di Paolo del Debbio da “La Verità” del 9 febbraio 2022
Non c’è pace per i morti ammazzati e gettati brutalmente nelle foibe, legati con un filo di ferro gli uni agli altri in modo che, spinto il primo, questo si sarebbe trascinato dietro tutti. Non è inutile ricordare che questo nome, foiba, deriva dal latino fovea che vuol dire antro, spelonca, e infatti le foibe furono chiamate così proprio perché sono delle specie di inghiottitoi naturali tipici delle zone carsiche che sembrano fatti apposta per nascondere l’orrore di quegli eccidi. Domani si celebra il Giorno del ricordo in memoria proprio della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, nonché dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati, costretti a lasciare le loro terre nel secondo dopoguerra.
Questa data è stata istituita dalla legge del 30 marzo 2004, n. 92. Dunque una legge nazionale nella quale, all’articolo 2, si invitano le istituzioni e le scuole a organizzare «iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi». Per lo stesso giorno – 10 febbraio – l’ineffabile professor Tomaso Montanari, Rettore Magnifico dell’Università per stranieri di Siena, ha indetto un convegno dal titolo «Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del ricordo». Non vogliamo fare quello che George W. Bush fece nel caso dell’Iraq, cioè un attacco preventivo. Del contenuto del convegno, ovviamente, parleremo a tempo debito. Ma viste le affermazioni recenti del Magnifico, che ha timbrato come «legge neofascista che va cancellata» la legge istitutiva di questo Giorno del ricordo, e visto che ritiene questa celebrazione «frutto di battaglie revisioniste» e «il più clamoroso successo di falsificazione storica da parte della destra più o meno fascista», capirete bene che qualche dubbio ci viene, anche perché il professore ama citare spesso una frase di Eric Gobetti tratta dal volume “E allora le foibe?”, nella quale lo storico sostiene che «la Giornata del ricordo come è stata concepita è il momento in cui la versione del neo fascismo italiano diventa la versione ufficiale dello Stato».
Sia pure a dir poco ributtanti, a questi rappresentanti dell’intellighenzia più alla moda va dato atto almeno di dire le cose con chiarezza. Con tutta onestà e con tutto il rispetto nei confronti di chi lo ha votato, ci sia permesso di chiamare il professor Montanari semplicemente rettore, perché di magnifico nelle sue parole rinveniamo ben poco. E si noti bene, non riteniamo aberranti queste parole per una questione storica che, come tutte le questioni storiche, può e deve essere discussa sempre e legittimamente.
Si chiama ricerca scientifica. Il motivo è un altro: se il professor Montanari – che non avrà certo difficoltà a rastrellare a proprio sostegno un gruppo di costituzionalisti, storici e magari anche qualche ottone (non ci riferiamo alla dinastia ottoniana dal Ducato di Sassonia fino al Regno d’Italia, ma più semplicemente alla famiglia degli strumenti a fiato cui appartengono anche i tromboni) – ritiene che questa legge sia neofascista, appellandosi alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista, nonché alla legge Scelba del 1952 che introdusse il reato di apologia del fascismo, nonché alla legge Mancino del 1993 che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni, slogan e violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, si rivolga – corroborato dal gruppetto sopra descritto – alla Corte costituzionale e sollevi il caso di illegittimità costituzionale della legge che ha stabilito nel 2004 il Giorno del ricordo.
Perché delle due l’una: o il convegno indetto dal professor Montanari rappresenta solo un’occasione di scandalo storiografico (che non c’entra nulla con la scientificità), oppure è una cosa seria, ma le cose serie esigono normalmente che chi le propugna vada fino in fondo, se no si tratta del famoso sasso lanciato e seguito dal nascondimento della mano che lo ha lanciato.
Non c’è un presidente della Repubblica – a partire da Giorgio Napolitano che pure, lo ricordiamo en passant, nel 1956 si pronunciò a favore dell’invasione sovietica dell’Ungheria, riconoscendo in seguito lo sbaglio e dichiarando che «sui fatti d’Ungheria, sulla rivoluzione e sulla repressione aveva ragione Nenni» – che non abbia difeso il Giorno del ricordo con forza. Perché chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale non può che riconoscere quello che Napolitano stesso disse nel 2008: «Non dimentichiamo e cancelliamo nulla: nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra. Ma non possiamo certo dimenticare le sofferenze, fino a una orribile morte, inflitte a italiani assolutamente immuni da ogni colpa». A parte la colpa, aggiungiamo noi, di non sottostare al regime comunista di Tito e per molti la colpa di rappresentare la società borghese, rea di avere delle proprietà private in quelle zone e di non aderire al regime titino. Noi celebreremo il Giorno del ricordo come un atto doveroso, costituzionalmente ineccepibile, storicamente e umanamente imprescindibile. In altri termini, un atto dovuto.