Ci sono coincidenze nella storia che è utile riscontrare perché indicano sensibilità, gusto e visioni che caratterizzano un’epoca. Gabriele d’Annunzio aviatore, che in questa occasione – la mostra «Gabriele d’Annunzio aviatore» Trento, Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni, sini al 30 marzo 2014 – si illustra e si documenta, inizia la sua carriera sui velivoli, come egli stesso li avrebbe chiamati, salendo per la prima volta sull’aereo dell’amico Mario Calderara, nel settembre del 1909.
di Vittorio Sgarbi da Destra.it del 3 novembre 2014
Lo vediamo sul biplano di Glenn Curtiss seduto a fianco dell’amico pilota, durante il «Circuito aereo di Brescia». Osservo che l’anno della sua nuova passione è lo stesso del primo manifesto futurista, quando entra nella letteratura il culto per l’automobile, che lo stesso d’Annunzio battezzerà al femminile. Ma, nel manifesto futurista, l’automobile è un sostantivo neutro, che si declina quindi al maschile, ma già in rapporto con uno dei grandi capolavori dell’arte antica, Donna e Allegoria: «Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia».Marinetti esalta la bellezza della velocità: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità». D’Annunzio non è Marinetti, ma è stato parimenti attratto dall’energia nuova e viva espressa dall’automobile: per entrambi, nel volo, sembrano coincidere letteratura e avventura. È il sogno dell’uomo nel mito, ma anche nella scienza, da Icaro a Leonardo. D’improvviso la conquista del cielo, l’infinito pensato diventano realtà: «Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa… le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne… il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri… le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano… le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi… i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi… i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto… e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera…». «Noi canteremo» scrive Marinetti nel Manifesto e, in tempo reale, «noi voleremo», sembra rispondergli d’Annunzio.
E la foto del 1909 lo documenta aviatore, con grande naturalezza, ma non pilota. D’Annunzio vola come scrive. Anzi, scrive volando. È il primo scrittore che sale nel cielo non soltanto col pensiero, ma con il corpo leggero. Lo si vede in quella storica fotografia accoccolato, a destra, in una posizione che sembra abituale, con grande naturalezza. Molto più spontaneo dell’amico che lo accompagna, tenendo il volante in un atteggiamento quasi scolastico.D’Annunzio ha già volato prima di volare. Lo vedremo ancora su aerei più elaborati qualche anno dopo con il suo pilota Natale Palli, in un aereo biposto preparato per lui. Ma volare non gli basta. D’Annunzio, come un eroe antico, vuole entrare, con il volo, nel Mito. E pensa all’impresa. L’amico Caproni gli prepara lo strumento. D’Annunzio lo annuncia ne La Leda senza cigno: «Si sogna e si disegna un velivolo di forza triplice, robusto, rapido, armato a prua e a poppa: una squadriglia formidabile, capace di gettare su Schoenbrunn diecimila chilogrammi di tritolo».È l’annuncio, drammatizzato in chiave bellicosa, del pacifico e provocatorio volo su Vienna: «Donec ad metam, Vienna!», aveva annunciato Gabriele il 20 settembre 1915 scendendo da un Farman MF 1914, prodigio di contemporanea tecnologia, sul campo di Asiago, dopo una incursione su Trento con il pilota capitano Beltramo. Li vediamo insieme a Campoformido, in una fotografia gravida di futuro.
Il 17 ottobre 1915 d’Annunzio spiega meglio nel suo Taccuino di guerra: «Siamo ora seduti tutti e due sul banco. Si parla di apparecchi, di camerati, di capi, di fortuna, di sfortuna. Si guarda sulla carta la distanza tra Campoformido e Vienna: il nostro sogno. Ieri l’altro, il colonnello Barbieri a Pordenone, dimostrava l’impossibilità di compiere l’impresa con un Caproni da 300 cavalli. Si discute, si persiste, si vuole, si spera». Caproni perfezionerà lo strumento nell’arco di due anni. Tecnici, ingegneri, piloti, aviatori, concorrono all’impresa; ma l’idea è sua, di d’Annunzio. È poesia realizzata in una nuova lingua. La tecnologia, la scienza, la sperimentazione, non bastano. Occorre lo spirito in cui si coniugano letteratura e avventura. Anche altri potevano volare su Vienna, ma il volo di d’Annunzio è leggenda.
Lo spirito anima l’azione. Ricorda il colonnello La Polla, descrivendo l’animo di d’Annunzio: «Gli splendeva negli occhi la luminosa fiamma di cui si illuminava sempre il suo viso quando lo spirito era in tumulto… Mi prese a braccio, mi portò lontano, verso il centro del campo; poi con voce che mal dissimulava l’interna emozione, mi disse: sono trent’anni che io predico la guerra contro l’Austria. Ho dato a questa impresa terribile e grande tutto ciò che di meglio è in me».
Alla fine di agosto del 1917 due Caproni 450 HP furono attrezzati per il volo su Vienna con serbatoi supplementari che ne potenziarono l’autonomia per circa 900 chilometri. Il Caproni, con lo stesso equipaggio che avrebbe dovuto portare d’Annunzio su Vienna (Capitano Pagliano e tenenti Gori e Pratesi) superò la prova del 4 settembre percorrendo circa mille chilometri in nove ore, in condizioni atmosferiche difficili. Ma la prova non bastò a dissipare i dubbi sull’audace impresa che, per ragioni tecniche, sembrava non poter essere più affidata a d’Annunzio, aviatore ma non pilota.
D’Annunzio, indomito, ottenne che l’aereo più adatto all’escursione, il monoposto S.V.A. 5 fosse trasformato in biposto. D’Annunzio, a dispetto di altri letterati come Ugo Ojetti e Ferdinando Martini, che non poterono volare, pur desiderandolo, partì il 9 agosto 1918, carico di volantini che esaltavano l’Italia, in una prosa che accese l’ironia di Ferdinando Martini: «Quando D’Annunzio fece le sue prime prove come soldato la gente, poco fidando nel suo valore o nella bellica sua attività, disse: scriva e non faccia. Ora io dico a lui, dopo molte altre prove: Faccia e non scriva». In realtà d’Annunzio con il volo su Vienna aveva compiuto una delle sue più alte imprese letterarie, riuscendo a fondere nell’azione lo spirito avanguardistico di Marinetti con quello romantico di Lauro De Bosis, in una prospettiva storica e patriottica. Con il suo fare aveva scritto una pagina di avventura, essendo protagonista con la forza del sogno. La gratuità del volo e la sua forza simbolica, ben oltre i limiti della Grande Guerra, rappresentarono per lui una sfida e il superamento di un limite. Con il suo volo d’Annunzio ha conquistato l’infinito che Leopardi aveva solo descritto.
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