HomeStampa italiana 1Caino e Abele nel paleolitico: i cold case rivelati dalla scienza moderna

Caino e Abele nel paleolitico: i cold case rivelati dalla scienza moderna

di Katia Bernacci per Storia in Rete del 16 agosto 2024

Spesso il tempo ha cancellato le prove dei crimini commessi, a causa degli agenti atmosferici, degli animali che si sono cibati dei morti, dell’occultamento dei cadaveri. Alcune volte però la fortuna assiste, se non le vittime, almeno coloro che cercano di ricostruire le loro storie e allora ecco che bastano pochi elementi, come il disgelo repentino degli ultimi decenni, la presenza di torbiere acide che conservano i resti, un clima particolarmente secco, per consentire ai paleontologi, assistiti dalle moderne tecnologie, di ricostruire cold cases del passato. Certo i criminali che si sono macchiati di assassinio non potranno essere puniti e non sapremo nulla delle loro motivazioni, se non immaginate, ma questi omicidi daranno almeno un grande aiuto alla comprensione della mente e del comportamento sociale dei nostri progenitori.

Il cranio di Atapuerca. Foto di Marino Olivieri

Il caso più antico ad oggi conosciuto è datato 430.000 anni fa e la vittima è stata trovata nel sito archeologico di Atapuerca, nel nord della Spagna, più o meno lungo quello che da Medioevo viene chiamato “Cammino di Compostela”, uno dei grandi pellegrinaggi cristiani. Il cranio 17 recuperato da Sima de los Huesos, ed è del Pleistocene medio. Mostra due chiare fratture da depressione perimortem sull’osso frontale, interpretate come prodotte da due episodi di forza contundente localizzata, presumibilmente lo stesso oggetto. Gli scienziati stanno procedendo nello studio degli elementi a nostra disposizione, ma si ritiene che l’uccisione abbia un carattere rituale, anche se il cadavere è accompagnato da altri 27 corpi che non presentano nessun tipo di ferita.

Uno dei casi di omicidio che non si è svelato subito è stato quello di Ötzi: Il 19 settembre 1991 nel ghiacciaio del Similaun, nelle Alpi Venoste, a 3.210 metri di altitudine, in prossimità del sentiero che dal rifugio del Similaun conduce al Tisenjoch, due alpinisti di Norimberga rinvennero  quello che ben presto sarebbe stato conosciuto come la “Mummia di Similaun”. In seguito la datazione del corpo con il radiocarbonio avrebbe stabilito che Ötzi (nome che deriva dal nome tedesco dell’area alpina in cui è stato rinvenuto: le Ötztaler Alpen) visse tra il 3300 e il 3200 a.C. Sulle cause della morte di Ötzi, le tesi che si orientavano in direzione di cause naturali sono state messe in discussione quando, nel 2001, in occasione di un’ulteriore serie di esami radiografici, è stata rinvenuta una punta di freccia nella mummia. La freccia sarebbe entrata al di sotto della scapola sinistra, fermandosi tra l’apice del polmone sinistro, il lato interno della scapola e la gabbia toracica. Secondo i patologi che hanno condotto la ricerca, l’area in cui la freccia è stata trovata, potrebbe aver leso almeno un’arteria, come dimostrerebbe la traccia di una possibile ampia emorragia segnalata dalla radiografia. È inoltre possibile che l’arma abbia anche reciso alcuni nervi, determinando la paralisi del braccio sinistro. Ipotesi quest’ultima non completamente assurda se si tiene conto dell’innaturale posizione assunta dal braccio sinistro della mummia. Se le condizioni fossero state queste, dalla ferita alla morte trascorsero due o tre ore: un periodo abbastanza lungo, in cui Ötzi probabilmente lottò, prima di essere sopraffatto dall’emorragia e dal freddo.

Nel 1936 due bambini svedesi si recarono nella torbiera di Bocksten per raccogliere della torba che sarebbe servita come combustibile per riscaldare l’abitazione ed ebbero una gran brutta sorpresa, videro, nel fondo della plaude che era stata parzialmente svuotata, dei resti di ossa e tessuto. Era il cadavere di un uomo di settecento anni prima, perfettamente conservato dalla torba che aveva quasi mummificato i suoi tessuti, mantenendo intatti anche i capelli. Il giovane era stato barbaramente ucciso, come si poteva notare dalle numerose fratture sul cranio e da un palo conficcato nel torace, che era servito probabilmente per non rischiare di far emergere il corpo che inevitabilmente, con i vapori della putrefazione, avrebbe iniziato a galleggiare. I vestiti dello sconosciuto si sono conservati alla perfezione: una tunica di lana ben tessuta, con un cappello di novanta centimetri, calze e una camicia; capi che hanno fatto comprendere che il suo status doveva essere piuttosto elevato. Aveva un’altezza tra 170 e 180 cm, di costituzione longilinea, con lunghi riccioli rossi (che potrebbero essere stati di natura un po’ più chiari, prima dell’effetto chimico della torba) e sembrerebbe che avesse tra i 25 e i 30 anni. Portava scarpe di cuoio, una borsa, due coltelli in un fodero e una cintura. Tra le ipotesi c’è quella che suggerisce che fosse un ambasciatore o un esattore, nel primo caso potrebbe essere stato ucciso perché lo si voleva derubare e nel secondo forse per evitare che riuscisse a estorcere denaro o beni ai contadini. In ogni caso venne ucciso proprio sul bordo di quel fiume con due pali di legno, uno di quercia nel cuore e uno di faggio nella schiena. Le ipotesi sulla sua morte sono parecchie, con una tomografia computerizzata si sono trovate anche altre ferite alla testa, che dimostrano che l’uomo è stato colpito alle spalle. Un agricoltore raccontò una leggenda che si ricordava da quando era bambino: “Un reclutatore di soldati era arrivato nella zona e i contadini, che non volevano partire, lo avevano ucciso con un’azione congiunta”. Non sapremo mai cosa esattamente è successo, ma l’uomo di Bocksten, conservato intatto com’era allora, ha aperto uno spiraglio sul XIV secolo, grazie agli abiti della mummia, perfettamente preservati dalla torba e quindi giunti sino a noi come se fossero stati appena comprati.

Nessuno sa se con gli anni e con le nuove scoperte tecnologiche che spesso si susseguono, qualcuno degli omicidi nascosti dai meandri del tempo potrà essere svelato ma in alcuni casi, i corpi mummificati e conservati alla perfezione aiutano comunque gli studiosi a ricostruire i tasselli mancanti della nostra storia.

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