di Mauro Zanon da “Il Giornale” del 6 giugno 2021
Parigi. La radio, come ogni mattina, è sintonizzata su France Culture. Il filosofo Pascal Bruckner si trova nel suo studio parigino, nel cuore del Marais. Sta sorseggiando il caffè e finendo di leggere i quotidiani, quando a un certo momento sente un giornalista pronunciare il suo nome e qualificarlo con disprezzo come un «vecchio maschio bianco occidentale». «Pochi giorni prima, mi ero permesso di criticare Greta Thunberg e la pericolosa propaganda dell’infantilismo climatico, e questo signore, riportando il mio pensiero sull’attivista svedese, ha detto che avevo un problema con la mia virilità e che ero un vecchio maschio bianco occidentale. È stata una delle scintille che mi ha spinto a scrivere questo libro, non ci stavo a essere trattato così e a sentire quelle sciocchezze». Il libro in questione è Un colpevole quasi perfetto. La costruzione del capro espiatorio bianco, uscito in Francia nel 2020 per le edizioni Grasset, e appena tradotto in Italia da Guanda. Un pamphlet dirompente in cui Bruckner mette in guardia dalle tre ideologie che stanno trascinando la civiltà occidentale verso l’abisso: l’antirazzismo, il neofemminismo e il decolonialismo.
Cos’è cambiato da Il singhiozzo dell’uomo bianco (1983), in cui lei già denunciava l’autoflagellazione delle élite occidentali e la nuova religione terzomondista?
«L’ideologia decoloniale e l’ideologia razzialista, secondo cui l’unica identità autorizzata per i bianchi è l’identità di contrizione, sono diventate molto potenti negli Stati Uniti. All’epoca erano in fase embrionale, oggi invece sono dominanti nella sinistra nordamericana. Il problema è che hanno attraversato l’Oceano e si sono infiltrate in Francia con una rapidità sconcertante».
Perché la Francia è il cavallo di Troia di queste ideologie in Europa?
«Perché è la Francia che le ha inventate negli anni Settanta con Deleuze, Foucault e Derrida. Sono stati loro a propagare l’idea di decostruzione nei campus nordamericani. Derrida era una star oltreoceano, gli studenti lo adoravano e avevano le magliette col suo volto. L’idea è stata in seguito ripresa dalla filosofa Judith Butler, ed è ritornata in Francia all’inizio del secolo, ma in maniera distorta, spostando i termini dello scontro sul campo del genere, dell’identità, della razza, e riportando il colore della pelle al centro del dibattito. Siamo passati dalla lotta di classe alla lotta tra razze».
Perché l’Occidente che ha illuminato il mondo con le sue idee di libertà, uguaglianza, giustizia sociale ed emancipazione dovrebbe essere colpevole?
«Siamo i soli ad aver riconosciuto i nostri errori e i nostri crimini. La capacità di autocritica è inerente all’Occidente. Questa nostra particolarità morale è stata presa di mira dai sostenitori delle ideologie decoloniale e razzialista, che non perdono l’occasione di puntarci il dito contro: Avete riconosciuto i vostri crimini, dunque siete i criminali dell’umanità. I bianchi sono considerati ontologicamente colpevoli».
Il suo è anche un grido di rabbia?
«Sì, contenuto, ma lo è. Verso l’ignoranza diffusa, la stupidità e i deliri cui stiamo assistendo. Lo scorso anno, la Sirenetta di Copenaghen è stata vandalizzata con la scritta pesce razzista, perché nel racconto di Andersen è bianca. Siamo in un periodo di follia collettiva».
Un’inchiesta del Figaro, pubblicata a gennaio, ha mostrato che il pensiero decoloniale e razzialista si è infiltrato non solo negli atenei tradizionalmente vicini alla sinistra radicale, ma anche a Sciences Po, ossia nel tempio dell’élite. Come si spiega?
«Si approfitta delle cattive coscienze dei figli delle classi più abbienti per introdurre queste ideologie. Negli Stati Uniti, questa incursione è avvenuta attraverso i campus, in Francia attraverso le università. Ho insegnato a Sciences Po per vent’anni, oggi non potrei più. L’alta borghesia bianca detesta sé stessa. L’odio verso i bianchi è anzitutto l’odio dei bianchi verso sé stessi».
Delphine Ernotte, direttrice di France Télévisions (la Rai francese, ndr), ha detto che nella tv pubblica ci sono troppi «uomini bianchi di più di cinquant’anni, la situazione deve cambiare». Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, in una recente intervista all’Express ha affermato che esiste un «privilegio bianco». Cosa ne pensa?
«È spaventoso. Sentendo queste dichiarazioni ci si rende conto di quanto sia profonda la penetrazione di certe teorie. Quando espressioni come privilegio bianco vengono pronunciate dal capo dello Stato c’è da preoccuparsi».
Ha ragione Alain Finkielkraut quando dice che «l’antirazzismo è impazzito»?
«Sì, l’antirazzismo è diventato il nuovo razzismo, è un neorazzismo. Gli antirazzisti di oggi hanno individuato nell’uomo bianco il responsabile di tutte le disgrazie del mondo. L’uomo bianco, per loro, è razzista anche quando pensa di non esserlo: è un razzista biologico. È quello che sostiene il calciatore Lilian Thuram, che ha scritto addirittura un libro intitolato La pensée blanche. Per lui e per tutti quelli che la pensano allo stesso modo, i bianchi sono predeterminati dalla loro epidermide a essere razzisti».
Perché la sinistra francese ha tradito una causa nobile come l’antirazzismo, che il movimento Sos Racisme, nel 1984, aveva portato nelle strade di tutto il Paese con lo slogan «Touche pas à mon pote»?
«La sinistra francese si è sgretolata, è crollata, ha perso la sua sostanza. È stata fagocitata dall’estrema sinistra. Il dibattito classico all’interno della gauche, tra riformismo e rivoluzione, è finito. Il nuovo Super-Io dell’ultrasinistra mette le minoranze etniche dominate contro i bianchi dominanti».
Lei spiega che per ragioni elettorali la gauche ha deciso di rimpiazzare la classe operaia bianca con queste minoranze.
«In un rapporto del 2011 del think tank Terranova, vicino al Partito socialista, viene chiesto esplicitamente alla sinistra francese di sostituire la classe operaia e contadina giudicata reazionaria con i bobò delle città e le popolazioni delle periferie multietniche. È la richiesta di abbandono ufficiale della classe operaia. Macron, dicendo pochi giorni fa che la Seine-Saint-Denis è come la California, anche se in realtà è il dipartimento più criminogeno del Paese, e che l’immigrazione è una fortuna per la Francia, contribuisce all’ideologia espressa dal documento di Terranova».
Cosa resta del Partito socialista che fu di François Mitterrand?
«Oggi il Ps non è altro che una casa di cura per politici stremati. È praticamente scomparso. E quando se ne parla a livello mediatico, è perché qualcuno ha detto una fesseria. Come Audrey Pulvar, candidata socialista nell’Île-de-France (la regione di Parigi, ndr) alle prossime elezioni regionali, che ha difeso le cosiddette riunioni non-miste, ossia riunioni dove i bianchi non sono ammessi. È nel vuoto della sinistra che si insediano queste idee deliranti provenienti da oltreoceano».
Nel suo libro lei sostiene che il «femminismo del progresso» è stato sostituito dal «femminismo del processo».
«Non siamo più nel processo penale, ma nel processo pubblico. Si pratica una giustizia di strada, si vieta alle persone di parlare, si grida all’odio dell’uomo bianco eterosessuale, ontologicamente predatore e stupratore in potenza. Ma quando gli stupri sono commessi dagli immigrati, come durante il capodanno di Colonia del 2016, regna il silenzio assoluto».
Quando si arresterà, secondo lei, l’ondata della «cancel culture»?
«È come il coronavirus: si insedia, si espande, ci sono delle varianti, poi un giorno muore. Ma ora gli anticorpi sono rari. Bisogna blindarsi contro questa pandemia di stupidità politica che è grave ed è alimentata da un certo numero di eventi. L’importante è che i poteri pubblici non la incoraggino. I capi di Stato occidentali non devono cadere nella trappola dei militanti della cancel culture: non dobbiamo scusarci di essere bianchi, occidentali, cristiani, ebrei, altrimenti ricreiamo le condizioni del peccato originale. La cancel culture morirà un giorno, spero il prima possibile, ma è necessaria una dottrina di sostituzione che ancora non esiste».