L’efficiente gestione delle risorse idriche destinata alla coltivazione di grano fu uno degli elementi che garantì la capacità dell’Impero Romano di fare fronte alle necessità alimentari della sua ampia popolazione, anche in funzione della variabilità climatica locale. Tuttavia, secondo un nuovo studio, questa efficienza determinò una notevole crescita della popolazione e un’urbanizzazione spinta, che a lungo andare portarono al collasso lo sfruttamento delle risorse, contribuendo alla caduta dell’impero.
Da Le Scienze online del 16 dicembre 2014
All’epoca della sua massima estensione, l’Impero Romano abbracciava tre continenti e circa 70 milioni di persone. Un fattore determinante per nutrire una popolazione così grande fu il metodo efficiente ed organizzato di produzione agricola e di distribuzione dei cereali. Ma questa stessa efficienza spinse al limite lo sfruttamento delle risorse, e a lungo andare fu decisiva nella crisi dell’Impero. A sostenerlo è uno studio pubblicato da Brian Dermody, dell’Università di Utrecht sulla rivista “Hydrology and Earth System Sciences”, organo della European Geosciences Union (EGU).
Dermody e colleghi hanno focalizzato la loro attenzione sulla coltivazione del grano, uno dei fondamenti della civiltà romana, ricostruendo in primo luogo le mappe del territorio imperiale, la rete dei trasporti e la distribuzione della popolazione, per determinare le regioni in cui la produzione agricola e il fabbisogno di cibo erano maggiori. Questo ha permesso di stimare i costi di trasporto sulla base delle distanze e dei mezzi di trasporto disponibili all’epoca.
“Se una certa regione aveva una bassa resa delle coltivazioni di grano, poteva importarlo da altre regioni che avevano un surplus di produzione: questo sistema di commerci rendeva l’Impero capace di reagire alla variabilità del clima sul breve periodo”, ha spiegato Dermody.
La produzione agricola, tuttavia, dipendeva in modo critico dallo sfruttamento delle risorse idriche, sempre abbastanza scarse in tutta l’area del Mediterraneo. E quando commerciavano i loro prodotti agricoli, i romani commerciavano anche l’acqua per produrli, che costituiva così una sorta di bene virtuale che veniva scambiato. Si stima per esempio che per ottenere un chilo di grano occorressero tra 1000 e 2000 litri di acqua.
“Le simulazioni mostrano che questo commercio virtuale dell’acqua era concentrato nelle regioni più aride, come i centri urbani e la stessa Roma, ma richiedeva il contributo di regioni ricche di risorse idriche, come il bacino del Nilo”, ha aggiunto Dermody.
Acqua e grano erano dunque fattori determinanti per la prosperità. Lo studio tuttavia mostra anche il rovescio della medaglia: l’efficienza nella gestione delle risorse idriche permise anche una notevole crescita della popolazione e un fenomeno di intensa urbanizzazione. Gli abitanti dell’Impero Romano divennero così sempre più dipendenti dal commercio del grano, mentre lo sfruttamento delle risorse più facilmente accessibili veniva spinto al limite, fino al collasso degli approvvigionamenti e alla crisi dell’Impero nel suo complesso.
“Possiamo imparare molto dallo studio di come le civiltà antiche hanno cercato di far fronte ai cambiamenti ambientali”, ha concluso Dermody. “È utile anche fare un confronto con lo scenario attuale, che per certi versi è abbastanza simile, se si considerano la crescita della popolazione e l’urbanizzazione a partire dalla rivoluzione industriale: via via che ci muoviamo verso i limiti delle risorse del pianeta, aumenta la nostra vulnerabilità nei confronti di possibili cali nella resa delle coltivazioni”.