Il massacro di Sand Creek è uno dei capitoli più sanguinosi delle guerre indiane ed ora a riaprire la ferita sono quattro discendenti delle vittime pellerossa, facendo causa al governo degli Stati Uniti per ottenere “i giusti risarcimenti per il crimine compiuto”.
di Maurizio Molinari su La Stampa del 13 luglio 2013
All’alba del 29 novembre del 1864 un reparto di cavalleria di circa 700 uomini, agli ordini del colonnello John Chivington, circondò l’accampamento di Sand Creek, in Colorado, dove si trovavano oltre 500 indiani delle tribù Cheyenne e Arapaho. Non si trattava di guerrieri ma di famiglie, che ritenevano Sand Creek un luogo protetto dai combattimenti delle guerre indiane in base al Trattato di Fort Wise del 1861. Ma la cavalleria ignorò quell’accordo, circondò l’accampamento con cannoni e obici da montagna, facendo fuoco ad alzo zero, prima di andare alla carica. Dopo cinque ore di massacro, restarono in terra 165 vittime incluso l’anziano capo Cheyenne Antilope Bianca che, appena visti i soldati, gli era andato incontro a braccia conserte, al fine di fargli capire che nessuno aveva intenzione di combattere.
La veste trafitta di Antilope Bianca trafitta dai proiettili è ora una delle prove con cui quattro discendenti delle famiglie pellerossa massacrate si sono presentati davanti alla corte distrettuale di Denver chiedendo al governo federale i risarcimenti per “gli atti di genocidio, tortura, mutilazione, abuso e intimidazione” compiuti a Sand Creek. Invocando, in particolare, una promessa fatta dal governo federale alle stesse tribù, nel 1866, ammettendo i torti compiuti. “Gli Stati Uniti riconobbero le atrocità commesse e si impegnarono a versare dei risarcimenti alle vittime ma questo non è mai avvenuto” si legge nell’atto depositato in tribunale chiedendo che ora “il torto venga sanato” facendo arrivare a destinazione i fondi stanziati 147 anni fa. L’accusa in particolare è al ministero degli Interni che “avrebbe mantenuto i fondi destinati alle vittime in violazione della legge degli Stati Uniti”. I quattro querelanti sono determinati a trasformare la causa in una “class action” a nome di tutti i discendenti delle tribù Cheyenne e Arapaho.
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