L’Unione Europea ha risposto negativamente alla richiesta di sei Paesi membri usciti dal passato comunista di equiparare il negazionismo dei crimini staliniani a quello (che è punito per legge) dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Bulgaria, Lituania e Lettonia hanno conosciuto sulla loro pelle la brutalità indicibile del comunismo sovietico: ma per la Commissione Europea dovranno rimanere crimini di Serie B.
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di Stenio Solinas da “Il Giornale” del 24 dicembre 2010
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La storia riletta con l’occhio della legge non è mai un bell’affare e il comparativismo criminal-giuridico ancora meno. Nei giorni in cui l’Unione Europea dibatteva e poi respingeva l’equiparazione fra la Shoah e le vittime dello stalinismo, e quindi fra nazismo e comunismo, mi sono andato a rileggere quel bel libro che si chiama Koba il Terribile (Einaudi ed.) scritto da Martin Amis qualche anno fa.
Io non credo alla criminalizzazione della politica, disprezzo gli studi psicanalitici travestiti da saggi storici e, così come non mi ha mai convinto una lettura psichiatrica del nazionalsocialismo, mi lascia indifferente un’analisi del leninismo e dello stalinismo condotta con i medesimi criteri. Ma questo libro è così particolare da meritare un cambiamento di vedute. Amis non è uno storico, è un romanziere inglese, figlio di quel Kingsley Amis che fu un acceso comunista negli anni Trenta-Quaranta e un fervido anticomunista nei due decenni successivi, un comunismo e un anticomunismo i suoi tipicamente anglosassoni, ovvero squisitamente intellettuale nel primo caso, assolutamente empirico e pratico nel secondo. Nato nel 1949, Martin Amis è stato in qualche modo vaccinato dall’esempio paterno, ma l’avere la sua giovinezza coinciso con la contestazione e l’effimero rifiorire del marxismo come movimento libertario e terzomondista, ne fa un testimone attendibile della sua epoca e del fascino che questa dottrina ancora esercitò in quegli anni.
Cosa c’è di nuovo in Koba il Terribile che giustifica il parlarne a chi, come i lettori di questo giornale, non ha certo aspettato la caduta del Muro di Berlino per fare i conti con questa utopia negativa del XX secolo? C’è che Amis coglie un elemento fondamentale per spiegare il successo e l’appeal che per quasi sessant’anni accompagnò il comunismo in Russia e fuori: l’esperimento in corpore vili di un’avanguardia intellettuale, una setta di rivoluzionari di professione, in guerra contro un’intera società. Quando per giustificare la superiorità «morale» del comunismo nei confronti del nazionalsocialismo si dice che, a differenza di quest’ultimo, non ci fu l’eliminazione, razzialmente sistematica, di un’etnia, ci si dimentica di aggiungere che fu qualcosa di peggio: l’eliminazione forzosa di tutto ciò che non era in sintonia con l’ideologia professata. Il comunismo in Russia non eliminò gli ebrei in quanto tali, eliminò l’intera Russia: gli intellettuali, cioè in realtà i professionisti, ingegneri, professori, imprenditori, i proprietari terrieri e i contadini, i commercianti, tutti quelli che, indipendentemente dalla loro estrazione sociale, potevano essere considerati, o si rivelavano, ostili e/o estranei al nuovo corso. Fu un’eliminazione ottenuta con la violenza, la delazione, l’inganno e resa altresì possibile dalla più assoluta mancanza di pietà: non c’erano legami familiari, amicali, di ceto o di costume a cui potersi richiamare, c’era la sottomissione totale a un sistema di pensiero e di potere, alla instaurazione della società comunista in terra. Alla solita, stupida obiezione del fine che giustifica i mezzi, oppure del fine buono tradito dal mezzo cattivo, Amis risponde lucidamente: «Non è affatto chiaro come l’idea del paradiso-via-inferno abbia potuto sopravvivere a un solo istante di riflessione. Proviamo a immaginare che il “paradiso” promesso da Trockij sorgesse improvvisamente dal mucchio di macerie del 1921. Sapendo che per crearlo erano state sacrificate milioni di vite, chi avrebbe voluto abitarlo? Un paradiso a quel prezzo non è un paradiso. I mezzi determinano i fini, è stato detto, ma in Urss i mezzi sono stati l’unica cosa che si sia stati in grado di raggiungere. Esiste una contraddizione dentro la contraddizione: l’utopista militante, il perfettibilizzatore, nutre già in partenza una risentita rabbia verso l’evidenza della imperfettibilità umana. Nadezda Mandel’stam parla della “satanica” arroganza dei bolscevichi. La loro è anche un’infernale insicurezza e ostilità, un’infernale disperazione».
Questo spiega anche l’altro elemento che caratterizza il totalitarismo marxista-leninista. Il fascismo e il nazionalsocialismo furono spietati nei confronti dei loro avversari, ma la loro spietatezza coincideva con l’annientamento fisico. Qui, invece, sempre, comunque e prima dell’eliminazione fisica c’è l’eliminazione psicologica. Non ci si accontenta del corpo, si vuole l’anima. Le «confessioni», i «processi» miravano a questo, al riconoscimento dell’errore, alla espiazione e alla riaffermazione della giustezza della causa: non solo io sono colpevole, ma mi faccio schifo in quanto tale ed esigo il castigo che la mia colpevolezza comporta…
La costruzione di un sistema del genere può reggersi solo se il grado di spietatezza è totale e se tutti ne sono consapevoli. Ed è questa militarizzazione della vita pubblica, questa trasformazione di ciascuno dei suoi membri in combattente e custode dell’ortodossia, e quindi spia, delatore, tutti traditori di tutti, che permette negli anni la durata del regime. Una volta che essa comincia a venir meno, via via che la tensione si allenta, perché inumana, non in grado di mantenersi per più di una generazione, il risultato è la crisi e poi la dissoluzione del regime stesso. Come ha scritto Solzhenitsyn, alla base della lunga sopravvivenza del regime c’è «la sua forza disumana, inimmaginabile nell’Occidente». Lo storico Robert Conquest ha spiegato che «la realtà dell’attività di Stalin spesso non veniva creduta proprio perché appariva incredibile. Il suo stile si fondava sul fare ciò che in precedenza era stato considerato moralmente o fisicamente inconcepibile».
Il libro di Amis racconta proprio questo: la creazione intellettuale di un «uomo nuovo» inumano, privo cioè di quegli elementi del vivere civile comunemente intesi, una macchina programmata per una società ferrea, subordinata in tutto e per tutto all’affermazione di un’idea, la società degli eguali militarmente intesa, ovvero un gigantesco, lugubre cimitero.
È l’incredibilità dell’esperimento che aiuta a spiegare, non a scusare, il plauso, anch’esso intellettuale, che in Occidente lo accompagnò. Il 7 aprile 1935 un decreto, pubblicato sulla prima pagina della Pravda, stabilì che sopra i dodici anni si era passibili «di tutte le misure della giustizia penale», inclusa la pena di morte. Era una legge che aveva due obiettivi, nota Amis: «Uno era sociale, accelerare l’eliminazione della moltitudine di orfani inselvatichiti e allo sbando creati dal regime. L’altro era politico: applicare una barbara forma di pressione sui vecchi oppositori, Kamenev, Zinov’ev, che avevano figli di età idonea; presto questi uomini sarebbero caduti e con loro anche le loro famiglie. La legge del 7 aprile 1935 era la cristallizzazione dello stalinismo “maturo”. Cercate di immaginare la massa del guantone con cui Stalin vi colpiva in faccia, immaginate la massa». Bene, il Partito comunista francese dell’epoca, dovendo commentare quella legge, sostenne che era giusta. Sotto il socialismo, infatti, i bambini crescevano molto più in fretta… È un sublime umorismo involontario, e strappa una risata: ma dietro questa risata vi sono, come ricorda il sottotitolo di Koba il Terribile, «venti milioni di morti»… Se siano o no comparabili non ce lo faremo dire dalla Ue.
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Inserito su www.storiainrete.com il 27 dicembre 2010
Egregio sig. Jean Lafitte, è facile immaginare -da come scrive e risponde- che lei ha avuto un percorso comunista o similare. A tal riguardo nessuna recriminazione, supponendosi che tutti coloro i quali hanno operato questa scelta, lo abbiano fatto al fine di vedere una politica capace di distribuire le ricchezze prodotte negli stati. Non è possibile -pertanto- mettere in dubbio la buona fede dei militanti od anche dei soli simpatizzanti, benché -ovviamente- da altre parti e per le stesse ragioni altri abbiano fatto scelte diverse se non addirittura opposte alle sue.
Pur tuttavia se la buona fede è un fatto che si possa dare per scontato a lei ed altri compagni, non può dirsi la medesima cosa dei capi e dei dittatori totalitari.
In questo caso -non si offenda per questo- sembra aver ragione il sig. Emanuele nell’affiancare le due figure di Hitler e Stalin, giudicandole entrambe nefaste. Entrambi hanno avuto bisogno di creare un nemico su cui catalizzare l’odio del popolo da essi governato, Hitler ha percorso la strada dell’odio etnico, Stalin quella dell’odio per i dissidenti, dei compagni che sbagliano. Il risultato è stata l’abominevole crimine di 3 milioni di ebrei uccisi da Hitler e 45 milioni di dissidenti uccisi da Stalin, il tutto mentre l’occidente sapeva sia dell’uno che dell’altro.
Che le due figure si equivalgono è confermato dallo stesso Hilter che prima del patto, disse in pieno Reichstag: “… Nazismo e Comunismo sono la stessa cosa”. Se ci si riflette è d’obbligo concludere che finire in campo di concentramento perché ebreo non è molto diverso dal finire in un gulag perché non allineati.
Ridicola sembra poi la scusa che certe cose le hanno fatte Beria e Wichjnsky all’insaputa di Stalin. Non sarebbero rimasti nel loro posto se il dittatore georgiano non avesse approvato la loro opera.
L’Ultima considerazione la si può fare su ciò che disse Lenin proprio del suo commissario alle nazionalità: “ … il compagno Stalin ha concentrato nelle sue mani un potere enorme. Non sono sicuro che lo userà con equilibrio, pertanto sarà necessario che gli altri compagni stiano attenti”.
Ciò detto proprio dall’uomo che ha creato l’unione sovietica.
Ma continuate ad argomentare con un comunista con i paraocchi?
Stalin ha ucciso 45 milioni di esseri umani come oppositori politici e stiamo parlando se era o non era un’assassino?
Con certa gente non esiste replica,i loro scritti bastano a qualificarli.
Voi dite che Stalin era un assassino? Portatene prove SERIE, e non le solite calunnie anticomuniste che riportate a pappagallo perché non sapete pensare! Vi vorrei ricordare che il Libro nero del comunismo è stato smentito dai suoi stessi autori poco dopo la sua pubblicazione.
Ad ogni modo sarà proprio il comunismo che ci salverà dalla tremenda crisi economica in cui versiamo. Concordo in pieno con Jean Lafitte, l’unico che pensa col proprio cervello qua. Stalin non ha mai iniziato nessuna guerra, per quanto riguarda la Polonia essa non fu mai spartita ma occupata da Hitler e successivamente liberata dall’Armata Rossa. Relativamente alla Finlandia fu proprio quest’ultima a iniziare la guerra all’URSS, la quale rispose sfondando la linea di confine ma attestandosi lì quando avrebbe benissimo potuto arrivare fino a Helsinki e annettersela, cosa non fatta in quanto Stalin non era un socialimperialista. Le storie sulla deportazione delle minoranze sono falsità inventate da Krusciov. I “crimini” di Stalin furono compiuti contro ex zaristi, kulaki e proprietari fondiari, nonché nobili e rispettivi lacché, la shoah fu commessa ai danni di ebrei innocenti. Giusto non compararle, d’altronde non è possibile.
Mi si scusi per la tardività dell’intervento.
Non sono calunnie anticomuniste è semplice storia. Se non ti piace Il libro nero del comuniso, leggi Robert Conquest o Andrea Graziosi. Poi le teorie di Antonio fanno venire il latte alla ginocchia come la storia di Stalin liberatore della Polonia (si è visto a Katyn infatti). Mi chiedo dove certa gente faccia i suoi studi…
A Jean Lafitte e Antonio, siete completamente accecati e strafatti di ideologia. Date del fascista a chi è solo anticomunista. Io ho vissuto nel comunismo. Voi blaterate a vanvera, siete tragicomici e ridicoli!