Cancellare i numeri romani? L’ultima tendenza in voga tra Francia e Italia che mira a “riformulare” gli ordinali romani, troppo difficili da leggere. Un approfondimento su questo fenomeno ancora latente, e forse esagerato da alcuni, ma che dalla nostra prospettiva storica non fatichiamo a inserire nel “calderone” della cancel culture.
Parigi, Museo Carnavalet
Nel marzo 2021 si diffuse la notizia che al museo Carnavalet, completati dei lavori di rinnovamento, sarebbero stati rimossi i numeri romani dai cartelli esplicativi che accompagnano le opere. Ovviamente la notizia fu esasperata da qualcuno, mentre altri la raccontavano in maniera più “trasparente”.
L’idea del museo è di proporre il sequente materiale d’accompagnamento per la fruizione delle opere:
- Testi “normali” (lunghi fino a 1.500 battute) in cui i secoli sarebbero stati numerati con i numeri arabi e i sovrani rimanevano con gli ordinali romani.
- Testi “semplificati” in cui anche i sovrani passano a numeri arabi.
Le motivazioni? Modernizzare il museo e renderlo più fruibile. E poi come fa notare Il Post «i francesi leggono i numeri che accompagnano il nome dei sovrani come cardinali e non ordinali, cioè non leggono Luigi Sedicesimo, ma Luigi Sedici.»
Insomma poco male, anche perché il discorso di rinunciare ai numeri romani per i secoli era già stato portato avanti dal Louvre.
Modernizzare? E allora Guerre Stellari
Sul discorso del modernizzare varrebbe la pena ricordare che Star Wars continua a usare gli ordinali romani per i suoi film. Ergo sebbene non molto utilizzata nei manifesti e nelle locandine dei film, un prodotto di intrattenimento moderno per la cultura di massa usa ancora gli ordinali romani.
La cosa del Carnavalet finì lì, tra i soliti articoli che amplificavano la notizia, magari esagerando. E quelli che cercando di riportarla in carreggiata, magari esageravano in senso opposto.
La polemica è tornata presente di fronte all’ultimo “attacco ai numeri romani”.
ISTAT vs comune di Borgone Susa
La notizia, rilanciata anche da Dagospia, riguarda il comune di Borgone Susa, il suo sindaco e una circolare DPCM del 2016 volta alla disciplina archivistica della toponomastica stradale. Norma che apparentemente va a limitare l’uso dei numeri romani per le date (non si parlebbe quindi degli ordinali riferiti a cariche come sovrani e papi come nell’immagine provocatoria scelta per l’apertura). Di fatto si tratta di una norma puramente archivistica, una linea guida per la coerenza dei dati. Per evitare che i un IV Novembre possa essere caricato nei sistemi in 3 modi diversi, IV novembre, 4 novembre, Quattro novembre, si opta per un’unico formato. È l’informatica bellezza.
Quindi da un lato si potrebbe definire una tempesta in un bicchier d’acqua. Pure è difficile dare torto al sindaco Diego Mele, Fratelli d’Italia. Non sbaglia a tirare in ballo la cancel culture perché se la questione di questi numerali romani sarebbe squisita operazione puramente informatica da pratica dei database, intorno si è sviluppato il solito côté ideologico. A quanto riferisce Mele nell’intervista a La Stampa «Ho parlato con una dipendente dell’ufficio Istat di Torino e ho chiesto spiegazioni. Mi ha risposto che la decisione riguarda tutta Italia. Ed è stata presa per andare incontro ai cittadini stranieri e a quelli di bassa scolarizzazione, ha detto esattamente così. “Ma come?”, ho detto io».
Insomma la banale questione informatica diventa (anche se ovviamente non si tratta di un comunicato stampa dell’ISTAT) la solita questione di pelosa inclusività. E giustamente fa notare Mele la cultura è elemento di integrazione.
Gli articoli non approfondiscono la questione squisitamente tecnica. Ma non mancano toni ironici per ricordare come il fascismo tenesse ai numeri romani, e che l’azione di Mele a tutela dei numeri romani possa essere letta “quasi” in continuità. Insomma a FdI piacciono i numeri romani in stile “conto alla rovescia fascista” di Fascisti su Marte del grandissimo Corrado Guzzanti.
X, IX, VIII, VII….
Resta XXIII, niente “ventitreesimo”, 23, 23°
Insomma la provocatoria immagine di Via Giovanni Ventitreesimo per adesso è ben lontana. Si tratta “solo” di una procedura informatica che riguarda i numeri romani usati come numerali e non come ordinali. E la patina ideologica è stata forse attribuita solo dal solito funzionario troppo zelante. Ed evitiamo per questa volta anche di fare facili ironie sui numeri romani difficili ed eventuali nuovi simboli dell’alfabeto.
Proviamo quindi a derubricare la questione italiana alla sola “questione informatica”. Quella degli ordinali romani “difficili da leggere” resta relegata ai musei francesi. Però sappiamo come vanno queste cose. E chissà che tra 3 anni questo articolo non debba essere aggiornato.
Chiudiamo a futura memoria con un’interrogazione parlamentare di Else Joseph al senato francese pochi giorni dopo la questione del museo Carnevalet. Senatrice eletta con Les Républicains, il partito gaullista erede dell’UMP e nella vita privata professoressa di Storia-Geografia.
Interrogazione parlamentare al senato francese
La signora Else Joseph chiede al Ministro della Cultura informazioni sulla scelta di alcuni musei di rimuovere i numeri romani. Quattordici musei hanno deciso di eliminare i numeri romani perché sarebbero indecifrabili, sia per i francesi che per gli stranieri. Tuttavia, questo ritiro riflette una curiosa concezione dell’educazione e della trasmissione. Contrariamente a quanto si crede, il pubblico non è insensibile ai numeri romani e nemmeno alle annotazioni degli studiosi. L’uso dei numeri romani fa parte anche dell’insegnamento e della formazione di diversi tipi di pubblico. Rinunciare al loro uso rivela piuttosto una visione incentrata sul livellamento verso il basso. Infatti, la presunta difficoltà di decifrare i numeri romani è pari solo alla felicità finale di averli indovinati. Questo è particolarmente vero per i giovani, che tuttavia sperimentano la gioia di dare loro un nome.
Infine, i musei sono coinvolti nella trasmissione della cultura nazionale. Devono quindi essere sensibili a preservare il livello di questa cultura. La decisione di abbandonare i numeri romani è guidata da una prospettiva a breve termine, che rischia di avere esiti disastrosi sul modo di concepire la cultura e l’educazione. La via d’uscita facile non è affatto educativa e contribuisce ancora di più al declino della cultura generale. Chiede quindi cosa intendono fare le autorità pubbliche per contrastare un approccio che sarebbe altrettanto problematico dell’uso della scrittura inclusiva. Questa iniziativa è un brutto segno per l’immagine che il Paese si dà della propria cultura.
La risposta del Ministero della Cultura
La recente decisione di alcuni musei di sostituire i numeri romani con quelli arabi nella notazione dei secoli e dei re ha sollevato alcuni interrogativi. Queste, poche, decisioni fanno parte di una raccomandazione europea per un’informazione “facile da leggere e da capire” (FALC) e perseguono quindi l’obiettivo di una maggiore accessibilità universale. La sfida consiste nel fornire i mezzi per offrire contenuti facilmente accessibili al più ampio pubblico possibile, in particolare ai visitatori stranieri provenienti da culture non latine.
L’obiettivo è garantire l’accessibilità e la comprensione di tutti i visitatori, accompagnarli, ma anche – dato che l’obiettivo è informarli e arricchirli – incoraggiarli a leggere le etichette. Non si tratta quindi di vietare i numeri romani, né tantomeno di indebolire la cultura classica, ma piuttosto di rivolgersi a tutti coloro che possono essere ostacolati nella loro comprensione. Accanto a questa misura, altre contribuiscono a una migliore appropriazione dei contenuti, come il lavoro sulle dimensioni dei caratteri, la posizione delle etichette o la segnaletica, il tutto per offrire ai visitatori un’esperienza più facile, confortevole e arricchente.
Augurando di essere smentiti
La risposta del Ministero della Cultura sembra la solita solfa rassicurante. Fa bene la Joseph a sottolineare l’aspetto relativo al livellamento verso il basso, e anche l’elemento “ludico-enigmistico” nel decifrare correttamente un numero romano. Si parla tanto di gamification e di applicarla all’insegnamento. E poi quando c’è l’elemento sfidante si preferisce toglierlo per una supposta inclusività.
Insomma per i numeri romani è ancora improprio e prematuro parlare di cancel culture. Ma la sensazione è che il tema verrà riproposto in futuro. Ci auguriamo di essere smentiti.
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