“Cesare Beccaria, genio folle”. Michela Martignoni intervista Milena Contini

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La recente ripubblicazione (2025) del fondamentale testo Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria è l’occasione per parlare di quest’opera con la curatrice.

di Michela Martignoni per www.storiainrete.com del 16 dicembre 2025

Entriamo subito nel vivo: com’è nata questa nuova edizione di Dei delitti e delle pene?

La proposta mi è arrivata da Guglielmo Manitta, direttore della casa editrice Isolario, realtà molto attenta sia alle nuove vibrazioni letterarie sia alla ripubblicazione di testi ‘classici’, oggi ingiustamente dimenticati. Devo ammettere che sulle prime mi sono sentita sopraffatta dall’idea di un’impresa che temevo superiore alle mie forze (e vi assicuro che non è falsa modestia: tra i miei predecessori ci sono niente meno che Voltaire e Diderot…), poi, però, mi sono armata di coraggio e ho deciso di buttarmi a capofitto in questa emozionante avventura.

Prova a spiegarci meglio quali erano le tue remore.

Be’, un’opera così nota (nonché tradotta in numerose lingue) va necessariamente maneggiata con cura, per evitare che le provette dell’esperimento ci esplodano in faccia. Mi occupo di Settecento da quasi vent’anni, ma non ho certo la spavalderia di prendere in mano un testo ed esibirlo al grande pubblico, senza pormi interrogativi sulla sua ricezione. Una domanda, più di ogni altra, mi molestava: ha davvero senso ripresentare un trattato tanto celebre (e celebrato)? Dopo una serie di sofferte riflessioni, la risposta è stata sì, perché mi sono resa conto che Dei delitti e delle pene fa parte di quella folta categoria di libri che vengono molto citati e poco letti (se si escludono gli addetti ai lavori, ovviamente). Da qui è nata la necessità – poi trasformatasi addirittura in urgenza – di provare a presentare il testo in una veste nuova, volta a far dialogare il XVIII secolo con la contemporaneità.

Hai trovato molti spunti in questo senso?

Una valanga! Dei delitti e delle pene contiene riflessioni di un’attualità sorprendente sulla pena di morte, sulla tortura, sulla condizione delle persone detenute, sui tempi troppo lunghi della giustizia, sull’astrusità delle leggi, sul recidivismo e così via. Beccaria parla di tematiche universali, calandole nella realtà dei suoi giorni, che, per molti aspetti, somigliano ai nostri. Un esempio? Subito: nel capitolo XVI il Nostro si scandalizza perché nel decimottavo secolo la tortura è ancora praticata come mezzo punitivo: “Un altro ridicolo motivo della tortura è la purgazione dell’infamia, cioè un uomo giudicato infame dalle leggi deve confermare la sua deposizione collo slogamento delle sue ossa. Quest’abuso non dovrebbe esser tollerato nel decimottavo secolo”. Ecco, basta leggere alcuni recentissimi studi di Amnesty International per apprendere con sconcerto che nel nostro XXI secolo (oltre 260 anni dopo la denuncia di Beccaria) sono stati accertati casi di tortura nel 70% dei paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite!

Milena Contini

Hai citato l’autore di quest’opera così famosa: cosa vuoi dirci di lui?

A scuola ci hanno insegnato ad apprezzare il suo acume critico e la modernità del suo stile, senza tacere una parentela di tutto rispetto: Cesare era nientepopodimeno che il nonno materno di Alessandro Manzoni. Proprio lui: la star indiscussa dell’Ottocento letterario italiano! La maggior parte dei professori, però, tende a omettere un dettaglio. Cesare Beccaria era, anche, un pazzo e qui lascio il microfono per qualche istante alla fulminante verve di Guido Bezzola: “Non v’è dubbio che un positivista del secolo passato avrebbe trovato ampie conferme alle teorie sulle strette relazioni tra genio e follia, analizzando anche solo una parte dei comportamenti di Cesare Beccaria […]. Geniale e dissipato, freneticamente attivo e pigro fino all’immobilità, facile alle esaltazioni fortissime e agli scoramenti, alle sortite temerarie e ai ripiegamenti pieni di paura”. Ebbene sì: Beccaria era un soggetto parecchio eccentrico.

Puoi darci qualche dettaglio?

Con vero piacere: quando la famiglia si oppose al suo matrimonio con l’anticonformista Teresa Blasco (dalla quale avrebbe avuto la figlia Giulia, madre di Don Lisander, appunto), progettò il suicidio, perché la sua esistenza senza l’amata non avrebbe avuto senso (per fortuna il permesso arrivò)… E come non ricordare quella che può essere a tutti gli effetti definita La fuga da Parigi? Beccaria, nel 1767 – insofferente al ruolo di intellettuale d’eccezione che i francesi, galvanizzati dal suo scritto, volevano fargli recitare a tutti i costi – pensò bene di darsela a gambe, piantando in asso gli amici illuministi, per tornare nella sua Milano, dove rimase fino alla morte, rinunciando anche ai pressanti inviti dell’imperatrice Caterina II, che lo voleva nella sua corte di Pietroburgo. Quando la Blasco morì, diede letteralmente i numeri, chiedendo di essere sepolto vivo insieme a lei! Stando alle cronache, però, otto giorni dopo era dal barbiere a farsi bello perché aveva deciso di risposarsi per sfornare un erede maschio. E ci riuscì: due mesi e mezzo dopo convolava a nozze con Anna dei Conti Barnaba Barbò che gli diede il figlio Giulio. Non propriamente un vedovo inconsolabile…

In effetti, a scuola viene tratteggiato tutt’altro personaggio! Ma sulla genialità non ci sono dubbi!

Possiamo dirlo forte! Beccaria pubblicò (anonimamente) Dei delitti e delle pene – presto, com’era prevedibile, messo all’Indice dei libri proibiti – a soli ventisei anni. E, forse, non è male volgere lo sguardo all’humus dove germogliò questo testo straordinario: la Milano illuminista. Monte Napoleone – Montenapo se si vuole fare il milanese imbruttito – oggi è celeberrima per lo shopping del prêt-à-porter (e, nel 2024, ha vinto il, discutibile, premio della via più cara del mondo)… bene, proprio qui, quando si chiamava ancora Contrada del Monte, sorgeva la casa di Pietro Verri, dove fu fondata l’Accademia dei Pugni, laboratorio intellettuale che permise a Beccaria di maturare le idee proposte nel suo fortunatissimo trattato. Tra un cazzotto (culturale) e l’altro…

Spiegaci meglio! Siamo curiosi.

Il sostantivo pugni aveva un significato programmatico, alludendo allo spirito battagliero e focoso dei suoi membri, in contrasto con le posizioni decisamente più prudenti dell’altra accademia cittadina ispirata ai philosophes, quella dei Trasformati. Nessun bullismo, si badi bene. Solo passione per la pubblica utilità, concetto sacro in quei tempi di entusiasmi riformisti. Il termine pugni, in un certo senso, sottintendeva anche all’idea che la diffusione della conoscenza (tanto scientifica quanto umanistica) fosse un potente deterrente per i bassi istinti e la violenza. Seguendo questo principio, il periodico «Il Caffè» – fondato in seno all’accademia con l’aspirazione di divulgare i fremiti progressisti attraverso il giornalismo – scelse di adottare un linguaggio volutamente privo di accademismi e capace di raggiungere un più vasto pubblico.

Anche il termine ‘caffè’ ha una forte valenza evocativa.

Certo, strizzava l’occhio alle proprietà corroboranti della bevanda. E, con un piccolo volo pindarico, mi salta in mente come Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo, a inizio Novecento fosse stato soprannominato Caffeina d’Europa. Del resto, il Movimento era stato fondato sempre a Milano in via Senato, giusto a qualche isolato da contrada del Monte, ma sto divagando…

Evviva le divagazioni! Invece, prima hai accennato alle numerose traduzioni dell’opera: puoi approfondire un attimo questo tema?

Dei delitti e delle pene, nei secoli, è stato tradotto in numerosissime lingue: in tutte quelle europee e in molte altre (comprese l’arabo e il cinese). E l’interesse internazionale per quest’opera non sta declinando, se pensiamo che la prima versione in giapponese è stata realizzata da Masao Kotani nel recente 2011. Una curiosità: nell’introduzione di questa versione nipponica s’ipotizza che Dostoevskij si fosse ispirato all’opera di Beccaria per la composizione di Delitto e castigo (1866). Ricapitolando: un traduttore giapponese degli anni Duemila trova un collegamento tra un italiano del Settecento e un russo dell’Ottocento. A riprova del fatto che i grandi libri sono moltiplicatori di cultura!

Siamo in chiusura. Velocissima: a chi consiglieresti questo volume?

Ai curiosi? Agli insofferenti (nell’accezione migliore del termine)? Sicuramente ai coraggiosi che non temono di arrampicarsi, ancora una volta, sulle spalle dei giganti del passato per scorgere gli orizzonti del futuro.

Info

Il libro: Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Milena Contini, Alzano Lombardo, Isolario Edizioni, 2025, pp. 142, 10 euro.

L’autore: Cesare Beccaria (Milano, 1738 – ivi, 1794), figura centrale dell’Illuminismo lombardo, fu tra i fondatori dell’Accademia dei Pugni e collaboratore del periodico «Il Caffè». Nel 1764 pubblicò Dei delitti e delle pene, testo fondamentale della filosofia politica e giuridica moderna, destinato ad avere vasta eco in Europa e oltre. Chiamato a ruoli di governo e impegnato nelle riforme amministrative e scolastiche dello Stato austriaco, Beccaria fu spirito inquieto e anticonformista, animato da un’idea alta di giustizia come garanzia di libertà e dignità per ogni individuo.

La curatrice: Milena Contini (Milano, 1981) lavora presso l’Univ. eCampus, collabora con l’Univ. de Santiago de Compostela, conduce la trasmissione “1000 cose da dire” (Radio dell’Univ. di Genova), dirige la collana letteraria ‘Immortali’ (DelosDigital) e cura la rubrica fissa ‘Gocce’ sulla rivista «Writers Magazine Italia». Ha pubblicato quattro monografie, cinque edizioni critiche, numerosi saggi scientifici, articoli, racconti lunghi nonché la raccolta poetica In caso di pioggia (Milano, Rayuela, 2025), tradotta e pubblicata in varie lingue.

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