Il padre di tutti i guai del Medio Oriente: l’accordo Sykes-Picot

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La liquidazione dell’Impero ottomano, vituperato per la sua scarsa apertura alla modernità ma sottovalutato a torto per la capacità di amministrazione di una compagine multietnica e multireligiosa senza pari al mondo, fu un disastro. A scriverlo Maurizio Modugno, in un articolo pubblicato su Il Sussidiario.net, dove analizza la Conferenza di Pace di Versailles del 21 gennaio 1920, che sancì l’assetto geopolitico post-Prima Guerra Mondiale dopo la sconfitta degli Imperi Centrali. Modugno evidenzia come i rappresentanti delle potenze vincitrici, riuniti nella Galerie des Glaces, fossero poco preparati a risolvere questioni complesse come la “Questione italiana” (che portò al concetto di “vittoria mutilata”), le teorie di Wilson e la sottovalutata “Questione d’Oriente”, legata alla decadenza dell’Impero ottomano, definito il “gran malato d’Europa”.

L’autore descrive l’efficiente struttura amministrativa ottomana, con un potere centrale a Costantinopoli e una rete di province e governatorati autonomi, ma controllati dal Topkapi. Attraverso esempi come i disordini a Baghdad nel 1889 e nel 1906, Modugno illustra la capacità dell’Impero di gestire crisi interne, pur essendo militarmente indebolito e progressivamente eroso da potenze come Russia, Gran Bretagna e Italia. Alla vigilia della Grande Guerra, Francia e Germania ambivano a stabilire zone d’influenza in Siria, Libano e Iraq.

Modugno sottolinea il ruolo strategico del Regno Unito in Medio Oriente durante la guerra, grazie a figure come Mark Sykes, lord Kitchener, Allenby e T.E. Lawrence, contrapponendolo agli errori francesi, come quello di Georges-Picot a Beirut. L’Accordo Sykes-Picot del 1916, che divise le spoglie ottomane tra Regno Unito e Francia, rimase il fulcro delle decisioni a Versailles, nonostante la presenza di figure come Faysal e Lawrence. I trattati di Sèvres e Losanna, secondo Modugno, consolidarono una geografia mediorientale instabile, sostituendo il dominio ottomano con quello coloniale. L’autore punta il dito contro l’egoismo e la mancanza di lungimiranza delle potenze vincitrici, specialmente su Palestina e Iraq, fonte dei problemi irrisolti che segnarono il decennio 1913-1923.

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