di Stefano Milani da Tiscali Cultura del 29 novembre 2021
Se essere artista per una donna è stato sempre più complicato che per un uomo, nella Roma XVII secolo era possibile purché fosse un’impresa eccezionale. Una mostra a Palazzo Barberini assegna un ruolo di primo piano a una delle sue star, Artemisia Gentileschi, diventato con merito un nome di punta della prima metà del ‘600. A Palazzo Corsini in Oltre Tevere una rassegna parallela documenta l’arte, il mondo romano e il tempo di Plautilla Bricci, pittrice e architettrice praticamente sconosciuta. I due appuntamenti danno da pensare alle artiste nella storia. Le due rassegne romane “raccontano con quanta intelligenza le donne hanno saputo operare nelle crepe di una società che le negava”, esclama Melania Mazzucco. Lo saprete già, altrimenti poco sotto diciamo perché interviene.
I due musei sono parte della Gallerie nazionali di arte antica , istituto del Ministero della cultura diretto da Flaminia Gennari Santori (clicca qui il sito) A Palazzo Barberini si tiene “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento”, a cura di una specialista del pittore secentesco più osannato e del suo tempo, Maria Cristina Terzaghi: fino al 27 marzo 2022 la rassegna dispiega 31 opere sul tema dell’eroina biblica che uccise Oloferne tra le quali spiccano il quadro del Caravaggio del museo stesso e due dipinti della pittrice provenienti da Napoli e da Firenze.
La Galleria Corsini in via della Lungara ha riaperto con i servizi al pubblico rinnovati con la mostra aperta fino al 19 aprile 2022 “Una rivoluzione silenziosa. Plautilla Bricci pittrice e architettrice”, a cura di Yuri Primarosa, pioniere negli studi su questa figura secentesca che infatti gode qui della prima rassegna.
Perché interpelliamo Melania Mazzucco? Perché ha tutti i titoli per parlare con cognizione di causa delle due figure d’arte, Artemisia, che è vissuta dal 1593 al 1656 circa, e Plautilla Bricci, che è vissuta dal 1616 a fin dopo il 1690 e senza lasciare mai Roma. Come spiega la narratrice e saggista, è un’autrice che non abbiamo visto nemmeno quando abbiamo avuto le sue opere davanti al naso.
Vincitrice, e più volte finalista, del premio Strega nel 2004 con il romanzo Vita (Einaudi, pp. 472, € 14,00) Melania Mazzucco nel 2019 ha pubblicato per Einaudi un romanzo, o biografia romanzata, proprio su Plautilla, “L’architettrice” (Einaudi, pp. 568, € 22,00, clicca qui per il sito). Non è stata una escursione casuale. L’autrice infatti conosce bene l’arte antica: valga a titolo di per esempio la vasta biografia del 2009, capace di restituire bagliori e ombre di una stagione e di una città, quale è Jacomo Tintoretto & i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana (Rizzoli, 1032 pp., € 42,00).
Mazzucco, come valuta la mostra sul tema della Giuditta a Palazzo Barberini e quella su Plautilla a Palazzo Corsini?
Sono legate, le tiene insieme un discorso. Va detto che “Una rivoluzione silenziosa. Plautilla Bricci pittrice e architettrice” è la prima monografica su quest’artista diventata nel tempo neanche più un nome e, negli ultimi anni, conosciuto solo da pochissimi specialisti.
L’ha fatta conoscere al pubblico lei con il suo romanzo “L’architettrice”.
Ma come giudica la mostra?
È straordinaria: si può vedere tutto ciò che l’artista ha creato. Probabilmente sarà anche un punto di partenza. Da questo momento ci saranno nuovi studi che permetteranno di attribuirle nuove opere ma tutto ciò che sappiamo per certo lì c’è. Quindi ci sono lo stendardo da lei dipinto, la bellissima lunetta dai depositi di San Giovanni in Laterano, la Madonna del Rosario, la Pala di San Luigi dei Francesi, tutti i disegni architettonici che hanno portato alla realizzazione della villa del Vascello, i disegni di opere non realizzate. La più curiosa è forse la scalinata di Trinità dei Monti.
Come sarebbe a dire la scalinata?
I romani e i turisti pensando a piazza di Spagna e al Pincio pensano alla scalinata come se ci fosse sempre stata. Invece all’epoca di Plautilla era ancora una erta impervia, boscosa. Lei e l’abate Elpidio Benedetti come tutti gli architetti di Roma sognarono di risolvere questo problema architettonico. Fecero un progetto che si può vedere ed è abbastanza commovente.
Per quale motivo dice “commovente”?
Plautilla pensava di creare due rampe laterali dove pensava si potesse salire in carrozza. Quindi nel disegno vediamo una piccola carrozza con le figurine che sale verso Trinità dei Monti. La mostra ha anche quello che Plautilla non è riuscita a fare e quindi anche i progetti mai realizzati. Ci sono anche la tomba del cardinal di Mazzarino e uno stupendo ritratto di Pietro da Cortona, forse uno dei pezzi più pregevoli fino a questo momento inedito e proposto da Primarosa. È un ritratto di grande potenza come quelli di Velazquez, di un uomo secentesco di potere e colpisce per la qualità pittorica eccezionale, per la rappresentazione dei merletti, per lo sguardo di un’intelligenza rapace del cardinale. Poi Mazzarino è stato un protagonista occulto della vita di Plautilla perché l’abate Benedetti, il suo principale committente nonché compagno di una vita, era il segretario del cardinale.
Fino a oggi si sono visti i dipinti di Plautilla?
Nessuno li ha mai visti. In realtà l’unico che tutti hanno visto senza sapere che è suo è la Madonna nella chiesa degli Artisti a Roma, Santa Maria in Montesanto in piazza del Popolo, prestata generosamente alla mostra dal rettore della basilica dove è sempre stato esposto sull’altar maggiore (clicca qui per il sito). Lei lo dipinse come una sorta di falso storico, sembra antico, fuori dal tempo, ha potere magico perché si dice fece miracoli, che fu dipinto dalla Madonna. Col tempo si perse però il nome dell’autrice e tutti quelli che hanno partecipato ai funerali dei grandi artisti del cinema e del teatro che lì si tengono hanno visto questa Madonna senza sapere che è di Plautilla. Durante un restauro finanziato dalla moglie del regista romano Gigi Magni è stato rinvenuto dietro il quadro un cartiglio dove dice che lo aveva eseguito questa ragazzina romana, Plautilla. E si racconta una storia miracolosa: lei non aveva mai dipinto in grande, non sapeva come finire il quadro, si addormentò e la Madonna la aiutò. La famiglia Bricci impressionata dal prodigio donò l’opera ai frati dicendo che era miracolosa. La cosa sorprendente è che la storia fu inventata dal padre di lei, Giovanni, e dalla pittrice stessa.
Per una strategia di marketing, diremmo oggi?
Esatto. L’opposto a quella che il padre di Artemisia Gentileschi, Orazio, avrebbe attuato per la figlia diventata pittrice di donne forti, ribelli, mentre il padre di Plautilla la indirizzò verso Madonne, capocce di santi, una pittura sacra che aveva grande mercato.
Andando a Palazzo Barberini, grazie anche alla mostra “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta”, cosa emerge da un confronto fra le due pittrici?
Il tema dei padri, per esempio. Quasi tutte le artiste del ‘600, e in realtà anche del ‘700, erano figlie d’arte: solo loro potevano formarsi nelle botteghe che altrimenti non potevano frequentare né avere un repertorio di disegni sui quali studiare. Una ragazza dell’epoca altrimenti non poteva. Orazio Gentileschi era un grande pittore, noto, invece Giovanni Bricci era un minore del ‘600 romano di cui la mostra recupera la prima opera certa, un affresco. Ma era anche un attore, un commediografo, uno scrittore, un matematico, musicista, e quindi diede a Plautilla strumenti diversi da quelli dati ad Artemisia. Giovanni Bricci aveva l’ambizione di essere universale e Plautilla divenne molto di più di quanto lui aveva immaginato: divenne una pittrice anche di storie, di pale d’altare, e un’architettrice. Fu eccezionale per l’epoca.
Cos’ha costruito?
La sua opera architettonica si trova nella chiesa di San Luigi dei Francesi (clicca qui per il sito): è una Cappella a pochissima distanza dalla Cappella Cottarelli dove stanno i dipinti di Caravaggio (San Matteo e l’angelo, il Martirio di San Matteo, la Vocazione di san Matteo, ndr). Tutti noi, anche il turista, siamo passati davanti a questa cappella senza guardarla. È anche scritto che è di Plautilla e nessuno ha fatto caso a che una donna nel 1670-80 abbia costruito una cappella in una delle chiese più importanti di Roma
A causa di un oblio, di un velo, sulle artiste? Artemisia è nota ma in fondo stata riconosciuta da tanti dopo un romanzo su di lei di Anna Banti, nel dopoguerra, e oggi è rinomata anche per la violenza subita e il processo al violentatore, Agostino Tassi.
Artemisia fu costretta a utilizzare la sua vicenda per costruirsi una carriera d’artista. Per tutta la vita le hanno commissionato opere con donne forti, che praticavano la loro rivalsa su un uomo e spesso le chiedevano di autorappresentarsi. Lei capì che era la strada per un’affermazione professionale ed ebbe successo, era ben pagata e considerata. Ma lo era dai committenti: nell’ambiente romano in cui crebbe Plautilla o nella Venezia dei figli del Tintoretto Artemisia era circondata dalla fama scandalosa della sessualità. I contemporanei la giudicavano duramente e l’ha pagato per sempre. Con grande intelligenza l’artista ha saputo utilizzare la sua sventura, anche se fu trascinata al processo per stupro dal padre.
Lei era la vittima.
Lo era ma se ancora oggi nei processi per stupro è la vittima che viene processata figuriamoci in un tribunale del ‘600. “Non avrà fatto qualcosa per incoraggiare? Aveva la minigonna o pantaloni che si aprivano troppo facilmente?”, si dice ancora adesso. Per Orazio, bisogna dirlo, però era l’unica possibilità per restituire l’onore alla figlia che aveva perso perché deflorata e lo avrebbe recuperata sposandosi il Tassi era già sposato.
A lei cosa dice sulla cultura femminile il vedere queste pittrici?
Può insegnarci due strategie. Quella di Artemisia fu l’essere portata al centro della scena contro la sua volontà e rovesciare il ruolo della vittima sul mondo trasformando la disgrazia in uno strumento di potere: diventò una grande donna d’affari a capo della bottega, seppe costruirsi i suoi amori e la sentiamo molto moderna. Plautilla fu donna del ‘600 in altro modo: era il secolo della dissimulazione, non fece nulla per dare nell’occhio ma nello stesso tempo, proprio perché non notata, fece qualcosa che nemmeno Artemisia riuscì a compiere. Divenne architetto, cosa inimmaginabile a quel tempo, per di più di una villa costruita per un abate. Votata alla verginità dal padre, quasi sempre rinchiusa, usciva pochissimo, lei con abilissima strategia si finse più giovane per accreditare la versione della Madonna del dipinto e da quel momento aveva dieci anni di meno. È interessantissimo: fece una recita anche lei ma con una strategia opposta, sottraendosi, con un ruolo apparentemente umile, in realtà di un’ambizione sfrenata. E nessuna aveva fatto prima di lei quanto fece Plautilla. Sono due storie in apparenza antitetiche ma raccontano con quanta intelligenza le donne hanno saputo operare nelle crepe di una società che le negava. In più Plautilla era una donna sola e anche questo fatto è piuttosto eccezionale: non era monaca, non doveva niente a un marito, non sottostava agli ordini di nessuno e nella solitudine trovò la libertà. E le loro storie ci raccontano della loro libertà come della professionalità, del talento, un tema molto caro alla direttrice delle Gallerie e a me: Plautilla era capocantiere, sapeva andarci e comandare una ciurma. Non è facile adesso, figuriamoci allora.