L’arte è un matrimonio tra l’ideale e il reale. La creazione artistica è una branca dell’artigianato. Gli artisti sono degli artigiani, più vicini ai falegnami e ai saldatori di quanto non lo siano agli intellettuali e agli accademici, con la loro gonfia retorica autoreferenziale. L’arte usa i sensi e parla ai sensi. Affonda le sue radici nel mondo fisico tangibile. Il post- strutturalismo, con le sue origini linguistiche francesi, ha l’ossessione delle parole e per questo è incompetente a illuminare qualsiasi forma artistica al di fuori della letteratura.
di Camille Paglia per “la Repubblica” del 20 gennaio 2013
Il discorso sull’arte deve avvicinarsi ad essa e descriverla nei suoi stessi termini. Bisogna trovare un delicato equilibrio tra il mondo visibile e quello invisibile. Chi subordina l’arte all’agenda politica contemporanea è altrettanto colpevole di rigido letteralismo e di propaganda quanto un qualsiasi predicatore vittoriano o un burocrate stalinista.
Una delle ragioni dell’odierna marginalizzazione delle belle arti è che gli artisti si rivolgono troppo spesso ad altri artisti e hanno perso il contatto con la gente comune, di cui disprezzano e sbeffeggiano i gusti e i valori. La maggior parte degli artisti americani sono dei progressisti che hanno un contatto minimo se non nullo con chi la pensa in modo opposto al loro.
Il progressismo militante anti-establishment e sostenitore della libertà di espressione degli anni Sessanta (con il quale mi identifico fortemente) si è trasformato nell’utopico mondo ideale della classe dei professionisti agiati, con i suoi vaghi impulsi filantropici e una strana passività nei confronti di un governo tronfio e autoritario.
Un’ortodossia monolitica ha abbandonato gli artisti in un ghetto di opinioni scontate e li ha tagliati fuori dalle idee fresche. Nulla è più trito del dogma progressista secondo il quale un valore scioccante conferisce automaticamente importanza a un’opera d’arte. L’ultima volta in cui è stato vero fu forse alla fine degli anni Settanta, con le fotografie omoerotiche e sadomasochistiche di Robert Mapplethorpe. Ma la cultura è andata avanti. Nel Ventunesimo secolo, cerchiamo il significato, non il suo sovvertimento.
Anche i conservatori, a loro volta, hanno peccato contro la cultura. Nonostante i loro squilli di tromba per un ritorno dell’educazione al canone occidentale, si sono comportati come dei filistei di provincia rispetto alle arti visive. Anche se ci sono molti critici d’arte sofisticati tra gli urban conservatives, lo slancio del movimento conservatore americano si è alimentato soprattutto nelle regioni agrarie in cui prospera il cristianesimo evangelico.
Il protestantesimo ha una storia di iconoclastia: durante la Riforma nel nord Europa, le statue delle chiese e le vetrate colorate furono sistematicamente distrutte in quanto idolatriche. Rispetto al cattolicesimo romano, così ricco d’arte, il protestantesimo americano tradizionale è visivamente impoverito. Le sue immagini di Gesù come buon pastore sono spesso artisticamente così deboli da rasentare il kitsch.
La maggior parte dei conservatori opera in un clima che è indifferente o ostile nei confronti dell’arte. I principali scrittori e critici conservatori sembrano ciechi davanti all’intricata interconnessione di arte e politica nell’antica Grecia che inventò la democrazia. Il nudo, basato sullo studio scientifico dell’anatomia, è stato il grande simbolo dell’individualismo occidentale che ci hanno lasciato in eredità i greci, ma i conservatori cristiani non permetterebbero mai di esibire nelle scuole pubbliche gli eroici nudi dell’arte occidentale. Il puritanesimo americano indugia nel sospetto conservatore che ci sia una stregoneria nella bellezza.
D’altro canto, una quantità enorme della migliore arte occidentale è stata intensamente religiosa e i progressisti, i quali hanno voluto che si togliessero i presepi dalle piazze, obietterebbero a loro volta sull’istruzione dottrinale necessaria per presentare l’iconografia cristiana nella scuola pubblica. Per questo l’educazione artistica viene ostacolata negli Stati Uniti, vittima del fuoco incrociato della politica.
Benché io sia atea, rispetto tutte le religioni e le prendo seriamente, come vasti sistemi di simboli che contengono una verità profonda sull’esistenza umana. Anche se nel suo nome si è fatto del male, la religione è stata una forza enorme di civilizzazione nella storia del mondo. Schernire la religione è una cosa puerile, sintomatica di un’immaginazione rachitica. Eppure, questa posizione cinica è diventata di rigore nel mondo artistico, un ulteriore motivo della banale superficialità di tanta arte contemporanea a cui non è rimasta nessuna grande idea.
(Traduzione Luis E. Moriones) Excerpt from the “Introduction” of Glittering Images: A Journey Through Art from Egypt to Star Wars. Copyright © 2012 by . Translated by permission of the author
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