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Delitto Matteotti: cent’anni di depistaggi, retroscena ed amnesie

di Enrico Tiozzo per “Storia In Rete.com” – primo giugno 2024

Abbiamo chiesto ad un nostro storico collaboratore, il professor Enrico Tiozzo, professore emerito di Letteratura italiana all’università di Göteborg, in Svezia, di riassumere, ancora una volta, anni e anni di ricerche su Giacomo Matteotti e sulla sua tragica fine. Senza nulla togliere al coraggio dell’uomo così come alle responsabilità (del resto chiare e confessate già all’epoca) di chi lo ha assassinato, le celebrazioni per il centenario della morte e l’inevitabile retorica che hanno prodotto, hanno come spesso accade per i fenomeni storici, messo in ombra aspetti non trascurabili e ben documentati. Lo scopo di chi si occupa di storia onestamente non è quello di semplificare ma casomai di complicare le cose, rendendo ad ogni fenomeno o personalità la sua inevitabile complessità e, sovente, contraddittorietà. Ecco perché pubblichiamo con piacere e orgoglio questo articolo, convinti che saprà raccontare ed evidenziare molti aspetti ancora poco noti. (Sir)

Un secolo di scritti, a partire da quelli dei giornali nel 1924 sull’assassinio di Giacomo Matteotti, fino ad arrivare alla miriade di articoli, saggi e perfino romanzi che stanno uscendo nel centenario, non sono serviti se non a confondere le acque e a nascondere la verità dei fatti, quella contenuta nei documenti e negli atti processuali su un delitto feroce quanto inutile e dannoso agli autori. La sinistra ha fatto di Matteotti il suo mito personale: il Martire dal coraggio indomabile barbaramente ucciso da una squadraccia fascista mentre si preparava a rovesciare il governo Mussolini, a sconfiggere la dittatura (che però ancora non c’era) e a svelare imbrogli e intrallazzi dei politici (tranne quelli di sinistra ovviamente) di un secolo fa. Approfittando dell’ondata emozionale e sviluppando a tappeto un progetto certamente studiato e preparato con attenzione, la propaganda orchestrata in questo centenario si è così spinta fino al punto di ignorare o di cancellare le verità documentali ormai passate in giudicato, travolgendo tutto in un ciclone di approssimazioni, inesattezze e vere e proprie falsità.

Il professor Enrico Tiozzo ha condensato anni di ricerche nel suo recente “Dove andava Matteotti?” (Aracne, 2022), disponibile su www.libreriadistoria.it

Vediamo di metterne in luce almeno qualcuna indiscutibile. Il discorso di Matteotti alla Camera il 30 maggio 1924 è contenuto nei due volumi dei “Discorsi parlamentari” di Matteotti, pubblicati dalla camera nel 1970 per volontà del prefatore Sandro Pertini. Basta rileggerlo per vedere che Matteotti accusò il governo di scandalosi brogli elettorali e, invitato serenamente dal governo stesso in quella seduta a produrre qualche prova di quanto diceva, rispose che non toccava a lui produrre prove ma toccava al governo provare la sua innocenza, argomento assurdo soprattutto pensando che Matteotti era laureato in giurisprudenza. La sostanza del discorso è tutta qui ed era in linea con tutta l’attività parlamentare che Matteotti aveva svolto fino ad allora e che abbiamo analizzato minuziosamente nel I volume dello studio Matteotti senza aureola. Il politico, Aracne, Roma 2015.

Matteotti aveva l’abitudine di lanciare alla Camera accuse veementi contro il governo senza avere in mano alcuna prova e veniva puntualmente smentito. Quanto alle sue proposte di legge, basti dire che non voleva che si concedesse il voto alle donne, voleva diminuire il numero delle Università, voleva che le eredità passassero direttamente allo Stato anziché agli eredi, proponeva che gli alcolici venissero tassati a secondo delle esigenze bevitorie di chi li acquistava e che gli stranieri li pagassero più degli italiani, e altre trovate di questo genere che facevano sí che le sue proposte di legge destassero l’ilarità della Camera. Come provocatore e accusatore sistematico non veniva preso sul serio nemmeno dai suoi compagni socialisti e Filippo Turati, come documentano le sue lettere alla Kuliscioff, lo considerava un ariete buono da usarsi per creare confusione in aula. Alla notizia della sua morte, Turati pur compiangendolo scrisse parole di gioia (nero su bianco) alla Kuliscioff dicendo che con questa morte finalmente si sarebbe posto fine al fascismo, il che la dice lunga sull’omicidio.

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Nel centenario, a proposito della “squadraccia fascista” che uccise Matteotti, qualcuno ha addirittura rispolverato la famosa “Ceka”, dicendo che Mussolini, dopo il discorso di Matteotti il 30 maggio 1924, si sarebbe lasciato scappare la frase: “Ma la Ceka che fa?”. In realtà Mussolini forse disse (non ci sono prove): “Ma Dúmini che fa?”, anche se più probabilmente non disse niente perché Matteotti era fastidioso ma inoffensivo. La famigerata “Ceka”, “la polizia segreta fascista” non è mai esistita, né la voce figura nei due volumi del Dizionario del fascismo, edito da Einaudi, 2002-2005. Amerigo Dúmini invece ebbe veramente da Marinelli, di cui era uomo di fiducia, l’incarico di sequestrare a scopo intimidatorio Matteotti per intimorirlo e indurlo così ad una minore aggressività. Dúmini era vicino a Cesare Rossi e veniva effettivamente usato per azioni intimidatorie (non certo per omicidi) come egli stesso ammise durante gli interrogatori a cui venne sottoposto nei processi che subì nel 1926 e nel 1947. Fu lui a scegliere i cinque che lo avrebbero assistito nel sequestro di Matteotti. Si trattava di cinque fascisti, disoccupati e male in arnese, scelti tra i suoi conoscenti: Volpi, Poveromo, Panzeri e Viola, cui poi all’ultimo momento si aggiunse Malacria, l’ex ufficiale, medaglia d’argento, che con ogni probabilità fu il vero responsabile della morte di Matteotti sferrandogli un energico pugno tra petto e stomaco che lo atterrò.

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È evidente che non era stato pianificato alcun omicidio dal momento che il sequestro si svolse alla luce del sole, alle 16 e 30 circa del pomeriggio del 10 giugno e alla presenza di ben otto testimoni oculari, che rilasciarono poi tutti a Mauro Del Giudice, il giudice istruttore, grande antifascista, ripetute testimonianze che sono agli atti del processo. I sequestratori del resto non avevano un posto dove potersi liberare del corpo di Matteotti né gli strumenti per poterlo seppellire. Volevano solo trattenerlo per qualche ora e probabilmente fargli bere l’olio di ricino, come avevano fatto con altri in altre occasioni su ordine di Marinelli.

Ma c’è di più: Matteotti sapeva benissimo che quel giorno sarebbe stato sequestrato ma uscí ugualmente di casa ben deciso a farsi rapire per sollevare un polverone poltico. Questa verità viene taciuta sistematicamente benché sia stata verbalizzata senza ombra di dubbio negli interrogatori del giudice alla moglie di Matteotti, alle due cameriere di Matteotti, al segretario di Matteotti e perfino al portiere di Matteotti! Uno degli uomini al seguito di Dúmini, l’austriaco Otto Thierschädl, faceva il doppio gioco e avvertí piú volte Matteotti del progettato sequestro fino allo stesso 10 giugno, alla porta del suo appartamento in via Pisanelli (mentre Matteotti era in casa) parlando con la cameriera e con la stessa moglie del deputato, Velia Matteotti, che poi rilasciarono puntuale testimonianza.

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Matteotti uscí di casa a piedi e dopo un centinaio di metri arrivò sul Lungotevere Arnaldo da Brescia dove venne avvicinato da Volpi e Malacria che lo invitarono a seguirli in una macchina parcheggiata a via degli Scialoja, dove Dùmini aspettava al volante. Matteotti vide che si avvicinavano altri tre sequestratori, Viola, Panzeri e Poveromo, e chiunque in una situazione analoga avrebbe accettato l’invito, ma scelse invece consapevolmente di reagire con la forza spingendo a terra Volpi. Automaticamente allora Malacria lo colpí al corpo (il viso non doveva essere toccato proprio perché il sequestro non doveva lasciare segni) ma non calcolò la forza del suo colpo, sferrato ad un uomo che aveva il torace della misura di un dodicenne, come provano i documenti del suo servizio di leva, e che era gravemente malato. E a questo proposito come mai non esiste alcuna traccia documentale dell’anamnesi di Matteotti, malato fin dall’adolescenza? Chi può avere avuto interesse a farla sparire se non chi voleva creare il mito di Matteotti, della feroce uccisione di un uomo nel pieno delle sue forze e pronto a combattere battaglie epocali contro il fascismo?

Di pari inconsistenza e falsità sono le invenzioni sui documenti segreti che Matteotti avrebbe avuto dagli inglesi sullo “scandalo dei petroli”, sul suo articolo pubblicato sulla rivista di cucina e sport “English Life”, e via di questo passo. Lo abbiamo documentato minuziosamente nei volumi Matteotti senza aureola, Vol. II, il delitto, Bastogi, Roma 2017 e Dove andava Matteotti? Storia critica di un depistaggio lungo un secolo, Aracne, Roma 2022. L’uccisione di Matteotti fu un tragico incidente che nessuno voleva a partire proprio da Mussolini che non solo non ne diede mai l’ordine – cosa oggi data per certa mentre non esiste un solo documento che la provi! – perché chiunque capisce che una tale morte avrebbe potuto solo procurargli una serie infinita di problemi come infatti gli provocò. Qui si tratta di logica elementare, di cui la sinistra appare oggi incapace nel suo spregiudicato sfruttamento del mito di Matteotti.

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