Finché si scherza, si scherza. Ma prima o poi – e succede da qualche millennio – Roma sacrifica sull´altare del potere un´altra delle sue vittime; e dopo la cerimonia, che è cruenta, ma sempre invisibile, dentro i fumi del rogo già pare di scorgere l´immagine della creatura immolata, e con lei i dubbi, i sospetti, le leggende, le accuse, le credenze, i miti, a volte, che ne accompagneranno la più fantasmatica sopravvivenza all´interno del sistema politico, mediatico e cannibalico.
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Filippo Ceccarelli da La Repubblica
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“Anvedi, porello”, poveretto, o forse “porella”, nel caso di Brenda, commenteranno i romani veraci, quelli che da venerdì mattina guardano l´orologio aspettandosi con impaziente scetticismo l´ingresso in scena dei servizi segreti. Perché non c´è qui fattaccio politico o delitto parapolitico che non contempli l´ombra di qualche spione. Basti pensare che pure nell´omicidio di via Poma, a un certo punto, è spuntato fuori un confidente del Sisde, impegnatissimo ad alzare il polverone.
E anche nella storiaccia dell´Olgiata: a parte un certo numero di magheggi finanziari che collegavano certi conti svizzeri con l´onnipresente tangentona Enimont, la povera contessa aveva una relazione con un vicedirettore del servizio di sicurezza il quale in un empito di generosità le aveva regalato una collana con un biglietto che diceva: «Spero che ti ci possa strozzare», o qualcosa del genere, comunque poco simpatico e purtroppo abbastanza preveggente.
Nella città eterna, d´altra parte, i servizi possono entrare nell´almanacco dei delitti anche con ritardo quarantennale. Nel 2001 l´attuale direttore de Il Fatto, Antonio Padellaro, ha scritto un libro, “Non aprite agli assassini” (Baldini Castaldi Dalai) in cui il celebre caso Fenaroli (1958), marito condannato per aver strangolato la moglie Maria Martirano per ragioni di interesse, potrebbe invece spiegarsi con un ricatto che il sospetto assassino aveva imbastito ai danni dell´allora presidente della Repubblica Gronchi, roba di finanziamenti dell´Eni di Mattei.
Dell´Eni del resto si era occupato a fondo Pasolini, che ne stava scrivendo in Petrolio, e di stragi. “Io so”: così cominciava i suoi articoli corsari. Per cui anche su quell´assassinio, altrimenti giustificato, si proietta il dubbio, si dipana l´incredulità, si nutre il romanzo giallo e quello nero, non di rado a puntate. Il punto di ambiguità è che i cadaveri non parlano, ma spesso e volentieri evocano terribili e plausibili certezze sulla loro fine.
Così quando l´energia del potere si dilata fino a comprendere le debolezze per non dire i vizi dei potenti – la droga e il sesso – ecco che lo spettro di una bella ragazza tedesca accoltellata nel 1963, Christa Wanninger, o quello di due giovani trovati morti dieci anni dopo sulle rive del lago di Martignano, la modella Tiffany e il suo amante Carabei, sembrano puntare il dito sulle perversioni altolocate o sul traffico della cocaina, sui ritrovi notturni dei ricchi come il Number One, in entrambi i casi con le dovute e innominabili complicità.
Invocatissimo, a proposito di Brenda e delle possibile conseguenze sulla vita pubblica, è l´affare che nel 1953 prese il nome da Wilma Montesi, la ragazza annegata, e anche lì c´erano le orge, c´era la droga, c´era un mare di chiacchiere, un delicato passaggio politico, un senso diffuso d´impunità.
E tuttavia, ciò che più rimanda al presente è che anche a quei tempi sotto accusa non era una persona, ma un´entità collettiva dissoluta e privilegiata; e che moltissimi erano disposti a credere che i colpevoli fossero da ricercare lì dentro, o lì sotto, comunque in quella che oggi si definisce la casta.
Accadde lo stesso dopo l´uccisione di Mino Pecorelli; o dopo il singolare suicidio del direttore generale delle Partecipazioni Statali, Castellari, trovato morto nel 1993 con un colpo già in testa, ma il cane della pistola sollevato. A pensarci bene, è un´impressione che si conferma anche nei delitti maturati sotto la cupola di San Pietro, la scomparsa di Emanuela Orlandi o la strage delle guardie svizzere: e in tutte e due le occasioni è mancata una parola pura, vera, autentica, sincera e addolorata, mentre abbondavano le versioni più comode e scivolose.
Con il risultato però di sollevare, sia pure per un attimo, la spessa coltre, l´indispensabile velo che nasconde alla vista il volto oscuro del potere, la grande menzogna della sua rispettabilità che in alcune circostanze si dissolve risolvendosi nel suo contrario.A questa trasfigurazione la Città Eterna offre da sempre scenari barocchi, insieme imprevedibili e scontati, carnali e simbolici, grandiosi e miserabili come l´appartamentino bruciacchiato della povera Brenda.
Da Tacito a San Bonaventura, che la identificava con la Grande Meretrice dell´Apocalisse; da Lutero, che la chiamò “cloaca”, fino alle cronache di via Due Ponti, Roma stupisce con i suoi sacrifici al Comando, ai suoi peccati, ai suoi scarti. “Quell´adorabile Roma perversa/ in cui ogni immondizia somiglia/ a un´immondizia diversa” (Gaio Fratini). Quella Roma in cui ancora usa dire, con sfacciata malinconia: “Chi nun more se rivede”.
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Inserito su www.storiainrete.com il 24 novembre 2009