Paolo Valentino per il “Corriere della Sera” del 26 febbraio 2021
Il 23 agosto 1991, sulla Piazza della Lubjanka a Mosca, si consumò uno degli atti più simbolici della rivoluzione d’agosto, iniziata con il fallito golpe comunista e poi sfociata in una successione di colpi di scena ed eventi drammatici. Durò pochi giorni il putsch, con l’ arresto di Gorbaciov in Crimea, i carri armati sulla Prospettiva Kutuzovsky, lo stato d’ assedio, l’appello di Boris Eltsin dalla torretta di un carro armato al popolo di Mosca perché scendesse in piazza a difesa del Parlamento, la folla per strada, le barricate, la morte accidentale di tre giovani dimostranti. E poi la svolta, il ritorno di Gorbaciov eroe solo per una notte, la sua umiliazione davanti al Parlamento russo, il trionfo di Corvo Bianco Eltsin e la fine del Pcus, il partito comunista sovietico, preludio all’ agonia che in soli quattro messi avrebbe portato in dicembre alla fine dell’ Urss.
Ma quella sera, nello slargo da sempre identificato con la sede del Kgb, avvenne l’impensabile: vedemmo la gigantesca statua di Feliks Dzerzinskij, fondatore della Ceka, la prima polizia segreta dell’Urss e antesignana del Kgb, rimossa dal piedistallo al centro della Piazza, tra gli applausi di una folla di oltre 20 mila persone. Pesava 11 tonnellate, ci vollero ore per tirarla giù, collegandola a dei cavi d’ acciaio che furono tirati da un camion. Il simulacro di «Feliks di ferro», com’ era conosciuto nella leggenda della Rivoluzione d’ Ottobre per l’ incorruttibilità ma anche per la spietatezza, venne trasportato in un parco insieme ad altre statue del pantheon comunista.
Sono passati 30 anni. Ma Dzerzinskij potrebbe tornare al suo posto, nel cuore della capitale della Russia, al centro della piazza dove tutto è cambiato tranne una cosa: la sede del servizio segreto russo, ora ribattezzato Fsb, è sempre nell’ imponente palazzo che domina lo slargo.
Da ieri e fino al 5 marzo infatti, i cittadini di Mosca possono votare online sulla proposta del Comune di dare un nuovo look alla piazza della Lubjanka. Dei molti progetti presentati, tra i quali quello di una fontana come ai tempi dello zar, quando il palazzo era la sede di una grande assicurazione, è quello di una statua ad avere ricevuto il placet della delle autorità municipali.
Già, ma la statua di chi? I nomi in ballo sono due. Quello di Dzerzinskij, appunto, lanciato in dicembre dall’ organizzazione «Ufficiali della Russia» fiancheggiata da molti blogger e da diversi scrittori. Ma lo zio Feliks, spietato giacobino proletario di Lenin, deve vedersela con un formidabile concorrente: l’ altro nome è infatti niente di meno che Aleksandr Nevskij, principe di Novgorod e di Vladimir, l’eroe che nel XIII secolo difese la Russia dagli invasori svedesi e dai cavalieri teutonici. Nevskij è stato a suo tempo votato come il «più grande russo di ogni tempo» davanti perfino al sommo poeta Aleksandr Puskin.
Il dibattito infuria e non è solo una questione di gusti. In gioco è a quale memoria storica la capitale della Russia di Putin voglia ricollegarsi. La Chiesa ortodossa, uno dei pilastri del regime, non ha dubbi: «La propaganda a favore di Dzerzinskij significa un’ amnesia storica», ha detto il numero due del patriarcato, il vescovo Savva Tutunov. Riportare in auge una delle figure più brutali dell’ epoca sovietica sarebbe anche uno schiaffo in faccia alle nuove generazioni liberali.
Il Cremlino però tace, dicendo che è un affare delle autorità moscovite. Anche se è noto che Vladimir Putin sia un ammiratore del principe Nevskij, del quale nel 2020 ricorrevano gli 800 anni della nascita. Costretto a rinviarle per la pandemia, Putin con un decreto ha disposto le celebrazioni per quest’ anno. Ma il suo predecessore alla guida del servizio segreto potrebbe rovinargli la festa. Alla domanda se il ritorno della statua di Dzerzinskij fosse una questione patriottica, il portavoce del Cremlino ha risposto che era una «questione provocatoria».