di Mariofilippo Brambilla di Carpiano*
alcuni, che nei primissimi anni ’90 erano bambini e incuriositi dalla scoperta del mappamondo, ricorderanno certamente, una pubblicità molto trasmessa, allora, sui canali della televisione italiana. Lo spot, azzeccatissimo, del nuovo Atlante De Agostini, uscito per le edizioni del Corriere della Sera, si apriva con lo schianto di un aereo militare sovietico, in mezzo a un campo dell’Est, sotto lo sguardo indispettito di una contadina intenta a rivoltare il fieno. Rapido lo scambio di battute. “Madre Russia!” esclamava nella sua lingua classica lo scompigliato pilota, tra lo svolazzare delle galline. “Macché Russia, questa è Ucraina!” rispondeva la donna. “Ma l’Ucraina è Russia!” controbatteva l’aviere, sempre più disorientato. “No” concludeva lei, con piglio deciso, trafficando nel fienile, “L’Ucraina è Ucraina!”.
Nel 1991 la ristampa di tutti gli atlanti del mondo era una delle maggiori rappresentazioni plastiche dell’evento storico che segnò la fine di un’era: dal Cremlino veniva ammainata la bandiera rossa con la falce e martello. Il secolo breve, con la sua cavalcata turbolenta attraverso gli anni che mossero il mondo, volgeva al tramonto. Il processo di disgregazione del sistema politico, economico e della struttura sociale dell’Unione Sovietica che portò all’indipendenza delle repubbliche socialiste da cui era composta, non significò soltanto il mutamento dell’asse geopolitico internazionale, ma anche il ritorno di grandi entità storiche che si credevano sepolte sotto cumuli di cenere.
Per i russi non finiva solamente l’ordine dettato dal Patto di Varsavia, eretto all’indomani della fine della seconda guerra mondiale e franato sotto le macerie del Muro di Berlino. Per loro terminava il più longevo e perverso regime della storia dell’umanità. Instaurato dai bolscevichi con la rivoluzione d’Ottobre, esso dissolse l’immenso impero degli zar, liquefacendone l’identità storica dentro un’unione di repubbliche autonome, dagli assetti etnico-territoriali spesso modificati e diretti dal partito comunista di Mosca.
A quell’antica amalgama di potere che per secoli si era costituita attorno all’ autocrazia imperiale, al nazionalismo dei reggimenti dell’esercito, al conservatorismo del latifondo e al misticismo della Chiesa Ortodossa, si contrappose violentemente una nuova concezione del mondo. Lenin applicò l’internazionalismo rivoluzionario, il materialismo dialettico, la collettivizzazione forzata e il partito di massa. Surrogato artificioso di religione e comunità nazionale. Il fantasma di Marx vinse per quasi cent’anni il fantasma di Pietro il Grande.
Fu con il preciso intento di disarticolare l’impero russo, per rimpiazzarlo con l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (casa ritenuta più idonea a custodire l’archetipo dell’uomo nuovo comunista), che Lenin e i suoi favorirono la nascita dell’Ucraina come entità statale nel 1918. Tradotta dall’antico slavo, la definizione geografica significa, pressappoco, Terra di confine. Nel nome è già scritta l’instabilità geopolitica di questa vastissima estensione di pianure e di coste, comprese tra la Polonia e il Mar Nero, crocevia di religioni, imperi e tradizioni. Per i russi si trattò, sin dal principio, anche di un irrinunciabile granaio, con accesso vitale ad un mare caldo (i colori della bandiera azzurro-oro sono il cielo terso sopra i campi ubertosi di cereali).
Separare la storia dell’Ucraina orientale, intesa dal fiume Dnepr verso il Volga, da quella del resto della Russia sarebbe praticamente impossibile ed intellettualmente disonesto. I due popoli hanno una storia comune, secolare, che risale al battesimo di quelle terre da parte del Gran principe Vladimir il Santo, come recentemente ricordato dal Patriarca Kirill, durante il suo appello per una pacificazione che oggi appare lontana. E’ dirimente comprendere come l’Ucraina rappresenti per i russi la prima radice ed il primo vagito della loro nazione.
Abitato in origine da tribù vichinghe, successivamente mescolatesi con popolazioni slave-scandinave e finniche, tra il IX e il X secolo, il territorio del Principato di Kiev divenne il primo nucleo dell’organizzazione politica della Rus’. I sovrani di quel tempo lo cristianizzarono, gettando le basi di uno Stato che si estese progressivamente fino a Mosca, segnato da uno stretto rapporto di unione tra Sacerdotium e Imperium. Considerata la Terza Roma, perché risorta come una fenice dai resti di Costantinopoli, Mosca, venne destinata nella leggenda a perpetuare l’ancestrale tradizione dell’Impero di Bisanzio, caduto negli artigli dell’orda islamica nel 1453.
Proprio dalla Roma dei Cesari, universale ed eterna, e dai basileus bizantini, derivano i simboli della storia russa. Il titolo di czar, utilizzato dai monarchi slavi, veniva dal latino caesar o dal greco kaisar. L’aquila bicipite, tornata a campeggiare sulla bandiera della Federazione Russa dopo la caduta del comunismo, è il Cristianesimo che volge lo sguardo a oriente e a occidente nel medesimo istante.
All’ombra dei suoi preziosi monasteri, la regione di Kiev, denominata Piccola Russia,fu la culla della cultura russa moderna divenendo la prima frontiera dell’impero. Ma soltanto dopo una non brevissima parentesi di conquiste e battaglie, con l’avvicendarsi di invasori polacchi, lituani, svedesi, tatari e turchi, l’Ucraina tornò ad esserne parte integrante. Nel 1764 l’imperatrice Caterina II soppresse lo stato degli atamani Cosacchi, che nell’Ucraina meridionale avevano instaurato un temibile dominio. La vicenda di questa antica comunità militare di cavalieri-mercenari, nomadi, liberi e dalle origini misteriose, ebbe grande importanza nella storia russo-ucraina, magistralmente raccontata da Nikolaj Gogol’ nella novella di Taras Bul’ba.
La dicotomia tra Kiev (antica Madre di tutte le Russie) e San Pietroburgo (nuova capitale zarista) trapassò i secoli. Fortissimi furono i legami di queste terre con la dinastia dei Romanoff e con tutta la corte imperiale. Alessandro III e Nicola II amavano trascorrere lunghi periodi al Palazzo di Livadija, vicino Jalta. Proprio in quella bianca residenza estiva affacciata sul Mar Nero, l’ultimo zar passò tanti momenti sereni con la moglie e i figli, prima di finire tutti trucidati nell’eccidio di Ekaterinburg, nel luglio del ‘18. Non molto tempo dopo, dalla penisola di Crimea, navi inglesi alla fonda, traevano in salvo dalla furia rivoluzionaria dei bolscevichi i membri superstiti della famiglia imperiale, insieme ai resti dell’Armata Bianca del generale Vrangel’.
Questa regione storica, alla periferia centro-orientale dell’Europa, non comprendeva però soltanto la parte est, legata a triplo filo con San Pietroburgo. Vi era una vasta porzione di territorio, lambita dalla foce del Danubio ed oggi incorporata nell’Ucraina occidentale, che per centinaia di anni venne retta non dai Romanoff ma dagli Asburgo. Leopoli, la capitale, esprimeva perfettamente il carattere mitteleuropeo di quella divisione amministrativa dell’impero austro-ungarico chiamata Galizia e Lodomiria. Sul finire della prima guerra mondiale, a Vienna, si pensò di farne un regno ucraino indipendente e di offrirne la corona all’arciduca “rosso” Guglielmo d’Asburgo-Lorena. Ma quella è una storia nella storia.
In seguito, gli eventi squassanti del secondo conflitto mondiale, trovarono l’Ucraina già stremata dagli anni della folle politica di riorganizzazione agricola imposta da Stalin. Il conseguente sterminio per fame di milioni di contadini kulaki, fino al limite estremo del cannibalismo sui morti, spiega in parte perché, quando i tedeschi la invasero, istituendo il Reichskommissariat nel 1941, molti ucraini li accolsero da liberatori salutandoli con il pane e il sale. Nel corso del novecento, questa terra di contesa, è stata il laboratorio politico applicato di scontri feroci con ogni tipo di ideologia passata e presente. Ieri: monarchici, comunisti, social-rivoluzionari, anarchici e nazional-socialisti. Oggi: separatisti e nazionalisti, comprimari di un conflitto per procura tra fratelli slavi.
Da Machno a Bandera e Skoropadskyi; da Chruščëv a Brežnev e Gorbačëv, dalla dissoluzione dell’Urss a Euromaidan, questo “ritorno” della storia ci aiuta a comprendere le ragioni dei tremendi venti di guerra che spazzano di nuovo i bordi del nostro continente.
Nel 2014 l’ex Segretario di Stato americano Henry Kissinger dichiarava sul Washington Post: “Considerare l’Ucraina come parte del confronto est-ovest, spingerla a far parte della Nato, equivarrebbe ad affossare per decenni ogni prospettiva di integrare la Russia e l’Occidente in ogni sistema di cooperazione internazionale. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto favorire la riconciliazione e non, come hanno fatto, il dominio e la sopraffazione di una fazione sull’altra”.
Negli anni in cui la Nato si espandeva ad est, la Federazione Russa restaurava il suo pensiero strategico composto da filosofia, identità e destino economico di gigante a cavallo tra Europa e Asia. Nel solco di un’inestinguibile vocazione imperiale, in quella stessa Russia in cui un tempo trionfava il materialismo ateo sovietico, è riemersa la visione di uno spazio spirituale secondo cui, l’Occidente cristiano, non finisce sulla riva del Donec in Ucraina ma ai confini della Manciuria, sulle sponde del Pacifico.
*Direttore Dipartimento di Storia delle Relazioni Internazionali UNIMEIER