Da sempre abbiamo una domanda. Questa: se Umberto Boccioni non fosse morto nel 1916, a trentaquattro anni, quale storia artistica avrebbe continuato? Avrebbe istituzionalizzato il suo discorso un po’ alla Marinetti? Avrebbe generato altri linguaggi e in quale direzione? Gli storici hanno scritto che Boccioni sarebbe andato verso un’evoluzione tanto da posizionarsi accanto a Kandinskij, per poi superarlo, per l’originalità delle teorie estetiche. Prima di tutto, la mostra milanese “Boccioni 1882 1916” a Palazzo Reale, dal 23 marzo al 10 luglio 2016, conferma la dimensione del pensiero critico dell’artista. Avviene ciò con quasi 300 opere raccolte, cioè memorie, documenti personali, diari, fotografie, quadri e sculture. Tale materiale potrebbe essere utilissimo ad uno scrittore per progettare il romanzo di Umberto o il racconto dedicato al serio diplomato, all’artista autodidatta, all’amico di Balla e Severini, al genio della figurazione, al patriota coraggioso.
di Renato de Robertis da Barbadillo del 21 marzo 2016
Si scrive questo perché grande merito dell’esposizione è la ricerca biografica, ossia una ricostruzione che recupera il periodo 1906/1916. Pertanto, due aree tematiche, “Il giovane Boccioni (1906/1910) e “Boccioni futurista” (1911/1916) articolano esperienze uniche in una Milano che comunicava nuovi linguaggi e si confrontava con il Divisionismo e l’Espressionismo europeo. E le due aree propongono, emblematicamente, da una parte “Il romanzo di una cucitrice” (1908) con il suo spessore divisionista e le calde tonalità; dall’altra, “Forze di una strada”(1911) con un’esteticità espressionista che anticipa di molti decenni visioni o sintesi figurative.
Suggestive sono le installazioni della mostra: i plexiglass che contengono le opere calate dall’alto e le gigantografie che illuminano gli spazi. Opere che lasciano un’idea, quella per cui Boccioni, con la sua arte, rappresenta quella fontana nicciana posta sul ciglio della strada; così, a cento anni dalla sua morte, sono numerosissimi gli artisti che hanno bevuto alla fontana boccioniana, alla fontana dell’energia figurativa e della “simultaneità degli stati d’animo.” Scriveva il grande futurista, “Un quadro è una sintesi di quello che si ricorda e di quello che si vede.” Leggendo ciò si comprende che l’universo di Boccioni è immenso in quanto, simultaneamente, contiene il visto e il non visto, il colore e l’emotività.
Questa mostra stabilisce un confronto con un’idea dell’arte, un’idea che evidenzia la tormentosa bellezza della vita, una bellezza inseguita da un trentenne che mobilitò il suo cuore, per far rinascere l’Occidente, dentro l’impeto della modernità. E l’operazione espositiva, che raccoglie tutte le opere dei musei milanesi, esprime attenzione critica per il Boccioni innamorato della moderna città lombarda, la capitale del nord italiano che lo ospitò, con la madre e la sorella, a partire dal 1908. Ecco la città e il suo artista; la città e l’avanguardia del Futurismo; ma l’estetica di Boccioni, per un’arte simultanea ed emozionale, è un passo avanti al vitalismo futuristico marinettiano.
Il visitatore insomma si ritrova di fronte ad un racconto biografico che testimonia le tensioni di un secolo e le conseguenti ipotesi creative, come per altre intelligenze storiche, che furono travolte dalla morte precoce, come Michelstaedter e Slataper, intellettuali che, per differenti ambiti creativi, raffigurarono i valori simbolici di un’età.