Anche Mussolini ebbe il suo harem. I nomi di alcune amanti sono ben noti. Quelli di altre sono rimasti sconosciuti, o quasi. Mimmo Franzinelli, nel saggio Il duce e le donne, edito da Mondadori (288 pagine, 20 euro), ricostruisce le vicende delle principali protagoniste di avventure prolungate e rivela le identità di alcune delle centinaia di femmine, più o meno belle, che si offrirono per incontri occasionali. Il grande amatore non ebbe preconcetti di rango o di cultura: cameriere e precettrici, borghesi e nobili; un censimento di nomi e nomi di donne rimaste in ombra. Fonte dell’intrigante ricerca sono stati gli inediti rapporti di polizia consultati da Franzinelli all’Archivio di Stato di Roma.
di Attilio Mazza da l’Arena del 1 ottobre 2013
Mussolini era tenuto sotto controllo dallo stesso regime. Gerarchi e capi della polizia erano preoccupati che gli innumerevoli incontri femminili potessero costituire un potenziale pericolo per la sicurezza del capo e seguivano attentamente le sue molteplici frequentazioni, schedando amanti e ammiratrici pronte a donarglisi. I fascicoli riservati, gestiti dal capo della polizia Arturo Bocchini, oggi documenti preziosi, sono stati consultati dallo storico bresciano che ha potuto così ricostruire un quadro inedito dell’energico Benito, erotomane forse più prestante dell’amoroso Gabriele d’Annunzio che nella vita non gli fu forse da meno con 500 donne, fra professioniste e muse volontarie, finite nelle sue alcove, come ipotizzato da alcuni ricercatori fra cui l’indimenticabile Ivanos Ciani. Oltre ai documenti d’archivio, Franzinelli si è giovato delle memorie dei collaboratori di Mussolini, in particolare dell’autista Ercole Boratto, e anche delle testimonianze di Claretta Petacci, forse la più importante, sicuramente la più famosa fra le sue amanti che sacrificò addirittura la propria vita per essergli vicina sino all’ultimo giorno.
Scavando nella vita intima di Mussolini lo studioso ha ricomposto anche un quadro psicologico del personaggio: le sue piccole e grandi vanità, il suo bisogno di disporre contemporaneamente di più partner, la sua brama di possesso, il tormento della gelosia. Visse la propria sessualità come l’altra faccia della politica, convinto che la donna, al pari della folla, amasse essere dominata. Non furono tutti incontri privi di conseguenze. Nacquero figli naturali che resero burrascoso il ménage famigliare. Alcune storie finirono pure drammaticamente. Fra le più note, quella di Ida Dalser, nata a Sopramonte di Trento (all’epoca territorio dell’Impero austroungarico). Incontrò Mussolini quand’era espatriato a Trento prima della Grande guerra e lo avrebbe sposato (la caccia ai documenti del caso continua ad appassionare gli storici) continuando comunque la relazione nel dopoguerra a Milano, all’epoca in cui Benito era direttore del Popolo d’Italia; si vuole abbia anche finanziato la sua attività politica, al pari di Margherita Sarfatti, altra sua amante ben nota. Dagli incontri con Ida nacque nel 1915 Benito Albino, riconosciuto dal padre, nel frattempo già papà di Edda. Allo scoppio della guerra Mussolini si era infatti unito con Rachele Guidi, che diventerà poi la moglie ufficiale: la donna Rachele celebrata dal regime. Dopo la Marcia su Roma Mussolini cercò di far sparire la scomoda Ida Dalser, che non si rassegnava al silenzio. Proprio per questo fu sottoposta per un lungo periodo al controllo della polizia, quindi internata nel manicomio di Pergine Valsugana, poi in quello di San Clemente a Venezia, dove cessò di vivere nel 1937. Non meno drammatica fu l’esistenza del figlio Benito Albino, costantemente sorvegliato dalla polizia, educato in un collegio dei Barnabiti, arruolato in marina e poi sepolto come la madre in manicomio, dove morì nel 1942. Se questo era il Mussolini padre, neanche l’amatore è esente da critiche. Vittima di una défaillance sarebbe stato con la principessa Maria José di Savoia (poi Regina di Maggio) che gli si sarebbe offerta nuda di fronte a un Mussolini per una volta imbarazzato; anche per questo, malignano, Sua Altezza sarebbe poi diventata antifascista. Mussolini, secondo Franzinelli, «intimidito dalla spregiudicatezza e dal lignaggio, si sentì in posizione di sudditanza». E sì che l’aveva corteggiata, la principessa: lo ricostruisce Franzinelli ed è detto anche in una lettera di Romano, figlio di Mussolini e Rachele, al giornalista Antonio Terzi, che fu pubblicata dal settimanale Oggi: «effettivamente spesso in casa nostra si è parlato dei rapporti sia politici e sia sentimentali tra Maria José e mio padre, e ti posso dire con sincerità che mia madre», scrive Romano Mussolini, «a tale proposito è stata sempre (anche se con i logici riserbi) assai esplicita: tra mio padre e l’allora principessa di Piemonte v’è stato un breve periodo di relazione sentimentale intima, poi credo sicuramente interrotta per volontà di mio padre». Fu Maria José a scaricare Mussolini o fu lui a chiudere la relazione? Ecco un interrogativo che non troverà mai risposta.
La principessa non fu tuttavia la sola nobildonna a invaghirsi del potente Benito. Pagina dopo pagina sfilano nel saggio di Franzinelli altre donne di rango, oltre a quelle citate, fra cui Magda de Fontanges e l’autorevole Giulia Alliata di Montereale principessa di Gangi. Tra tante amanti la più strana fu Leda Rafanelli, che Mussolini trentenne incontrò a Milano: tipografa, editrice, poetessa, scrittrice di romanzi e pamphlet, giornalista, anarchica, ammiratrice dell’Islam al punto da abbracciare la religione musulmana e da apprendere la scrittura araba; si accreditava come sensitiva e cartomante. Si dedicò anche al culto delle antiche civiltà egizie e venne attratta dal mondo orientale e dalle «scienze occulte». La figura della Rafanelli, nata a Pistoia nel 1880 e scomparsa a Genova nel 1971, è tornata recentemente di attualità grazie al suo dattiloscritto inedito curato da Milva Maria Cappellini, Memorie d’una chiromante, pubblicato da Nerosubianco nella collana Le drizze, diretta da Luciano Curreri. Il suo stile orientale suggestionò Mussolini. «Quando vorrò portare una parentesi nella mia vita tumultuosa, congestionata e solitaria», le scrisse il trentenne Benito, «verrò da voi e mi sembrerà di essere lontano mille chilometri da Milano, dal giornalismo, dalla politica, dall’Italia, dall’Occidente, dall’Europa. Perché nel vostro salotto originale — forse unico a Milano — mi farete vivere alcune ore orientali. Parleremo disordinatamente del passato, dell’attualità, del futuro: di tutto e di nulla. Leggeremo Nietzsche e il Corano». La Rafanelli si considerava veggente, ma a Mussolini, che avrebbe voluto farsi leggere la mano, Leda oppose un rifiuto: «Non mi piace conoscere la vita intima né il carattere vero dei miei amici: forse per non deluderli». Commentò, molti anni dopo il tragico epilogo di Piazzale Loreto: «Ora penso, se la sua mano l’avessi guardata, in quel lontano giorno, che cosa avrei veduto? Avrei indovinato il suo tragico destino?»