Il celebre “schema” è diventato sinonimo di inganno finanziario. Bernardelli e Mazzotti spiegano come
di Matteo Sacchi da “Il Giornale” del 2 novembre 2021
Quando Charles Ponzi diventò il re Mida degli anni Venti non aveva un passato. O meglio di passati ne aveva tanti, buoni, alla bisogna, per aiutarlo a trasformare il piombo in oro, o meglio i francobolli in oro. O meglio ancora: a dire di essere in grado di trasformare i francobolli in oro (niente vale più dell’apparenza). E alchimista, in qualche modo, lo era davvero Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi (1882-1949), però nel trasformare i sogni altrui in moneta sonate, da far ricircolare per attirare altra moneta sonante. Un mistagogo del dio denaro con un metodo: quello che poi sarebbe passato alla storia come Schema Ponzi. Una vera e propria pietra filosofale della truffa che racchiude un genio maligno. Un genio che travolse il suo stesso ideatore. Tanto che capire se fosse un folle funambolo degli affari, che calcolò male il salto, oppure soltanto un bieco maramaldo, schiavo delle sue stesse bugie, è difficile. Persino a un secolo di distanza.
Ma andiamo con ordine, ammesso che Ponzi ce lo consenta (amava il caos dove il vero somiglia al falso). E per farlo aggrappiamoci a Lo schema Ponzi, ma inteso come il titolo del bel romanzo (di una truffa) scritto a quattro mani da Paolo Bernardelli e Filippo Mazzotti (Piemme, pagg. 506, euro 18,90).
L’epifania di Ponzi avvenne a Boston nel 1918 quando, dopo il suo matrimonio con una italo americana, Rose Gnecco, iniziò ad aggirarsi per le banche cittadine a chiedere prestiti e progettare affari. Tra cui una «Guida del commerciante», una sorta di vademecum per promuovere i rapporti tra intraprese. La guida doveva contenere le pubblicità e gli indirizzi di una serie di inserzionisti, di tutti i generi merceologici. Il volume veniva spedito agli interessati, su richiesta. La richiesta non ci fu, mentre i pochi averi di Rose venivano dilapidati. Eppure il matrimonio tenne nonostante una lettera dall’Italia di mamma Ponzi: rivela alla giovane sposa come Carlo in Italia non si fosse mai laureato in giurisprudenza, fosse arrivato negli States da anni combinando poco e frequentando galere per assegni scoperti ed altre amenità.
Ma intanto Charles, che non si perde d’animo, ha una filatelica agnizione. Come Archimede trova la leva e il punto di appoggio (monetario) con cui crede di sollevare il mondo. Una società spagnola gli chiede informazioni in merito alla famosa guida. La lettera è accompagnata da un buono di risposta internazionale (International Reply Coupon), che consente, nei paesi federati, di ottenere un francobollo per inviare la busta di risposta. Ponzi non ne ha mai visti e lo studia. Scopre che, dato il diverso costo della vita in Spagna rispetto agli Usa, il buono (spagnolo) vale meno del francobollo (americano). I buoni hanno un costo diverso in ciascun Paese ma il loro controvalore in francobolli è lo stesso, ovunque. Ponzi calcola che, ricevendo i buoni da un Paese dove il costo della vita è inferiore a quello statunitense, come Spagna o Italia, la transazione genera profitto. Per capirci 100 buoni possono originare 100 francobolli, ma se un buono spagnolo (costo in dollari = 10 centesimi) è cambiato negli Stati Uniti con francobolli da 15 o 20 centesimi l’uno, ecco che il profitto è del 50% o del 100%. Ponzi fiuta l’affare e crea una società per proporlo sul mercato. Sulla carta funziona e Ponzi sa convincere, anche perché promette in tempi rapidi guadagni sino al 50% della cifra investita.
Così la sua Securities Exchange Company, dopo un inizio stentato comincia ad essere investita da un fiume di denaro. Tutto diventa rapido e vorticoso: nel febbraio 1920 il capitale di Ponzi ammonta a 5mila dollari. A marzo si arriva a 30mila dollari e partono le assunzioni di agenti per raccogliere fondi. A maggio Ponzi ha raccolto 420mila dollari e inizia a depositare il denaro nella Hanover Trust Bank, puntando a incrementare il deposito fino a poter prendere il controllo della banca; la manovra gli riesce e a luglio è già diventato milionario. Ponzi ormai vive in una villa faraonica, parla coi grandi della finanza, fa donazioni.
Ma la realtà è che se il guadagno sul singolo buono postale è alto, il meccanismo per gestirli e comprarli è macchinoso e mangia gran parte degli utili. Il tutto si regge, solo e soltanto, sul fatto che gli investitori continuano ad aumentare e i nuovi fondi alimentano gli interessi che devono andare ai primi sottoscrittori. Insomma la situazione può solo esplodere. Ma intanto Ponzi è diventato l’eroe della città. Tutti lo vogliono, tutti gli credono. Come sintetizza bene il romanzo, dalla folla gli urlavano: «Sei il più grande italiano della Storia!. No rispose Carlo sorridendo. Son il terzo più grande. Colombo ha scoperto l’America e Marconi la radio!. Allora un altro dalla folla precisò: Ma tu hai scoperto i soldi!».
Col senno del poi è scontato come andò a finire la corsa al francobollo. Famiglie rovinate, banche crollate, Ponzi arrestato e coperto dall’odio di chi aveva visto in lui un potenziale re Mida. Una storia di credulità collettiva che a cent’anni di distanza resta ancora incredibile. Bernardelli e Mazzotti sono bravi a farla rivivere al lettore attraverso gli occhi dei molti protagonisti, costruendo un romanzo corale e a testimonianze dove c’è tutto: dal sogno del riscatto dell’emigrante alla frode, dall’inchiesta giornalistica del Boston Post che smascherò Ponzi al fascino perverso del truffatore, passando per il cuore infranto di una moglie. Soprattutto però c’è la riscoperta di un archetipo dell’inganno che ancora oggi fa scuola e ogni tanto viene riproposto. Perché il desiderio della pietra filosofale è sempre lì. E abbaglia anche i più saggi.