La leggenda nera di Papa Borgia nasce da fatti reali o dalla propaganda dei nemici politici?
di Emiliano Fumaneri da Storia in Rete n. 72
Alessandro VI, al secolo Rodrigo de Borja y Borja (italianizzato in Borgia), ha incarnato forse come nessun altro la condizione, ritenuta miserevole, in cui versava la Chiesa rinascimentale, segnata da un’endemica indisciplina interna, coi pontefici assorbiti da impegni politico-militari. Nel 1492, l’ascesa al trono pontificio del Borgia ne fece una figura soggetta a critiche impietose. Dopo la morte (1503) nei suoi confronti si scatenò un vero e proprio fiume d’accuse infondate e dicerie spropositate. Il mondo protestante lo eleva a simbolo della corruzione imperante nella «Grande Meretrice » dell’Apocalisse, vale a dire la Roma papalina. Nel clima pesante e teso di quel periodo, funestato dall’impoverimento, da scismi religiosi, continue guerre e terribili epidemie, le fosche denunce dei protestanti riscossero notevole credito. Nel corso dei secoli all’elenco ingiurioso dei misfatti di Papa Borgia si aggiungono capi d’accusa come la simonia, il nepotismo, la lussuria, perfino l’incesto con la figlia Lucrezia. E poi torture ed omicidi politici. In prima linea nella denigrazione di Alessandro VI va segnalato Francesco Guicciardini, acerrimo nemico del partito catalano dei Borgia. Lo scrittore fiorentino affastellerà inesattezze e voci infondate nella sua monumentale «Storia d’Italia» (1537-40).
Tradotta in inglese, la «Storia» fungerà da canovaccio a una produzione romanzesca e filmica anglosassone percorsa da una pesante vena antiecclesiastica. La letteratura popolare raffigurerà il Borgia come emblema del Rinascimento, raffinato, crudele, goloso e sessualmente incontinente. Com’è facile intuire, anche intorno alla figura di Alessandro VI circola una «leggenda nera» che ne ha accentuato fino all’inverosimile i tratti negativi. Così la pensa Lorenzo Pingiotti, autore del volume «La leggenda nera di Papa Borgia» (Fede e Cultura, 2008, pp. 256). La ragionata disamina della produzione storiografica fa emergere finalmente l’Alessandro VI della «storia» e non quello del «mito». Papa Borgia non fu certo un modello di virtù ma nemmeno il sadico folle della «leggenda nera». Il conclave che lo vide eletto non fu sospetto di pratiche simoniache. La vittoria del Borgia però doveva frustrare le attese di Stati potenti come la Francia. Cominciarono così a circolare le accuse di simonia che, tuttavia, l’esame dei documenti ha rivelato essere infondate. Non fu invece una diceria senza fondamento il nepotismo di Alessandro VI, ma occorre precisare come all’epoca costituisse una pratica usuale dettata dall’esigenza di circondarsi di elementi fidati, tra cui spiccavano quelli vincolati da legami di sangue. Gli avversari dei Borgia, le potenti famiglie degli Orsini, Colonna, Savelli e Caetani, misero in circolazione una letteratura denigratoria che contribuì non poco ad alimentarne il «mito negativo». Corrisponde a verità anche la nascita dei tre figli di Rodrigo Borgia, avuti dall’amante quando era cardinale. Anche in questo caso va detto che il cardinalato allora era reputato una carica amministrativa e si poteva esservi ammessi anche col semplice diaconato, dunque senza il vincolo del celibato. Queste ambiguità terminarono solo successivamente, col Concilio di Trento. Anche l’uso del veleno per «appianare » le controversie politiche pare essere stato una semplice leggenda. In fin dei conti Alessandro VI certamente «fu più principe che pastore» (M. A. Iannacone). Ma, di certo, nemmeno quel lussurioso sanguinario consegnatoci dall’immaginario collettivo.