Due antinazisti distintisi per la loro attività nella Germania del III Reich e nella Norvegia occupata del collaborazionista Quisling sono finiti nel mirino della cancel culture. Un artista, Axel Revold, colpevole di rappresentazioni stereotipate. E un politico, Ernst Thälmann, segretario del Kommunistische Partei Deutschlands, il partito comunista tedesco negli anni dell’avvento di Hitler, colpevole di essere stato onorato dalla DDR, e quindi dall’Unione Sovietica. E quindi per le proprietà transitive che si applica oggi di essere associato alla Russia contemporanea di Putin e all’invasione dell’Ucraina.
Il “calderone” della Cancel Culture
I casi di Revold, rimasto a livello di cronaca nazionale norvegese lo scorso febbraio, e quello di Thälmann, innescato dal dibattito contro la Russia putiniana che si riflette contro i secoli di Storia e cultura russa (e sovietica) sono ovviamente diversissimi per contesto.
Ma sono affini per modus operandi della contestazione contro la figura storica. Ecco perché, come già ribadito in altri articoli riteniamo l’artista norvegese e il politico tedesco ottimi esempi di come agisca la “cancel culture” fuori da quello che è il contesto d’origine del termine stesso, ovvero le statue di confederati e schiavisti (in lato sensu). Si rischia di farne un “calderone”1, ma è evidente come le meccaniche in gioco siano sempre le stesse. Meccaniche già attive prima della nascita della stessa definizione di “cancel culture”, ovvero applicare le meccaniche della damnatio memoriae e dell’iconoclastia non già alla fine del momento “rivoluzionario” e all’instaurazione di un nuovo ordine. Meccaniche che in genere prevedevano comunque l’instaurazione del nuovo ordine anche a livello artistico, simbolico e iconografico. Bensì applicare queste meccaniche distruttive a freddo, in tempo di “pace”, per rettificare la Storia passata che non è in grado di allinearsi al pensiero contemporaneo. Non si procede più per stratificazione, bensì per cancellazione.
Axel Revold e l’accademia di belle arti clandestina
Fatte le dovute premesse passiamo al primo caso. Axel Revold (1887 – 1962) fu importante pittore, illustratore e professore alla Statens kunstakademi, l’Accademia Nazionale delle Arti norvegese. Figura di rilevanza nazionale ottenne numerose commisioni pubbliche realizzando affreschi per il Municipio e la Biblioteca nazionale di Oslo. Dal 1925 divenne professore alla Statens kunstakademi, ma nel 1941 organizzò una propria accademia clandestina in opposizione al regime collaborazionista di Vidkun Quisling, il cui cognome diventerà per antonomasia sinomino di stato fantoccio.
Nel corso del 1941 il contratto di Revold alla Statens kunstakademi e fu assunto al suo posto Søren Onsager, che era già stato nominato direttore della Nasjonalgalleriet, la galleria nazionale, proprio per riorganizzare l’arte norvegese in linea con l’arte del III Reich.
L’accademia clandestina di Revold, soprannominata Fabrikken essendo tenuta in una fabbrica abbandonata, divenne fucina della nuova generazione di artisti norvegesi.
Axel Revold e le rappresentazioni datate/stereotipate
Quella di Revold fu quindi un’azione diretta di opposizione al regime di Quisling. Un’azione che dovrebbe essere sufficiente a tutelarlo nella memoria collettiva. Ma in realtà scopriamo oggi che Revold fosse “razzista e colonialista”, in un paese, come la Norvegia che non è certo una di quelle nazioni che vengono in mente quando si parla di colonialismo2.
L’affresco in questione, dedicato alla geografia, è situato nella scuola superiore di Hersleb, e mostra un ragazzino biondo sognare un’esplorazione artica al centro. A sinistra un esploratore in Africa con i classici stereotipi delle epopee di Stantley, Livingstone (o del nostro Bottego). A destra una caravella con dei nativi, con la classica rappresentazione da pellerossa di un vecchio western, che la osservano tra le palme caraibiche.
L’affresco è arrivato al centro del dibattito norvegese3 grazie ad una documentarista, Anne-Liis Kogan, che ha realizzato un documentario in cui racconta l’umiliazione degli studenti di oggi (spesso norvegesi di prima o seconda generazione) di fronte a questa rappresentazione colonialista e razzista. L’aggravante è che secondo la Kogan e la giornalista Issa, l’affresco in questione, allegoria storico geografica con al centro l’epopea delle esplorazioni artiche norvegesi, avrebbe rappresentato il colonialismo come affrancamento dalla povertà per i norvegesi poveri! In una nazione che al netto di qualche concessione e qualche isola più o meno disabitata non ha mai avuto territori coloniali!
Per adesso, nonostante l’invocazione della rimozione, l’affresco riceverà solo un bel poster di contestualizzazione. Confidiamo che tenga conto anche dell’antinazismo del povero Revold. Ma per ha letto Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia sa bene che la contestualizzazione è sempre il primo passo per la rimozione.
Thälmann, un comunista contro Adolf Hitler
Ernst Thälmann (1886 – 1944) fu segretario del Kommunistische Partei Deutschlands dal 1925 al 1933. Animatore delle lotte operaie ad Amburgo, fino al tentativo d’insurrezione del 1923, divenne segretario del partito nel 1925. Unica ombra della sua carriera l’affare Wittorf: Wittorf, membro del comitato centrale del KDP si appropriò di alcuni fondi del partito sotto elenzioni, Thälmann lo coprì, per amicizia e opportunità tattiche. Una volta scoperto, venne costretto alle dimissioni, ma fu rimesso al suo posto per intervento diretto dello stesso Stalin. Thälmann rappresentava una garanzia nel contesto della linea tracciata dal successivo VI Congresso dell’Internazionale Comunista, di modo da allineare perfettamente il KDP alle posizioni staliniste.
Nelle elezioni presidenziali del 1932, che riconfermarono Von Hindeburg, e videro Hitler secondo, Thälmann fu il terzo classificato, conl 13,2 % al primo turno e il 10,2 % al secondo.
L’anno successivo, poco dopo dell’incendio del Reichstag di cui furono accusati i comunisti e servì per implementare il Reichstagsbrandverordnung, decreto che azzerava buona parte delle libertà civili sancite dalla costituzione di Weimar, Thälmann fu arrestato, passando i restanti 11 anni della sua vita tra carceri e campi di concentramento. Fu assassinato con un colpo di pistola alla nuca su ordine diretto di Hilter l’8 agosto 1944 a Buchenwald.
Il nome di Thälmann, già dopo l’arresto divenne un simbolo per i comunisti tedeschi, tanto che il battaglione di volontari tedeschi delle brigate internazionali durante la guerra civile spagnola fu intitolato proprio a Thälmann (Thälmann come Garibaldi e Lincoln insomma).
Nel 1985, nell’ambito di un progetto di riqualificazione a Berlino Est, gli venne dedicato un parco e un monumento. Monumento realizzato dal grande artista sovietico Lev Kerbel (nato a Cherniv nel nord dell’Ucraina). Suo anche il famoso faccione di Karl Marx a Chemnitz, tra le immagini più note della DDR (e tra le non molte opere di Krebel sopravvisute al crollo dell’URSS).
Monumento a Thälmann, un sostegno alla Russia di Putin?
Anche dopo il crollo del muro di Berlino il monumento a Berlino Est è rimasto al suo posto, salvo la rimozione di alcuni slogan nell’immediato del crollo. Nel 1993 venne fatta una proposta di rimozione, ma di nuovo non ebbe seguito e rimase nel cassetto fino ad oggi.
Quando torna il consueto pattern che i lettori di Iconoclastia ben conoscono:
- Vandalismi ripetuti, anche semplici graffiti senza connotazione politica;
- Installazione critica ad opera di artista contemporaneo, contestualmente all’ennesima ripulitura del monumento;
- Instaurazione di commissione storico-critica mirata a incentrare il profilo dell’azione politica di Thälmann nel contesto dello stalinismo e il suo ruolo nell’immaginario della DRR;
- Proposta di rimozione, ad opera del politico David Paul in quanto Thälmann era “antidemocratico”. Come si legge nell’intervista, Keine Ehrung für Anti-Demokraten, nessun onore agli antidemocratici. Con l’aggiunta di una strizzata d’occhio alla cancel culture antirussa contro la guerra in Ucraina. Visto anche che l’artista “sovietico” sarebbe oggi un artista “ucraino”. Secondo Paul il monumento andrebbe fuso e il recupero dei materiali grezzi dovrebbe andare come sovvenzione all’Ucraina.
Insomma, il pattern classico della cancel culture. Per adesso la proposta di Paul ha raccolto principalmente critiche, soprattutto per opera della SPD, ma certamente il rischio è concreto visto il nuovo cortocircuito comunismo = antidemocratico e filosovietico = putiniano.
Per il ragionamento di Paul rischierebbero anche figure come Togliatti, e forse persino Gramsci.
Cancel culture antirussa?
Per concludere, chi ci accusa di mettere tutto nel calderone, potrebbe trovare inopportuno veder classificare nella cancel culture anche la giusta indignazione per l’azione russa in Ucraina. Qualcuno potrebbe dire: “Certo ci sarà stata qualche reazione al limite, come la storia del corso su quello scrittore russo a Milano….. Come si chiamava? Ah, Dostoevskij“.
In realtà, se questa obiezione poteva aver senso (ancorché in maniera debole) all’inizio della guerra in Ucraina. E si corra inevitabilmente il rischio di passare da filoputiniani, visto che il tema della cancel culture è stato applicato dallo stesso Putin come proganda, allo stato attuale, il pattern della cancel culture ha ormai preso piede. E questo è un fatto che prescinde da qualsivoglia propaganda.
Vedasi il progetto cancelrussia.info organizzato da un collettivo di artisti e designer ucraini (alcuni anche di origine russa), dove si possono scaricare accattivanti poster con slogan del tipo “Non c’è cultura russa senza carri armati russi” in cui si legge: «Tutta la “grande cultura russa” è sempre stata un fedele cantastorie del loro sanguinoso impero, e l’impero li ha sempre usati per vantarsi della propria “grandezza”.»
E in uno degli interventi di approfondimento proposti (in cui ovviamente si predilige il filone degli studi decoloniali) si può leggere, un riferimento non così indiretto agli effetti di Delitto e castigo nella cultura e nella politica russa: «In Russia ha davvero vinto la cultura di “Dostoevskij”, dove l’omicidio non solo viene commesso, ma viene anche giustificato dal punto di vista della matematica. Come Rodion Raskolnikov appartiene, fisicamente e spiritualmente, non a se stesso ma allo stato, così ogni intellettuale russo oggi è coinvolto nell’etnocidio (“denazificazione” nella retorica ufficiale russa). Dopo tutto, la politica è, come nota Dostoevskij, “pensieri che galleggiano nell’aria”.»
Insomma Dostoevskij sarà anche morto da un pezzo, ma l’imperialismo russo-sovietico-putiniano è anche colpa sua. E allo stesso modo Revold e Thälmann, avendo assecondato alcuni elementi del loro contesto storico (pur essendosi ribellati con forza a quelli più totalitari) sono colpevoli allo stesso modo.
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1 – “Calderone” secondo la felice definizione di Cinzia Sciuto. Obiettivamente molte notizie vengono ascritte acriticamente al “calderone” della cancel culture. La giornalista di MicroMega nel convegno “Cancellare la Cancel Culture?” organizzato dall’Università di Verona online il 13 maggio 2021 in quell’ottica distingueva tra gettare tutte queste notizie intornoalla Cancel Culture in un calderone, od operare di setaccio, optando per questa seconda opzione. Vedi anche Cinzia Sciuto, Contro il dogmatismo della Cancel Culture, in MicroMega, 04 – 2021.
2 – Alla Norvegia in tema coloniale può essere ascritta il controllo di una società nel Mozambico portoghese che si occupava della coltivazione di olio di palma. E l’occupazione nel corso degli anni di alcune isole e arcipelaghi e la Terra di Regina Maud in Antartide. Per chi volesse approfondire c’è comunque una branca di studi neocoloniali dedicata, il “colonialismo scandinavo“. Citiamo da Wikipedia: “Il colonialismo scandinavo è una suddivisione all’interno dei più ampi studi coloniali che discute il ruolo delle nazioni scandinave nell’ottenere benefici economici al di fuori della propria sfera culturale. Il campo spazia dallo studio dei Sami in relazione agli stati norvegese, svedese e finlandese, alle attività dell’impero coloniale danese e svedese in Africa e nelle isole caraibiche come St. Thomas e Saint-Barthélemy.“
3 – Si ringrazia il Professore Lasse Hodne, Norwegian University of Science and Technology, per la segnalazione