«Oh, vista orribile! Il villaggio distrutto, le case saccheggiate e abbruciate, e quarantasei cadaveri sparsi qua e là…». Centoquarantaquattro anni dopo la mattanza, Domenico «Nico» Bassetti e gli altri italiani uccisi nel 1871 a Palestro, in Algeria, in quella che fu una tra le tragedie più sanguinose della nostra emigrazione stanno finalmente per ritrovare un posto nella memoria (debole) del nostro Paese. La statua dedicata laggiù dai francesi agli «enfants de Palestro», successivamente distrutta, è tornata a vivere.
Di Gian Antonio Stella dal Corriere della Sera del 29 settembre 2015
Restava, di quel monumento al dolore dei nostri nonni, solo una vecchia foto sbiadita. Ma proprio partendo da quella foto e da un grande blocco di pietra bianca di Vicenza lo scultore Enrico Pasquale ha ricostruito l’opera. Dove Nico, la camicia lacerata e l’aria impavida, impugna la baionetta nell’ultima difesa mentre alle sue gambe si aggrappano una giovane donna e un bambino.
Il monumento, presentato domani a «Marmomacc», la Mostra internazionale di pietre, design e tecnologie di Verona da dove sarà poi portato a Lasino, il borgo della valle del Sarca da cui partirono quei nostri nonni, è frutto del mecenatismo di Silvio Xompero e Franco Masello, i «patron» di Margraf, una delle più antiche e famose imprese del marmo pregiato del pianeta. Basti dire che nell’ultimo secolo ha firmato il palazzo Piazza dell’Opera a Vienna e il Ritz Carlton a Singapore, il Coca-Cola Building ad Atlanta e il Metropolitan a New York.
Chi sia Masello lo sanno tutti coloro che sono stati toccati dal dolore. È l’uomo che, grazie alla generosità di amici imprenditori, regalò a Padova e allo Stato la clinica di oncologia pediatrica «Città della speranza». Per dare poi vita nel 2012 (ancora con soldi privati) alla «Torre della ricerca», il più grande centro d’Europa di laboratori sulla leucemia e le malattie infantili. Farsi carico del dolore dei nostri nonni emigrati dopo quello dei nostri bambini gli è venuto naturale.
Domenico Bassetti era un irredentista. Che fuggì nel 1859 dal Trentino allora austriaco per combattere nella II Guerra d’indipendenza. Ad armistizio firmato, non potendo tornare a casa perché sarebbe stato arrestato, si arruolò nella Legione straniera, finì in Algeria, se ne innamorò. E qualche anno dopo convinse un gruppo di famiglie trentine, come avrebbe raccontato Renzo Grosselli in L’emigrazione dal Trentino , a trasferirsi con altre famiglie italiane, francesi, spagnole, in una valle ai piedi dell’Atlante, tra Algeri e Costantina, ai margini occidentali della Cabilia. Un luogo che in qualche modo ricordava loro il paesello natio.
Comprati a buon prezzo 546 ettari di terreno, i coloni chiamarono il borgo Palestro, dal nome della battaglia risorgimentale, scelsero come sindaco lo stesso Bassetti e, come avrebbe testimoniato Giobatta Trentini nel 1892, costruirono «le loro case sullo stesso sistema e nel medesimo modo come in Trentino» con «nel mezzo una magnifica Chiesetta amministrata da un curato italiano».
Pareva essere, nonostante qualche tensione sulle proprietà, un inserimento pacifico. I rapporti coi berberi infatti, racconta Louis Rinn nella Histoire de l’insurrection de 1871 en Algérie , erano buoni. Gli unici screzi, sostiene lo storico francese, erano per il mercato settimanale. Quello dei «nostri» dava fastidio a quelli altrui.
Tutto precipitò nel marzo del 1871 quando dei ribelli guidati da Mohammed el-Hadj el-Moqrani, che si appoggiavano sulla confraternita islamica Rahmaniya, scatenarono la rivolta attaccando i villaggi dei pieds noirs. Il curato di Lasino, spiegando di aver raccolto le notizie dal Messager Journal de Alger e da un paesano miracolosamente sopravvissuto, raccontò un mese dopo i fatti sulla diocesana Voce Cattolica : «In tutti quei villaggi erano già all’erta, e in particolare a Palestro, dove già da più di un mese e mezzo dovevano montare la guardia tutte le notti, per il pericolo di essere assaliti».
Prima fu messo a fuoco il borgo di Bodavò, poi quello di Igisier. A quel punto Bassetti, allarmato, affidò la moglie Virginia Ursula Solvini e le due figlie a Pietro Chisté (pare fosse suo cognato) perché le portasse ad Algeri e gli chiese di lanciare l’allarme perché i francesi mandassero subito una spedizione di soccorso. Quindi si preparò a resistere all’urto.
I ribelli fecero irruzione a Palestro il primo giorno di primavera. I coloni cercarono rifugio in canonica e nella sede della società che faceva ponti e strade.
Scriverà due settimane dopo il giornale Il Buonsenso ripreso da La Voce Cattolica , «gli uomini validi e ben armati erano nel Presbiterio; nell’altra casa erano le donne, i fanciulli e pochi uomini. Si combatté per un’intera giornata, uccidendo un gran numero di arabi. Verso sera costoro vennero a fare proposte di capitolazione. Essi offrirono di condurre tutti fino all’Alma, restituendo le armi e le munizioni a due chilometri da questo villaggio. Queste proposte fatte a voce furono subito accettate dagli assediati, a capo dei quali stavano la squadra della Gendarmeria e il sindaco Bassetti…».
Forse l’avrebbero rispettato davvero quel patto, i capi della rivolta. Ma ai trecento rivoltosi che avevano fatto irruzione a Palestro si erano uniti nuovi fanatici assetati di sangue: «Fu aperta una porta; ma allora fu invasa, e cominciò il macello. Gli sventurati traditi lottarono fino all’estremità. Bassetti, uomo energico e dotato di forza erculea, uccise cinque assalitori a colpi di pugnale; un gendarme ne uccise tre. Ma alla fine soccombettero al numero, e caddero gli uni dopo gli altri. Allora cominciò una scena orribile. Furono spogliate le vittime, furono profanati i cadaveri, e a quelli ch’erano ancora in vita furono inferte mille torture prima di ucciderli».
«L’altra casa, in cui stavano dieci uomini e trenta donne e fanciulli», continua la cronaca, «sostenne un assedio di una notte e due giorni, senza acqua e senza viveri. Facevano sempre fuoco, e gli arabi cadevano ma non si ritiravano. Alla fine questi misero il fuoco alla casa e coloro che vi erano rinchiusi si arresero a mercede. Non si sa precisamente per quale miracolo essi non abbiano subito la stessa sorte degli altri». Tutti rapiti. Spariti.
La spedizione di soccorso del colonnello Alexandre Fourchault, come hanno ricordato Renzo Gubert, Aldo Gorfer e Umberto Beccaluva in Emigrazione trentina , arrivò «dopo una faticosa marcia senza interruzione di sette ore» troppo tardi. Il paesino di Palestro era stato annientato: «Non fu possibile di riconoscere la maggior parte delle vittime, rese non conoscibili dalle acquistate ferite e mutilazioni…». Sparirono dalla memoria, Nico Bassetti e tutti gli altri nostri nonni spazzati via da quella onda di violenza.
La cerimonia di installazione della statua nel borgo da cui partirono, cerimonia per la quale il sindaco Eugenio Simonetti e gli abitanti di Lasino sognano la presenza, chissà, anche di Sergio Mattarella, sarà l’occasione, un secolo e mezzo dopo, di avere finalmente una pietra su cui piangere.