Dal gennaio 2023 è in libreria uno dei testi più minuziosi e documentati nel tentativo di arginare il fenomeno della cancel culture applicata ai classici. Si tratta di Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» firmato da Mario Lentano, professore di lingua e letteratura latina all’Università di Siena.
Il volume, proposto dai tipi di Salerno Editrice nella collana Aculei diretta da Alessandro Barbero, si professa dalla quarta di copertina come un j’accuse netto al fenomeno. La quarta recita: «Perché i classici sono sotto attacco. E perché abbiamo ancora bisogno di loro. Un saggio che è anche un appassionato pamphlet contro ogni forma di censura.»
In realtà il tema principale del volume sono proprio i romani e la loro visione etnico-razziale attraverso letteratura, scienza e storia (ovviamente dal punto di vista dell’antica Roma) a cui sono dedicati i primi tre capitoli. Alla cancel culture e ai “classici alla gogna” è riservato il capitolo finale. Capitolo che fa una ricognizione del fenomeno e fornisce una critica appasionata del fenomeno.
Pertanto chi si aspetta una ricognizione minuziosa dell’attacco ai classics potrebbe rimanere deluso. Ma la difesa dei classici è appassionata e i primi tre capitoli sono estremamente interessanti, rappresentando una documentata e meditata riflessione sul tema della “razza” nell’antica Roma. Strumento fondamentale per arginare uno dei tanti fronti di attacco agli autori latini e greci.
Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» si inserisce quindi nel filone di analisi della cancel culture applicata al mondo classico con una precisa scelta di campo. A differenza dei due testi della collana Fact Checking di Laterza, che con i loro titoli “ironici” propri della serie, Tutte storie di maschi bianchi morti… e I Greci e i Romani ci salveranno dalla barbarie (rispettivamente Alice Borgna e Giusto Traina1) si pongono in maniera “obliqua” rispetto al fenomeno.
Approccio metodologico prima che ricognizione del fenomeno
Il volume di Mario Lentano delinea quindi nei primi tre capitoli un approccio metolodogico per contrastare il pensiero woke applicato all’antica Roma. E pure se l’ultimo capitolo resta più una riflessione che una ricognizione del fenomeno della cancel culture e i classics la posizione resta assolutamente netta e argomentata in modo da sottolineare le contraddizioni del (non) pensiero dei cancellatori.
Classici alla gogna: Letteratura e scienza antiche
L’approccio scelto dal professor Lentano per fronteggiare la cancel culture è una minuziosa ricostruzione del pensiero romano in tema razza ed etnia a partire dalle fonti. Letteratura, poesie amorose, epigrammi, satire. E poi quella che era la letteratura scientifica dell’epoca. Infine l’aspetto storico dell’assimilazione imperiale romana.
Una lunga esposizione di elementi probanti, senza nascondere nulla. Nemmeno quella certa superstizione romana per il nero (non per nulla il lapis niger ai Fori era considerato il luogo funesto per eccellenza si può facilmente aggiungere da profani). Nonostante questo elemento superstizioso e la consapevoleazza delle differenze somatiche tra diversi gruppi etnici appare evidente che i romani non si fecero mai promotori di una classificazione basata sul colore della pelle. Pertanto, non esistendo elementi di “razzismo biologico” nell’antica Roma, sbagliano i fautori della cancel culture a stigmatizzare o cancellare i classics. Almeno usando questa argomentazione.
Gli antichi romani e la blackface (per tacer della whiteface)
Certo, dai frammenti delle opere romane giunti fino a noi appare evidente che l’approccio al tema delle differenze etniche e somatiche non fosse fatto in punta di politicamente corretto. Forse siamo più vicini a una certa comicità italiana tra gli anni ’70 e ’80. Da Marziale che racconta come il povero Cinna avesse sette figli, ognuno con tratti somatici che ben permettevano di individuare un padre diverso da lui.
O la parte del Satyricon dove per nascondersi su una nave, uno dei protagonisti, Encolpio, propone una blackface antelitteram. Tingersi di nero con l’inchiostro. Una soluzione che il sodale Gitone smonta rapidamente. Troppe le differenze somatiche che il “colore” non coprirebbe. E non funzionerebbe nemmeno una whiteface con il cerone bianco per passare da galli! Insomma, bene sottolineare, i romani non si identificavano come bianchi, albus.
La tamurriata nera tra Giovenale e Plutarco
L’elemento etnico e il colore della pelle sono quindi un elemento presente e ben percepito nelle opere romane giunte fino a noi. Così come la possibilità che la matrona di turno concepisca un figlio dalla pella scura, quasi anticipando la canzone postbellica di E.A.Mario. Elemento che non necessariamente, come scopriamo da Lentano, sarà probabotorio di un eventuale adulterio. Il “criaturo niro” della canzone napoletana, ai tempi dei Cesari poteva avere anche altre spiegazioni. E l’oggetto del contendere dell’eventuale unione interrazziale, sarebbe circoscritto quindi al solo adulterio. Anche in questo caso il razzismo resta fuori dal contesto.
Più in generale relativamente alle questioni dell’amore multietnico, e la sua eventuale accettazione nel mondo romano, ci si può avvalere delle testimonianze delle poesie a tema amoroso. Dove i poeti del tempo sembrano non disdegnare la pelle scura, pur avendo alcuni una certa preferenza per la pelle bianca. E al netto dei cristiani, Lentano trova traccia di un simile approccio per l’apprezzamento della pelle scura fino al V secolo, con un epitafio del poeta Lussorio in lode del gladiatore Olimpio.
Classici alla gogna: Atrio Umbro porta sfiga
Allo stesso modo se per identificare la pelle scura si usava la connotazione geografica di aethiops, pure i romani avevano comunque una certa superstizione per il nero. E che si poteva riflettere sul povero aethiop che passasse di lì per caso. Ma la questione, ancora una volta non è necessariamente etnica.
Anche su questo elemento il professor Lentano propone diversi esempi, tra cui quello di Gaio Atrio Umbro. Un generale disertore ai tempi della guerra contro Cartagine. Evento che a guerra finita Scipione sottolineò come fosse evidente fin dal nome, Atrio Umbro, ombra nera (da ater, nero, e umbra, nero) che quel generale fosse sinonimo di sventura fin dal nome.
Pure tale connotazione rimane nell’arco della superstizione e Lentano indentifica solo con l’avvento del cristianesimo nel terzo secolo il momento in cui la superstizione inizia ad assumere un significato più ampio. Il nero diventa con i cristiani, partendo dall’esegesi biblica preesistente, una delle manifestazioni della malvagità (cfr. p. 26).
Che dice la scienza?
Appurato il tema interraziale tra amore, sesso e ironia (e qualche blackface), il passo successivo è approfondire la visione scientifico-geografica degli Antichi. Ovvero l’origine delle differenze somatiche degli individui secondo la scienza greco-romana. Il secondo capitolo del volume Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» diventa una rassegna delle testimonianze che forniscono interpretazioni e spiegazioni delle differenze etniche (e caratteriali) dei diversi popoli dell’antichià dal punto di vista greci e romani. Si parla del modello geo-climatico, sorta di determinismo geografico con un occhio al mito.
“Determinismo geografico” greco-romano
Determinismo geografico perché il colore della pelle diventa associato alla vicinanza (o lontananza) dal Sole. I popoli del sud più vicini al sole più scuri, quelli più a nord più chiari. I primi, con le energie prosciugate dal sole, saranno noti per la loro astuzia. Quelli del nord, pregni di umidità, per la loro forza fisica e irruenza.
Un elemento che si riscontra anche nel mito. Sia con Omero che ricorda come gli etiopi fossero i popoli più vicini al Sole, sia al sorgere che al tramonto. Sia nel mito di Fetonte che prese il carro del Sole dal padre Apollo, ma lo condusse troppo vicino alla terra. E proprio da questo incidente, che il sangue degli “etiopi” e degli “indiani” si sarebbe riscaldato. Scurendosi o risalendo in superficie, colorando la pelle di quelle popolazioni.
Peloponneso e Roma centro del mondo
Un mito o spiegazione empirica che dir si voglia che aveva anche un altro vantaggio. In medio stat virtus, prima i greci, e poi i romani, potevano facilmente identificarsi nel mezzo. Tra gli albus gallici e gli aethiops, alla giusta distanza dal sole, con tutti i vantaggi, e nessuno svantaggio.
Un determinismo geografico, che come sottolinea Lentano, è assolutamente geografico. Le stesse caratteristiche optime sarebbero state perse se la popolazione si fosse trasferita in altra regione nel volgere di qualche generazione. Così come le colonie greche alla foce del Rodano erano diventate “galliche”, così i “galli” scesi sul Mar nero si erano rabboniti e avevano perso la loro barbarica irruenza.
Gli effetti di Tacito sui nazisti
Per greci e romani le popolazioni del “nord” e del “sud” potevano comunque fornire un esempio per qualità che si erano “perse” nelle culture più “civilizzate” e più prone alle mollezze di una “vita borghese ante-litteram”. O più semplicemente una variante antica del mito del “buon selvaggio”. Come fa notare Tacito nel suo De origine et situ Germanorum in cui apprezza, tra gli altri, il rigoroso approccio alla fedeltà coniugale.
Uno di quei testi (e casi), come ricorda Lentano, che ne fece un classico apprezzato nella costruzione del mito germanico da parte dei nazisti.
Diffidare delle città di mare
In questa costruzione dove convive mito, determinismo geografico-climatico, scevro da connotati razziali o genetici, c’è però un altro elemento oltre al In medio stat virtus. Una sorta di idiosincrasia tutta romana per le città di mare. Come scrisse Cicerone: Est maritimis urbibus nimia demutatio morum…
Est maritimis urbibus nimia demutatio morum
«La corruzione e l’alterazione dei costumi è propria delle città di mare; si mescolano infatti con altri idiomi e condotte di vita, e non vengono importate soltanto merci estere, ma anche costumi esteri: pertanto, niente rimane incorrotto nelle tradizioni degli antenati. Infatti coloro che le abitano non restano fissi nelle loro sedi, ma volubili sono sempre portati via lontano da casa dal pensiero, e anche quando restano con il corpo, tuttavia con l’animo si allontanano e vagano. I Cartaginesi e i Corinzi decisero di commerciare e navigare: pertanto abbandonarono il culto dei campi e delle armi. Un tempo questo vagabondaggio e sparpagliamento di cittadini rovinò Cartagine e Corinto,
Dal mare sono forniti alle città anche molti pericolosi allettamenti alla dissolutezza; anche la piacevolezza dei luoghi ha molte lusinghe sia splendide sia oziose di piaceri. Il Peloponneso è quasi interamente sul mare. Le isole della Grecia nuotano circondate dai flutti e vagano insieme alle istituzioni e ai costumi. Persino le colonie che sono state fondate dai Greci in Asia, in Tracia, in Italia, in Sicilia, in Africa, ad eccezione della sola Magnesia, sono bagnate dal mare. Le cause dei mali e delle alterazioni della Grecia sono dovute ai vizi delle città marittime.»
Contro il meticciato?
Un punto di vista che ritorna in altri autori romani, con Roma che si trova alla giusta distanza dal mare. Con un porto, ma vicina ma non troppo. Un elemento doveroso da considerare nella ricognizione di Classici alla gogna, e che Lentano espone come ulteriore elemento nel definire la visione geografico-topologica dell’antico romano.
Perché appare evidente che nella prospettiva di Cicerone & co non ci sono caratteristiche intrinseche nei Cartaginesi che li hanno portati alla rovina, ma solo l’elemento geografico che diventa astratto topologico. Il mare corrompe. Ha corrotto Cartagine, l’arcinemica di Roma, tratteggiata spesso in maniera estremamente negativa, basti pensare alla fides Punica, la “lealtà alla cartaginese” come ricorda Lentano. Ma il mare ha corrotto anche gli ottimi greci.
Altro esempio di come l’elemento del razzismo biologico può essere espunto dalla trattazione dell’antica Roma. Gli antichi romani non potevano essere razzisti, non conoscendo una visione biologica del razzismo. Di fatto è questa la tesi di fondo della prima parte del dettagliato saggio di Mario Lentano.
La cittadinanza da una prospettiva storica
Ultimo elemento dell’esposizione di Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» la prospettiva storica della cittadinanza romana. Ovvero come gli antichi romani, dalla Repubblica all’Impero, al netto della prassi schiavistica, si fossero posti in maniera estremamente progressiva nel discorso cittadinanza.
Quasi a rispondere a chi, prendendo troppo alla lettera il Cicerone di “Est maritimis urbibus nimia demutatio morum“, potesse sostenere che l’antica Roma fosse contro il meticciato.
La prospettiva la offrono sia l’imperatore Claudio, e la cittadinanza ai galli, sia il precedente storico della possibilità di matrimoni inter-classe, tra patrizi e peblei, ai tempi di Canuleio nel V secolo avanti Cristo. Esemplare dimostrazione del contrario.
E di come, nel dibattito pubblico, queste scelte di innegabile apertura, fossero state fatte sempre nella rivendicazione del mito di Roma e di come Romolo avesse allargato la cittadinanza ai Sabini. E di come Roma, nel definire nei secoli il suo mito di origine, avesse sempre rivendicato una visione “aperturista”.
Inclusione, Integrazione, Assimilazione, Impero
Elementi innegabili, da cui forse emerge una visione forse troppo moderna. Di fatto Roma concedeva la sua cittadinanza quando l’assimilazione era completa. E il declino di Roma può essere fatto coincidere quando la capacità assimilatoria imperiale inizia a non tenere il passo.
D’altronde a dimostrare che il tema della cittadinanza e dell’impero può essere letto agevolmente in modi opposti basta un piccolo esempio provocatorio. Ovvero a tempi recenti e al fascismo, e alla sua macchina propagandista che giocava con il parallelo della Roma imperiale. E l’equiparazione dei cittadini di Libia e Albania a “territorio metropolitano”. Un’equiparazione della cittadinanza da intendere in senso aperturista, sulla falsariga dell’intepretazione della cittadinanza romana. E quindi un’azione di progresso nel contesto dell’epoca, con il deprecato regime che si differenzia nell’azione coloniale? O, invece, un’azione di assimilazione violenta, volta ad annullare ogni specificità, sancendo il dominio centrale e centralizzato del regime?
Esempio limite di come la questione della cittadinanza, in tempi di approccio intersezionale, possa essere sempre ribaltata in un senso o nell’altro.
Dalla damnatio memoriae alla cancel culture
Nell’ultimo capitolo di Classici alla gogna si passa a delineare prima le specificità della damnatio memoriae romana, per poi a dare finalmente conto del fenomeno della cancel culture applicato ai classici.
La ricognizione di Lentano si ferma ai fatti più salienti (rimarcando con obiettività anche i casi che arrivano dalla sponda repubblicano-conservatrice), ma è ben decisa a disvelare i mascheramenti delle narrazioni che tendono a derubricare il fenomeno. Come fa notare Lentano se a Princenton allargano la platea di chi può studiare classics togliendo i prerequisiti di conoscenza di latino e greco, lo fanno con scelte terminologiche volutamente sgradevoli.
E allo stesso modo se alla Howard, l’università che è considerata l’Harvard afro-americana, smantellano il dipartimento di classics per motivi di budget, ne disperdono il patrimonio accademico. Appare quindi evidente il risultato che se persino la Howard disperde e diluisce i classics nell’università nera) il gap rilevato da Princeton si andrà sicuramente ad amplificare.
Insomma il mondo dei classics sarà sempre più bianco, e quindi sempre più meritevole di stigma. Uno dei rischi che sottolinea anche Alice Borgna nel suo Tutti maschi bianchi morti…
Nomi e cognomi
Le contraddizioni della cancel culture evidenziate da Lentano non finiscono qui. Tra i paradossi che sottolinea Lentano, un elemento che già sottolineavamo in Iconoclastia. Ovvero se le distruzioni sono operati da ISIS e talebani sono chiaramente fenomeni da stigmatizzare. Mentre le “cancellazioni” sono operate dalla folla inclusiva, allora tutti ad applaudire. Scrive Lentano:
«Per non parlare dei fenomeni di vandalizazzioni di busti e monumenti […] e sono stati talora giustificati e persino glorificati dagli stessi che pure criticavano fenomeni analoghi quando a prendere di mira statue o siti archeologici […] erano soggetti diversi dai bravi e buoni cancellatori occidentali.»
Né si fa remore a fare nomi e cognomi. In Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» l’accademico statunitense Padilla Peralta (della cui vicenda e pensiero avevamo accennato nel contesto dell’articolo Attacco ai classici: gli offensivamente bianchi gessi di Cambridge) è definito senza esitazioni il «uno dei teorici più radicali della cancel culture»!
Al netto dell’affermazione che può suonare a effetto, la posizione di Mario Lentano è ben riassunta nella chiusura dell’intervista presente su letture.org: «Molti antichisti statunitensi sono coinvolti in prima persona in questo fenomeno, quando non sono direttamente i promotori di una sorta di chiamata in correità della cultura greco-romana, accusata in blocco di aver legittimato, grazie anche allo straordinario prestigio di cui ha goduto sino ad oggi, fenomeni come il colonialismo, il suprematismo bianco, la marginalizzazione delle donne e delle minoranze, la schiavitù.»
La posizione di Classici alla gogna
Per concludere come viene descritto il meccanismo della cancel culture nel volume Classici alla gogna: «L’idea alla base della cancel culture è invece la puerile pretesa di rimuovere tutto ciò che non si conforma, in ogni suo aspetto e manifestazione, ai valori e ai modelli del presente, pagando il pedaggio a una dittatura dell’oggi assunto a Letto di Procuste2 sul quale misurare – e se del caso, cioè quasi sempre, amputare – tutta la cultura del passato».
Una posizione antitetica
Appare evidente che la posizione di Mario Lentano sia antitetica rispetto ai distinguo di un’altra grande fetta dell’Accademia e del dibattito italiano sul tema cancel culture e classici. Basti pensare a come risponde Alice Borgna la citata autrice di Tutti maschi bianchi morti… e docente di Lingua e Letteratura latina all’Università del Piemonte Orientale. Alla domanda iniziale del sito letture.org «in che modo la cancel culture ha rivolto la sua furia iconoclasta nei confronti dei Classics, l’antichità greco-latina?»:
«Iniziamo a dire in che modo la cosiddetta cancel culture NON ha rivolto le sue gigantesche gomme contro i classici. Pensare che nelle università statunitensi al posto dell’Iliade o delle Catilinarie ora ci sia un grande buco, come quando a scuola usavamo la gomma rossa-blu dall’inutile lato blu, è un falso. Neppure è vero che – sempre prendendo le nostre metafore dal bancone di una cartoleria – la cancel culture stia passando il bianchetto (il puzzolente modello a pennellino) sui grandi nomi della letteratura per sostituirli con autori mediocri, ammessi al gotha degli imprescindibili in virtù del genere o del colore della loro pelle.»3
Sebbene Borgna e Lentano ricoprano analoghe cattedre universitarie, la percezione del fenomeno è antitetica. Lentano sottolinea la gravità di qualunque tendenza di questo tipo. Borgna preferisce contestualizzare il fenomeno, evitando l’interpretazione nell’ottica della cancel culture. Le meccaniche di decolonizzazione che provengono dall’accademia non andrebbero inquadrate nel fenomeno della cancel culture. E i pericoli per i classici resterebbero altri.
Un testo fondamentale
Al netto del dibattito non solo italiano e delle divergenze accademiche Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» si presenta come un testo fondamentale per due motivi. Da un lato la scrupolosa riflessione sul tema etnico-razziale nell’antica Roma, che smonta le facili similitudini dei contemporanei. Bene sottolineare le similitudini in un senso o nell’altro (come gli antichi romani di Schrödinger, contemporaneamente inclusivi e imperialisti a seconda del sentimento di giornata).
E dall’altro uno j’accuse senza peli della lingua, che travalica l’ambito ristretto della cancel culture applicata ai classici limitatamente all’ambito del razzismo biologico. Quasi implicitamente ad ammettere che, sebbene il volume si muova dal punto di vista della dialettica basata su ragionevolezza e fatti, raramente chi ne è promotore (della cancel culture) è interessato ai fatti.
Perché d’altronde come ben si sa: «che i fatti oggettivi sono uno strumento della supremazia bianca».4
Digressione: dalla white fragility alla albus fragilitas
Ma al netto della bontà e dell’utilità di un testo come Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture» restiamo pessimisti. Insomma a chi vede “fragilità bianca” ovunque, il testo di Mario Lentano, anziché portare alla riflessione, rappresenterà l’ennesima dimostrazione che si fa bene a decolonizzare i classici anche a costo di cancellarli! La blackface del Satyricon, il “nero” di cattivo augurio o il passaggio di Cicerone «e non vengono importate soltanto merci estere, ma anche costumi esteri: pertanto, nulla rimane incorrotto nelle tradizioni degli antenati» restano elementi pericolosi. Elementi che non sono decolonizzabili senza andare a “cancellare” Petronio e Cicerone.
D’altronde c’è quell’aura di paura del meticciato che di fatto è sintomo di white fragility. La ragionevolezza e il dibattito sono argomenti che non interessano a chi si fa portavoce o sostenitore della cancel culture.
Per combattere la cancel culture facciamo propria la scherzosa conclusione in questo intervento di Club di Cultura Classica del professor Maurizio Bettini, il quale ironicamente afferma che i primi dai cui devono essere decolonizzati i classici, sono proprio coloro che vogliono decolonizzarli (i classici).
Il Libro
Mario Lentano, Classici alla gogna – I Romani, il razzismo e la «cancel culture», Salerno Editrice, Roma, gennaio 2023
Collana: Aculei, 52
Pagine: 136
ISBN: 978-88-6973-599-8
Note
1 – Sulla questione dei titoli della collana Fact Cheking di Laterza scrive proprio il professore Giusto Traina all’inizio dell’intervista per letture.org: «Una premessa. Il mio libro è la decima uscita della collana Fact checking, i cui titoli hanno una caratteristica: non bisogna prenderli alla lettera.».
2 – Letto di Procuste, dal nome del brigante dell’Attica che aveva l’uso di amputare gli arti ai malcapitati la cui statura li facesse sporgere dal suo letto (i bassi di statura erano al contrario stirati a morte fino ad arrivare alla lunghezza esatta).
3 – A margine, sempre nella citata intervista a Giusto Traina per letture.org, l’accademico rimarca che il testo di Alice Borgna sia il «solo libro italiano che non parla a vanvera o superficialmente di Cancel Culture».
Sottolineatura che facciamo nella consapevolezza di non sapere su quali testi sia stata fatta questa ricognizione e relativa valutazione.
4 – Insegnamento proposto in un workshop sull’anti-razzismo di un’università statunitense. Citato da Vincent Lloyd, A Black Professor Trapped in Anti-Racist Hell, Compact, 10 febbraio 2023
E poi ripreso da Slavoj Žižek, Wokeness Is Here To Stay, Compact, 22 febbraio 2023