Cangrande della Scala, Signore di Verona, morì il 22 luglio 1329 a Treviso, appena trentottenne, in conseguenza di una rara malattia genetica. A svelarlo sono state le analisi condotte dal Laboratorio di Genomica Funzionale del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, diretto dal professor Massimo Delledonne
da Artemagazine del 20 maggio 2021
È stata la Glicogenosi tipo II ad esordio tardivo, a portare alla morte, in soli tre giorni, Cangrande della Scala, Signore di Verona, nel 1329. Cangrande, dunque, non fu assassinato come sostenuto a lungo da una certa tradizione, ma morì per una rara malattia genetica.
A rivelare le reali cause della sua morte sono state le analisi condotte dal Laboratorio di Genomica Funzionale del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, diretto dal professor Massimo Delledonne. Una indagine genetica mai eseguita prima sul DNA di una mummia. Il DNA di Cangrande è stato estratto in collaborazione con il Laboratorio di Antropologia Molecolare e Paleogenetica dell’Università di Firenze, coordinato dal prof. David Caramelli e dalla prof.ssa Martina Lari, esperti nell’estrazione di DNA antico.
Utilizzando le nuove tecnologie di sequenziamento diagnostico applicate nei più avanzati centri di ricerca a persone malate per migliorare la diagnosi, la prognosi e la cura delle malattie a base genetica, è stato possibile non solo ricostruire l’informazione custodita nel DNA di Cangrande della Scala, ma anche riconoscere le condizioni patologiche che hanno determinato la sua morte.
L’indagine, in realtà, è partita molto tempo fa, nel 2004 quando, per decisione del Comune e i civici Musei d’Arte, fu organizzata la ricognizione e l’apertura dell’arca funebre di Cangrande della Scala, che portò ad identificare il corpo mummificato dello scaligero, più o meno nelle medesime condizioni in cui era già stato rinvenuto all’interno della cassa nell’apertura del 1921 (in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri). Il corpo del Principe fu sottoposto ad una serie di indagini scientifiche e autoptiche prima di essere nuovamente riposti nell’arca che li aveva preservati per secoli. Parte dei materiali biologici, in particolare il fegato e alcune falangi del piede, furono inviate all’Università di Pisa per ulteriori indagini biomediche. Nei primi mesi del 2007, i reperti furono restituiti e depositati presso il Museo di Storia Naturale perché venissero conservati e resi disponibili per futuri ulteriori studi.
Oggi arrivano finalmente i risultati di questa storica indagine, che sono stati presentati a Verona, al Museo di Storia Naturale, dal sindaco Federico Sboarina e dall’assessore alla Cultura Francesca Briani. Presenti il direttore dei Musei civici Francesca Rossi. Ad illustrare la ricerca, per l’Università di Verona Massimo Delledonne – Dipartimento di Biotecnologie e Alessandro Salviati – Dipartimento di Biotecnologie, per l’Università di Firenze David Caramelli – Dipartimento di Biologia. Presenti Ettore Napione dell’Ufficio Unesco del Comune di Verona, che ha curato parte dei riscontri storici dello studio, e Leonardo Latella del Museo di Storia Naturale.
“Attraverso uno studio genetico mai eseguito prima su campioni di mummia risalenti a 700 anni fa – ha spiegato il sindaco di Verona – è stato possibile svelare molti aspetti della vita e della morte di una delle figure storiche più importanti della nostra città. La morte di Cangrande oggi non è più un mistero. Contrariamente a quanto sospettato per secoli, il Signore di Verona non fu assassinato, ma morì per cause naturali o, più correttamente, per una malattia genetica. Un risultato straordinario, frutto di un lavoro di squadra importante, che ha visto collaborare in stretta sinergia il Comune di Verona, con la direzione dei Musei civici, e le Università di Verona e Firenze”.
“Si mette così la parola fine – ha aggiunto l’assessore alla Cultura del Comune di Verona, Francesca Briani – ad uno dei misteri che ancora circondano la Signoria Scaligera, la famiglia che accolse l’esiliato Dante in città e che il poeta ricorda nella Divina Commedia.
“La scelta di affidare i resti di Cangrande della Scala al Museo di Storia Naturale – ha sottolineato la Direttrice dei Musei Civici di Verona, Francesca Rossi – venne dettata dal fatto che la conservazione dei materiali biologici richiede particolari accortezze, già previste per le collezioni del Museo, in particolari quelle zoologiche. Attraverso questo straordinario progetto è stato finalmente possibile completare il percorso di analisi sui reperti custoditi dal 2004 e giungere a risultati scientifici certi, che svelano le cause della morte di Cangrande della Scala”.
Le Analisi
Una prima estrazione, eseguita su frammenti di fegato, non ha reso possibile il sequenziamento clinico.
È stata quindi effettuata una seconda estrazione, da un piccolo frammento di falange. Anche in questo caso la quantità di DNA estratto presentava DNA contaminante. Una percentuale di DNA umano più elevata consentiva però di portare avanti un percorso di analisi.
Il laboratorio di Genomica Funzionale dell’Università di Verona ha dunque deciso di applicare una tecnica di laboratorio attualmente utilizzata per la diagnosi clinica di pazienti affetti da malattie genetiche, che ha permesso di catturare in modo specifico i circa 35 milioni di basi del DNA che contengono i geni umani, eliminando così il DNA contaminante.
Cangrande è stato quindi “sequenziato” come se si trattasse di un paziente dei nostri giorni, e l’analisi bioinformatica degli 83 milioni di sequenze prodotte ha portato alla ricostruzione del 93.4% dei suoi geni, un valore davvero molto elevato.
La malattia
Le analisi successive hanno permesso di identificare 249 varianti associate a malattie da cui è stato possibile riconoscere due mutazioni diverse nel gene dell’enzima lisosomiale α-glucosidasi acida. La malattia che deriva dalla disfunzione di questo enzima è una glicogenosi, in questo caso la Glicogenosi tipo II.
Nei casi ad esordio tardivo, come quello riconducibile a Cangrande, la malattia si evidenzia in una scarsa resistenza alla fatica fisica, difficoltà respiratoria, debolezza muscolare e crampi, fratture ossee spontanee e cardiopatia.
La morte dei pazienti adulti è spesso quasi improvvisa, come accaduto a Cangrande, deceduto dopo solo tre giorni di malattia.
Il medico di Cangrande, nel tentativo di contrastare la debolezza, somministrò dosi eccessive di digitale (una sostanza utilizzata come cardio tonico) e questo fece pensare ad un avvelenamento, tanto che il medico venne impiccato di lì a poco. Oggi sappiamo che quella somministrazione era ben lungi dall’intento di avvelenare il Principe.