Francesco Perfetti da Il Giornale del 28 marzo 2021
Sul finire del 1921, in occasione del viaggio in Italia di Albert Einstein, venne pubblicato un piccolo volume di Adriano Tilgher dal titolo Relativisti contemporanei con una prefazione di Mario Missiroli. Il libro piacque a Mussolini che volle recensirlo per affrontare il tema del rapporto fra «relativismo e fascismo».
Era stato colpito, Mussolini, dalla lapidaria definizione del fascismo come «l’assoluto attivismo trapiantato nel terreno della politica» che Tilgher aveva elaborato studiando un gruppo di pensatori eterogenei ma espressione della crisi morale e filosofica del primo dopoguerra. Tra questi c’era – accanto ad Albert Einstein, Hans Vaihinger, Oswald Spengler – Louis Rougier (1889-1982), filosofo allora poco più che trentenne, allievo di Henri Poincaré e autore di un saggio, Les paralogismes du rationalisme, che demoliva le secolari certezze del pensiero razionalista e apriva la strada a quel «relativismo», condito di scetticismo e attivismo, che affascinava un Mussolini alla ricerca di una spiegazione, o legittimazione, filosofica del suo movimento.
Destinato a diventare celebre anche per le polemiche contro il neo-tomismo, Rougier non si interessava moltissimo di politica ma, in linea con il suo «relativismo», aveva una visione liberale sviluppatasi lungo la direttrice speculativa che, partendo da Montesquieu e Constant, giunge a Guizot e Tocqueville. All’inizio degli anni Trenta, un viaggio in Urss gli fece aprire gli occhi sull’economia pianificata e divenne uno dei padri del neoliberalismo contemporaneo, legato a von Mises e von Hayek, e fu tra i fondatori del Centre international d’études pour la rénovation du libéralisme. Nel 1940, però, questo pensatore liberale, che insegnava all’Università di Besançon e che potrebbe a buon titolo essere inserito nel filone dei cosiddetti «non conformisti degli anni Trenta», venne coinvolto in una missione politico-diplomatica di cui si sarebbe avuta notizia pubblica all’epoca del processo contro il Maresciallo Philippe Pétain: un episodio che finì fatalmente per influire sulla sua reputazione politica.
La vicenda, tuttora poco nota se non agli specialisti, è stata raccontata dallo stesso Rougier nel volume Missione segreta a Londra. Gli inconfessabili accordi Pétain-Churchill (Oaks Editrice, pagg. LII-268, euro 24) che, apparso originariamente nel 1947, viene riproposto con un ampio saggio introduttivo di Fabio Andriola.
Il contesto in cui si colloca la vicenda è quello di una Francia che, umiliata e sconfitta dai tedeschi, si trovò a sottoscrivere il 22 giugno l’armistizio. Sotto la guida di Philippe Pétain, l’eroe di Verdun chiamato a guidare le sorti del Paese in quei frangenti drammatici, lo Stato di Vichy accettò alcune clausole riguardanti il futuro della flotta francese, la più potente del tempo, che gli inglesi guardarono con sospetto e diffidenza e considerarono poco rassicuranti. Una parte della flotta sarebbe rimasta a disposizione del governo francese per la difesa dell’impero, mentre l’altra parte, la più consistente, avrebbe dovuto essere smobilitata e disarmata sotto il controllo della Germania e della Francia. Churchill condannò i termini di un armistizio che gli sembrava avesse messo «tutte le risorse dell’impero francese e della marina nelle mani del nemico per consentirgli di raggiungere i propri fini». Collegati a tali preoccupazioni – ma anche per l’evoluzione della situazione politica interna di Vichy – furono, prima, l’attacco inglese a unità della flotta francese rifugiate in alcuni porti del Mediterraneo e, successivamente, la dichiarazione del blocco britannico nei confronti della Francia e del suo impero.
Confidando nel fatto di avere importanti conoscenze in campo politico e accademico – a cominciare dal rapporto con il grande economista liberale sir Lionel Robbins della London School for Economics – Louis Rougier ritenne di poter portare avanti una missione diplomatica segreta presso il governo inglese che servisse ad attenuare il blocco in cambio di garanzie sul fatto che la flotta francese non sarebbe stata mai consegnata ai tedeschi e a concordare una sistemazione dell’impero diviso fra i territori coloniali schieratisi con De Gaulle e quelli rimasti fedeli a Pétain. Rougier ottenne da Pétain il via libera alla missione, della quale era al corrente il ministro della Difesa generale Maxime Weygand, ma non Pierre Laval che già sosteneva posizioni anti-inglesi e filo-tedesche e a proposito del quale Pétain si espresse con il suo interlocutore in termini inequivocabili: «Laval è l’uomo che disprezzo di più al mondo, ma ne ho ancora bisogno. Dopo me ne sbarazzerò». A Londra Rougier incontrò prima sir Alexander Cadogan, poi lord Halifax e, infine, il 24 settembre, Winston Churchill che lo accolse cordialmente salutandolo come «il primo francese» che riallacciava un legame fra la Gran Bretagna e Vichy.
I negoziati andarono avanti per qualche tempo, e in tutta segretezza, sulla base di un «protocollo» preparato da Rougier, poi rivisto e integrato direttamente da Churchill: un documento che reca la data del 28 ottobre e che avrebbe dovuto costituire la base per un gentlemen’s agreement tra i governi di Londra e di Vichy. In esso, tra l’altro, si parlava di un allentamento del blocco nel caso in cui la Francia avesse contribuito, sia passivamente sia attivamente, alla vittoria inglese e si ribadiva, da parte francese, l’impegno ad «affondare le unità della sua flotta piuttosto che lasciarle cadere nelle mani dei tedeschi o degli italiani».
Frattanto molte cose erano cambiate. C’era stato il 24 ottobre l’incontro, propiziato da Laval, fra Pétain e Hitler a Montoire che fece preoccupare gli inglesi. Quando Rougier fece ritorno a Vichy era l’8 novembre. Preparò all’insaputa di Laval una nota per Pétain che lo ricevette a lungo il giorno 11 e, stando alla testimonianza del suo consigliere Fonck, dette l’ordine di ratificare l’accordo. Che cosa sia accaduto da quel momento in poi è tuttora poco chiaro.
Della «missione» di Rougier si ebbe notizia pubblica durante una delle udienze del processo intentato contro il Maresciallo Pétain. In quella occasione, il 7 aprile 1945, uno dei testimoni, l’ammiraglio Fernet, raccontò nei dettagli la vicenda provocando una serie di imbarazzati interventi e smentite, anche attraverso la pubblicazione di un «Libro Bianco», da parte inglese. Il volume di Rougier Missione segreta a Londra nacque come tentativo di raccontare, con la pubblicazione di documenti ufficiali e ufficiosi, una storia che avrebbe inciso profondamente, come una sorta di psicodramma, sulla vita del suo autore. Pur essendo, come si è detto, uno studioso di formazione liberale e liberista, tutt’altro che filo-tedesco, Rougier, venne «arruolato» nella schiera dei «collaborazionisti», epurato e guardato con sospetto per le sue posizioni sempre più politicamente scorrette. Negli ultimi decenni della sua lunga vita, infatti, egli si avvicinò alla Nouvelle Droite di Alain de Benoist, sviluppando una severa critica teorica al concetto di democrazia e sostenendo l’idea di una superiorità «pragmatica» dell’Occidente rispetto alle altre culture.
Da un punto di vista storico, quali che ne siano stati i risultati concreti la missione di Rougier andrebbe inquadrata nel tentativo, peraltro velleitario, di Pétain di mantenere un timido dialogo con la Gran Bretagna sotto l’ombrello di una neutralità nella sostanza artificiosa. Ma tutto ciò, all’epoca e per i protagonisti, era difficile da cogliere.