Nel 1820, meno del 20% dell’umanità sapeva leggere e scrivere; nel 2000 questa percentuale aveva raggiunto l’80%. Nel 1880, la speranza di vita alla nascita, nella media mondiale, era ancora sotto i 30 anni. Nel 2000 è arrivata a quasi 70. Queste informazioni si possono ricavare dal volume dell’Ocse How was life? – Global well-being since 1820, diffuso nei giorni scorsi: una vera e propria miniera di dati e di confronti. Si tratta del primo lavoro storico che va “oltre il Pil”: prende in considerazione dieci campi del benessere e presenta anche un superindice che li riassume. Nel complesso, il miglioramento della qualità della vita in meno di due secoli è stato incredibile e l’umanità ha molte ragioni per essere orgogliosa, a condizione di non distruggere tutto nelle “tempeste perfette” di oggi. Il Rapporto ci dice che dall’inizio del ventesimo secolo le condizioni di vita nel mondo sono migliorate ovunque, con un’eccezione che merita grande attenzione e richiede anche maggiore ricchezza di dati: l’Africa subsahariana.
dal Corriere della Sera Blog NUMERUS di Donato Speroni del 9 ottobre 2014
La tradizione è quella di due brillanti economisti: Samuel Kuznets e Angus Maddison, famosi anche per i loro studi sull’evoluzione comparata della ricchezza. Ma la novità contenuta nel volume diffuso dall’Ocse consiste nel fatto che il confronto di lungo termine sulla dinamica del benessere nei diversi Paesi europei non è limitato al prodotto interno lordo (Pil), ma riflette le varie dimensioni del benessere complessivo, con dati che prendono in considerazione la speranza di vita, l’educazione, la sicurezza, la disuguaglianza.
Stiamo dunque parlando di un lavoro che si colloca pienamente nel filone delle ricerche sviluppate negli ultimi dieci anni in tutto il mondo per misurare il progresso “oltre il Pil”. Il volume è stato elaborato da un gruppo di ricercatori (tra i quali l’italiano Marco Mira d’Ercole) che partecipano al progetto Clio Infra, mirato a rendere confrontabili le banche dati sulla evoluzione di lungo termine dei diversi Paesi del mondo.
How was life? presenta le tendenze di lungo termine, a partire dal 1820, per 25 paesi, otto regioni del mondo e l’intera economia globale, ovviamente con una serie di limitazioni dovute alla disponibilità dei dati; limitazioni che costituiscono ulteriore stimolo per nuove ricerche. Le dimensioni del benessere descritte sono dieci: Pil pro capite, salari reali, risultati nel campo dell’istruzione, speranza di vita, statura, sicurezza personale, istituzioni politiche, qualità ambientale, diseguaglianze di reddito e diseguaglianze di genere. Inoltre il rapporto unisce queste dimensioni in un indicatore composito.
In estrema sintesi, da questo lavoro emerge che ci sono aree del benessere che si sono evolute in correlazione statistica con l’evoluzione del Pil pro capite: in particolare l’educazione e lo stato di salute. Attorno al 1820 meno del 20% della popolazione mondiale sapeva leggere e scrivere e questo gruppo era fortemente concentrato in Europa occidentale. I tassi di literacy e di frequenza scolastica sono aumentati fortemente dopo il 1945 in molte regioni del mondo, sino a raggiungere circa l’80% della popolazione mondiale del 2000.
La speranza di vita alla nascita era di circa 33 anni in Europa occidentale attorno al 1830, 40 nel 1880 e e quasi raddoppiata nel periodo successivo con i più forti miglioramenti nella prima metà del 20º secolo. Nel resto del mondo le speranze di vita hanno cominciato a aumentare da livelli molto più bassi e sono cresciute in particolare dopo il 1945. La media nel mondo è aumentata da meno di trent’anni nel 1880 a quasi 70 nel 2000. Scrive il rapporto che “c’è una forte evidenza di un cambiamento nella relazione fra lo stato di salute e il Pil pro capite negli ultimi due secoli. La speranza di vita ha continuato a migliorare anche quando il Pil pro capite ristagnava, grazie ai miglioramenti nella conoscenza e nella diffusione delle tecnologie per la salute”.
La correlazione col Pil è molto più debole per altre dimensioni del benessere, come le istituzioni politiche, misurate in base alla partecipazione elettorale e alla possibilità di concorrenza. In generale si è riscontrato un miglioramento nell’ultimo secolo, scrive il rapporto, ma “lo sviluppo non è stato affatto graduale, talvolta con violenti crolli dei diritti politici in alcuni paesi”. Basta pensare all’ avvento del nazifascismo per capire il senso di questa affermazione. Anche la sicurezza personale non è correlata al Pil: “l’Europa occidentale era già piuttosto pacifica dal nel 19º secolo ma i tassi di omicidio negli Stati Uniti sono sempre stati piuttosto alti. Molte parti dell’America Latina e dell’Africa sono anche punti caldi del crimine, così come l’ex Unione sovietica, specialmente dopo la caduta del comunismo, mentre ampie zone dell’Asia mostrano da sempre bassi tassi di omicidio.
Presenta invece una correlazione negativa col Pil la qualità dell’ambiente, come del resto è facile intuire. In tutte le regioni del mondo la biodiversità è diminuita, l’uso del suolo è cambiato drammaticamente e le emissioni di anidride carbonica sono aumentate dopo la rivoluzione industriale.
In tema di diseguaglianze le tendenze di lungo periodo sono complesse e le indicazioni del Rapporto hanno richiamato l’attenzione dell’Economist. In estrema sintesi, le diseguaglianze di reddito all’interno dei Paesi, dalla Cina alla Thailandia, dalla Germania all’Egitto, erano più o meno le stesse nel 2000 come nel 1820. “Solo pochi Paesi ricchi, come la Francia e il Giappone, mostrano quella riduzione delle diseguaglianze che ci si aspetterebbe” col progresso della società. Anche a livello globale, le diseguaglianze sono cresciute, soprattutto per l’accentuarsi delle distanze tra Paesi sviluppati e Paesi poveri. Nel 1820 il cittadino del Paese più ricco del mondo, la Gran Bretagna, era circa cinque volte più ricco della media degli abitanti dei Paesi poveri. Adesso la differenza tra il Paese più ricco (gli Stati Uniti) e quello più povero è salita a 25 volte.
Invece la diseguaglianza di genere misurata dai dati sulla salute, sullo status socioeconomico e sui diritti politici ha fatto riscontrare un trend declinante negli ultimi sessant’anni in quasi tutte le regioni del mondo. Dopo il 1980, però, l’Asia e l’Europa orientale non hanno fatto registrare miglioramenti nella situazione delle donne. Rimangono inoltre significative differenze nelle diseguaglianze di genere fra le diverse regioni del mondo.
Infine l’indicatore composito che il Rapporto presenta, porta alla conclusione che la qualità della vita nel mondo è migliorata dall’inizio del 20º secolo in poi, con la possibile eccezione dell’Africa sudsahariana (dove però ci vorrebbero più dati), e che le differenze tra Paesi nel campo del benessere dopo il ’900 sono state complessivamente minori delle differenze nel Pil pro capite mentre erano più pronunciate rispetto al Pil nel periodo precedente. In sostanza, ma questa è una mia interpretazione, il miglioramento della situazione sanitaria ha raggiunto (quasi) tutti e ha fatto schizzare verso l’alto gli indici del benessere anche dove la ricchezza ha tardato a crescere.
Ripetiamo che questa è soltanto un’estrema sintesi di un documento di enorme interesse, che è una vera e propria miniera di dati poco esplorata dai media. Anche con i limiti riconosciuti dagli stessi autori, il Rapporto è destinato a essere un punto di riferimento negli studi storici sulle condizioni di vita nelle diverse aree del mondo.