo, è veramente emblematico che uno Stato investa per formare dei professionisti e poi non li faccia lavorare.
Parigi, Londra e la Gioconda
Il dubbio è se Marino sia a conoscenza di questa crisi occupazionale senza precedenti o se la ignori volutamente. Dato che si tratta di un progetto “avviato l’anno scorso” (in America la notizia è uscita a settembre) forse in questi 365 giorni Marino e il suo staff avrebbero potuto impegnarsi un po’ di più per arrivare a formulare un progetto che almeno in parte coinvolgesse i professionisti della cultura italiani. Sarebbe stata per molti di loro una grande occasione di lavoro. Sarebbe stato un modo per valorizzarli. E invece no, il suo accordo è un sonoro ceffone ad una categoria professionale già umiliata. Il grande Alberto Sordi, quando gli fu concesso l’onore di essere sindaco per un giorno, disse che “Roma è un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi”. Marino ha deciso di sorvolarla con un aereo, quello con cui trasporterà i reperti dell’antica Roma in America. Le figure istituzionali dovrebbero mostrare un maggior spirito nazionalistico. Sarebbe interessante chiedere al sindaco di Parigi se spedirebbe a Londra dipinti inediti di grandi impressionisti francesi, tenuti nei magazzini del Louvre da decenni, per farli studiare da ricercatori inglesi. Il fatto che all’Italia sia stato negato il prestito della Gioconda, per una mostra, è sufficiente per ipotizzare la risposta del sindaco. O forse Zahi Hawass, Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie, spedirebbe a Roma mummie e sarcofagi per farceli studiare? Pensate che nel 2003 chiedendo la restituzione della Stele di Rosetta, conservata al British Museum, ha dichiarato alla stampa che “Se gli inglesi vogliono essere ricordati, devono riabilitare la loro reputazione, offrendosi volontariamente di restituire la pietra, perché è l’icona della nostra identità egizia.” Per carità la problematica è diversa, i reperti romani infatti torneranno in patria dopo essere stati studiati (si spera!), ma Marino da questa frase dovrebbe imparare un concetto importante: quello di identità nazionale. Dobbiamo tenere in Italia ciò che ci rappresenta, ciò che ci rende unici al mondo, dobbiamo attrarre studiosi e turisti verso il nostro Paese per fare capire che certe cose possono vederle solo da noi. E invece Marino dà “agli studiosi all’estero la possibilità di studiare i nostri reperti”, in cambio Roma “avrà la possibilità di riaverli indietro con un valore culturale”. Allora, il valore culturale i reperti lo hanno a prescindere, che poi un loro studio specifico ne migliori comprensione e quindi fruibilità è una certezza. Ma c’era bisogno di portarli in America per riaverli con un valore culturale “aggiunto”?
Le tecnologie italiane
Nel comunicato del Comune si dice che “gli strumenti tecnologici all’avanguardia utilizzati in questi atenei permetteranno di realizzare un “repository”: cioè una sorta di grande banca dati che sarà un punto di riferimento unico per gli studiosi della Roma Antica”. Quindi forse è tecnologica la motivazione alla base dell’accordo. Pintucci spiega però che in Italia già esistono decine di repositories ed esiste un sistema unificato di catalogazione dei Beni Culturali. “Capiamo i tanti impegni, ma forse lo staff del sindaco avrebbe dovuto fare qualche ricerca prima di fargli firmare un accordo del genere, magari avrebbe scoperto che proprio nel nostro Paese nel 2015 si svolgerà il CAA, il convegno internazionale dedicato all’utilizzo dell’informatica e dell’alta tecnologia nell’archeologia, che da anni l’Italia è il promotore di realtà come Archeofoss, dove la tecnologia si sposa con la sostenibilità della ricerca e col concetto di condivisione dei dati archeologici”. Come si integreranno gli standard impiegati dagli americani nella classificazione e nella catalogazione con i nostri cataloghi collettivi? A chiederselo è Nadia Di Bella, Portavoce dei Giovani Bibliotecari Aspiranti, “Ci chiediamo inoltre come mai tali attività vengano svolte all’estero, quando qui abbiamo catalogatori, formati dalle Università italiane e pronti a mettere in campo la loro professionalità, dopo anni di esperienza nel settore.”
Insomma, non capiamo proprio perché Marino abbia preferito i professionisti della cultura americani a quelli italiani. Per trovare la soluzione al nostro enigma basta continuare a leggere il suo comunicato: “costo zero”. La storia è sempre la stessa. Dato che è “un lavoro che se Roma dovesse fare da sola, con le proprie risorse, richiederebbe decenni, con questo accordo sarà fatto a costo zero”. Abbiamo scoperto il nocciolo della questione. Dato che non si vogliono pagare i professionisti della cultura italiani per fare il loro lavoro, si è deciso di portare i reperti antichi in America per farli studiare a costo zero. L’iniziativa di Marino, per Andrea Cipriani Presidente de La Ragione del Restauro, rappresenta la resa totale delle istituzioni, che non solo alzano bandiera bianca ammettendo di non saper provvedere ai nostri beni, ma liquidano per sempre intere generazioni di professionisti e gli investimenti occorsi per formarli. Il tutto presentando questa pericolosa deriva con la carta colorata del costo zero. “Forse il Sindaco ignora, o fa finta di ignorare” continua Pintucci “che nel momento in cui proclama mirabolanti accordi oltreoceano, lascia a casa per 15 anni (quindici anni!) i 150 vincitori del concorso per istruttore culturale per il Comune e mette invece a bando aree archeologiche e Musei come il Napoleonico, il Barracco e così via, garantendo un rimborso di 12 euro giornalieri per i volontari che se l’aggiudicheranno”.Conoscenza e professionalità, per Angelo Deiana Presidente di Confassociazioni , rappresentano un valore e vanno sempre retribuite in maniera adeguata. “L’accordo Hidden Treasures of Rome” sostiene Angelo Restaino, Portavoce Arch.i.m “costituisce un grave precedente di quella che si può definire una vera e propria delocalizzazione del lavoro culturale sui Beni Culturali italiani. Non si vede per quale motivo il lavoro sul nostro patrimonio, adducendo come pretesto motivi di tempistica (‘ Un lavoro che se Roma dovesse fare da sola, con le proprie risorse, richiederebbe decenni’) debba essere così demandato ad altri, ignorando in questo modo i professionisti qualificati del nostro paese e il loro recente riconoscimento ufficiale sancito dalla legge 110/2014. Appare evidente invece l’assenza di volontà di impiegare risorse per sostenere lavoro retribuito, come il comunicato ufficiale fa chiaramente trasparire, quando afferma “Oggi, invece, possiamo avvalercene a costo zero’. Questo potrebbe aprire la strada a future delocalizzazioni di pezzi del patrimonio culturale e del relativo e potenziale lavoro di valorizzazione che i nostri professionisti attendono da decenni di poter svolgere”.
E pensare che questo accordo è stato siglato da Marino “per la valorizzazione all’estero del patrimonio dei Musei Capitolini, per rilanciare l’immagine di Roma attraverso le sue bellezze storico artistiche, che rappresentano un volano importantissimo per la nostra economia soprattutto in questo momento di crisi”. L’unica cosa che al momento spiccherà il volo sono i reperti antichi. Ci chiediamo se per valorizzare il patrimonio storico artistico di Roma all’estero non sarebbe più opportuno aumentare il turismo verso la nostra città, migliorando la fruibilità di siti archeologici e musei, e cercare di stipulare accordi che portino lavoro ai professionisti della cultura italiani. Questo forse potrebbe essere un vero volano per la nostra economia.
“Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un continuo attacco nei confronti dei lavoratori dei beni culturali e delle loro prerogative” dichiara Salvo Barrano, Presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi “Le politiche del Governo e delle amministrazioni locali continuano a indurre nel settore dei Beni Culturali una incessante concorrenza al ribasso che non porta da nessuna parte perché non genera valore e sviluppo. Noi ci chiediamo se sia certa la convenienza economica di questo accordo per i cittadini di Roma? L’accordo è stato infatti presentato come operazione a costo zero ma in realtà nasconde una serie di costi occulti. Inoltre, è stato acquisito il parere del MIBACT, cui spetta il compito di valutare la possibilità di esportare i beni culturali? Le domande che questo accordo pone sono tante e aspettiamo una risposta. Intanto, per protestare contro questa visione miope, che usa la cultura solamente per motivi propagandistici, scenderemo in piazza a Roma il prossimo 29 novembre”.
Sul sito di Marino si legge la frase “Roma è vita”. Di sicuro non per gli archeologi.