Un re del Piemonte che sognava di essere Re d’Italia e non ci riuscì. Un re a cavallo di due mondi, un mondo che guardava all’ancien régime e un mondo nuovo che guardava al liberalismo.
Un monarca che ha comunque consegnato, al Piemonte prima e all’Italia poi, uno Statuto moderno che ci ha governato sin oltre la fine della Seconda guerra mondiale. Stiamo ovviamente parlando di Carlo Alberto (1798-1849), re del Piemonte.
Molti lati della personalità e della vita del monarca emergono dalla mostra genovese (che durerà sino al 31 luglio) organizzata nel Palazzo Reale della città: Il Re nuovo. Carlo Alberto nel Palazzo reale di Genova. Sono raccolte nelle sale del Palazzo, più specificamente negli appartamenti dei principi ereditari, opere d’arte, memorie e cimeli provenienti da collezioni private e pubbliche, ritratti su tela, cammei e miniature, avori e porcellane, alternati a busti in marmo e bronzo dorato, stampe e disegni, documenti e libri, arredi e oggetti preziosi legati al monarca. L’obiettivo è fissare l’iconografia del sovrano, sia quella ufficiale, sia quella più intima, fermando i punti salienti della biografia del re, e dei suoi famigliari, sullo sfondo della storia della nazione nascente e della complessa situazione della Prima guerra di indipendenza.
Ne esce un ritratto, del principe prima e del monarca poi, complesso e articolato, ben compendiato anche nei saggi che compongono il catalogo che accompagna la mostra. Tra questi spicca quello di Francesco Perfetti: Carlo Alberto da Principe di Carignano a Re di Sardegna. Racconta bene le peculiarità di questo monarca quasi per caso (era davvero improbabile che la successione passasse a lui). Proprio la sua infanzia, non già orientata verso il trono, gli diede la possibilità di venire in contatto con ambienti liberali che gli fornirono una visione della regalità diversa da quella che avrebbe sviluppato crescendo a corte. Ecco perché già nel 1820-1821 era visto come punto di riferimento da molti intellettuali, da Vincenzo Monti sino al repubblicano Luigi Angeloni. Carlo Alberto voleva porsi come mediatore tra la corte sabauda e gli ambienti rivoluzionari. Ma finì per trovarsi tra l’incudine e il martello. Non fu tentennante, semplicemente si trovò a gestire una situazione esplosiva. Dimostrò poi, una volta salito al trono, di essere l’uomo delle «riforme possibili». Concesse lo Statuto, in un certo senso, solo quando concederlo era diventato una conditio sine qua non per i suoi scopi. Ma lo concesse, e poi vi tenne fede. Egualmente non si tirò mai indietro nella sua guerra sfortunata contro l’Austria. Quindi non si possono negare i suoi meriti storici.
Visto da vicino, poi, Carlo Alberto appare un po’ diverso dal personaggio amletico che ci ha tramandato la storiografia patria. Anche dopo essere salito al trono fu mondano e brillante e persino dotato di «una grazia seducente». Solo nel finale della sua vita, che lui avrebbe preferito concludere su un campo di battaglia e non in esilio, prese corpo quel personaggio tragico che ispirò Carducci: «oggi ti canto, o re de’ miei verd’anni,/ re per tant’anni/ bestemmiato e pianto,/ che via passasti con la spada in pugno/ ed il cilicio// al cristian petto, italo Amleto».



Gagliarda woman of the stars Maria Cipriano non si preoccupi della mia salute, sto bene. Piuttosto rifletta sulle “grossolane” “stupidaggini” che da più di 150 anni sono state fatte passare per verità.
Emanuele il problema è: la narrazione risorgimentale è aderente alla realtà o ci hanno mentito?
Lei afferma che va bene lo stesso anche se ci hanno mentito!
Ma lei capisce quello che scrive?
E’ vero la viabilità interna del Regno del sud era carente, anche per la morfologia del territorio, di contro si dette impulso al trasporto via mare, creando una flotta potentissima. Fu realizzato in sostanza l’autostrada del mare.
La storia per definizione è una scienza revisionista.
Questo non vuol dire che TUTTA la narrazione del passato sia TUTTA falsa e ci sia ovunque un mostruoso complotto che finora ci ha impedito di vedere la verità… Di sicuro così non è per il Risorgimento, visto che la maggior parte delle cosiddette “scoperte” che fanno oggi i neoborbonici sono da lunga pezza conosciute oppure – vedi la questione dei “genocidi” – totalmente inventate.
Sulla viabilità del Sud, vexata quaestio. Sono meridionale e conosco bene le mie terre. E di sicuro non è più difficile fare una strada in Puglia che nelle Langhe o nelle Alpi Marittime. Ferdinando II per andare nelle Puglie non ha preso “l’autostrada del mare”, ma la carrozza, e mal gliene incolse. E comunque queste “autostrade del mare” se c’erano, come nel caso del famoso “primo vaporetto italiano” (durato da Natale a Santo Stefano) erano come il “primo treno”: destinati solo a una ristrettissima cerchia di benestanti.
La modernizzazione ha portato anche grandi disastri, che nessuno nega, ma di sicuro nel regno borbonico erano allergici a essa in tutte le sue forme.
Emanuele visto che le “cosiddette “scoperte” che fanno oggi i neoborbonici sono da lunga pezza conosciute” come tu giustamente sostieni, com’è che nelle scuole, sui libri nelle piazze di tutta Italia si continuano a celebrare falsi eroi, falsi miti e falsi patrioti?
I “grandi disastri” arrecati al sud dall’invasione piemontese vengono ancora negati, se lo dici alla woman of the stars Maria Cipriano, ti dà del pazzo!
Comunque, visto che sei meridionale, dovresti sapere che Ferdinando quando si mise in viaggio era già sofferente in quanto affetto da una grave infezione all’inguine che, naturalmente, peggiorò con lo stress del viaggio e della cerimonia nunziale del figlio a Bari. Non dare retta alla Cipriano, non fu ammazzato dalla mancanza di strade!
Perché non sono “falsi”.
Perché Cialdini e La Marmora non erano macellai, ma generali del loro tempo.
Perché Garibaldi non era un bandito schiavista ma un patriota eroe.
Perché Cavour fu una mente geniale.
Ecco perché abbiamo giustamente dedicato agli artefici dell’unità d’Italia strade, piazze e monumenti.
Poi, che l’unità non sia stata il migliore dei mondi possibile, è vero. Ma non che quello che ha sostituito fosse meglio, anzi… Ed è vero che con l’unità arrivarono grandi guasti a sud, come l’esproprio delle terre comuni da parte del notabilato (comunque meridionale). Ma anche questo era un processo storico che presto o tardi sarebbe cascato fra capo e collo alle popolazioni del sud, perché era l’intero secolo che procedeva lungo quella deprecabile strada. E comunque con l’unità arrivò anche la modernità: strade, ferrovie, ospedali, scuole, teatri, infrastrutture, acquedotti, bonifiche… La crescita delle ferrovie a sud fu in proporzione molte volte superiore a quella del nord, tanto per dire.
E tutto ciò è largamente conosciuto da decenni. Da Nitti e da Gramsci, ma anche da prima. E non sposta di una virgola i meriti dei patrioti che fecero l’Italia.
Quanta confusione! Cerco di mettere ordine.
Quello che si contesta ai sostenitori del mito risorgimentale è che la narrazione degli accadimenti più importanti è stata fatta mentendo spudoratamente. Si è stravolta la verità dei fatti. Un paio di esempi: I famosi incontri tra La Farina e Benso, per organizzare l’invasione del Sud, avvenivano di notte e in gran segreto. Il famoso furto del “Piemonte” e del “Lombardo” non è mai avvenuto. Rubattino si incontrò a Modena in gran segreto con il Re V.E.II e Benso il 4 maggio 1860 alla presenza del notaio Baldioli per acquistarli a caro prezzo. A tutt’oggi non c’è un solo testo scolastico che ne fa cenno.
Cialdini e La Marmora erano macellai, come tutti i generali del loro tempo. Chiamarli eroi mi sembra quanto meno esagerato.
Garibaldi era un bandito schiavista e un mercenario, fatto passare per patriota ed eroe.
Cavour fu una mente geniale ma mai e poi mai un fervente patriota!
Con l’unità non arrivò la modernità, arrivò la miseria, l’emigrazione, le tasse, la coscrizione obbligatoria, la soppressione degli ordini religiosi, la chiusura delle scuole, e tante tante ingiustizie. Quando parli di strade, infrastrutture o ferrovie, ricordati sempre che a Matera hanno vissuto nelle caverne fino al 1970 e che ancora oggi non esiste la ferrovia.
Purtroppo, la questione del positivo o negativo procurato dalla unità d’Italia sotto la monarchia sabauda non potrà mai essere risolta, alla stregua della questione omerica, a causa della distruzione dell’archivio di Stato di Napoli operata da tre idioti-criminali di soldati tedeschi il 30 settembre 1943, dopo l’infausto colpo di Stato del 25 luglio ’43 ed i 2 armistizi (diktat) del settembre ’43. L’entità del disastro è enorme. In quel deposito a villa Montesano presso San Paolo Belsito (30 km da Napoli) erano state riunite tutte le più preziose serie di documenti provenienti dai vari archivi del mezzogiorno d’Italia. E la loro distruzione ha creato un vuoto immenso nelle fonti storiche della civiltà europea, vuoto che nulla potrà mai colmare. Tra le più preziose scritture perdute è la serie di 378 registri della cancelleria angioina (1265-1435), che era una delle più preziose fonti storiche del medio-evo, i registri della cancelleria aragonese, i codici, i manoscritti, le raccolte di autografi, i trattati originali del regno di Napoli, i processi politici celebri; e la miglior parte degli archivi della real casa di Borbone, di casa Farnese, della regia camera della Sommaria, del consiglio collaterale, della real camera di Santa Chiara, della segreteria dei Viceré, della cappellania maggiore, della giunta di Sicilia, dei ministeri borbonici della presidenza e degli affari esteri, dell’ordine di Malta, della commissione feudale, della tesoreria antica, del tribunale conservatore della nobiltà, degli antichi notai è andata distrutta.
Quell’Archivio di Napoli che fu encomiabilmente riammodernato e riordinato proprio dal Regno d’Italia.
E in ogni modo basta molto meno per replicare alle grossolane provocazioni di Socrate, che ripete le solite accuse per sentito dire, senza il minimo approfondimento e con bugie manifeste. Per inciso, se Cialdini fosse stato un macellaio non avrebbe impedito ai messinesi inferociti di linciare il generale borbonico Fergola come volevano fare.