«Illustrissimo signor Soprintendente, con lo scopo di valorizzare tutto il complesso artistico di Superga e per ridargli la sua primitiva impronta di spiritualità desidererei stabilire tra quelle mura una nostra comunità religiosa e possibilmente alcuni nostri chierici per officiare la Basilica, per custodire le tombe reali, e per conservare nel miglior modo possibile il caseggiato, abitandolo».
di Andrea Rossi e Letizia Tortello da La Stampa del 27 novembre 2013
Il 4 maggio 1964 padre Carlo Zanetta, priore provinciale dell’ordine religioso dei Servi di Maria, scriveva ai Beni culturali offrendo la disponibilità dei suoi frati a prendersi cura della chiesa più famosa di Torino, balcone sulla città, meta di pellegrinaggi, dei fedeli e dei tifosi del Toro, perché lì, nel 1949 (il 4 maggio, potere delle coincidenze), si schiantò l’aereo che riportava a casa gli Invincibili. Ci volle un anno di trattative perché padre Zanetta la spuntasse. Ora, dopo 48 anni, i Servi di Maria stanno per lasciare Superga.
Solo tre frati
Sono rimasti in tre: troppo pochi e troppo anziani per potersi prendere cura della basilica. «Dobbiamo andare via, questa è la decisione del Consiglio provinciale», racconta il rettore della basilica, padre Venanzio Ramasso. «Ci riuniremo tutti in un’unica comunità».
Padre Venanzio e padre Benedetto Marengo, il suo predecessore, si trasferiranno alla parrocchia di San Pellegrino, in corso Racconigi, dove abitano gli altri sette Servi di Maria rimasti a Torino. Non ci sarà più nessun frate a presidiare Superga. «Torneremo per dire la messa, faremo su e giù per le tre funzioni della domenica. Se qualcuno ci fa da taxi, bene; altrimenti troveremo un modo», assicura il rettore, ma forse è più un auspicio che una promessa, ché nessuna decisione è stata presa.
Di sicuro c’è che se ne andranno tutti. Resterà, ma è solo un’ipotesi, un custode – che è in prova da qualche settimana – per aprire la chiesa e occuparsi dell’accoglienza dei pellegrini che pernottano a Superga (questo weekend, ad esempio, ci saranno gli scout). Il custode è l’unica soluzione per continuare a tenere aperta la basilica; altrimenti non resterà che chiuderla, come già avvenuto nei mesi scorsi ad altri santuari torinesi, aprendola solo in caso di prenotazioni e visite guidate.
Scelta dolorosa
Altro discorso riguarda le tombe dei Savoia: non sono a rischio, se ne occupa una società, Artis opera, che però non potrà subentrare ai frati nella basilica, visto che i Servi di Maria hanno ottenuto una concessione direttamente dal demanio.
Il calo delle vocazioni, che colpisce l’ordine dei Serviti come le altre comunità monastiche, impone una spending review anche tra i religiosi. E così, poche settimane fa, fra’ Bruno Castricini, consigliere della provincia Piemonte-Emilia Romagna-Marche dei Servi di Maria, ha scritto alla Curia comunicando la decisione di «ritirare i frati dalla Basilica di Superga». Una scelta dolorosa, dopo quasi cinquant’anni, ma inevitabile. Padre Marengo ne è testimone: è uno dei primi frati ad aver abitato Superga e ne è stato rettore dall’84, fino a qualche mese fa. Oggi ha 93 anni portati con lucidità, anche se la salute lo costringe su una sedia a rotelle. Anche padre Venanzio, 84 anni e ancora molta energia nelle gambe, sente «la responsabilità di un luogo così importante. Siamo rimasti in pochi, cerchiamo di radunarci, di rimanere presenti nelle principali città d’Italia con le nostre comunità». In due, talvolta in tre (oggi c’è anche un altro frate, malato, che è andato a Superga per curarsi) più qualche aiutante, occuparsi di tutto non è più possibile.
Un lavoro prezioso
Il lavoro dei frati è stato prezioso: «Per il 2000, anno giubilare, vennero ristrutturati i locali adiacenti alla chiesa. Costò oltre un miliardo di lire». Con i soldi delle Olimpiadi, anche la cupola dello Juvarra fu ripulita. Adesso, però, oltre alle vocazioni anche le risorse sono crollate: la cupola del presbiterio è scrostata; il campanile e la cupola, da fuori, sembrano degradate; la pioggia si sta infiltrando da un vetro rotto nella navata destra.
È un altro pezzo di storia della città che rischia – se non di scomparire – di impoverirsi. Come il museo Pietro Micca, chiuso per un’infiltrazione. Dopo la morte del soldato (nel 1706), Vittorio Amedeo II si prostrò ai piedi della statua della Madonna, a Superga, e promise che se i sabaudi avessero resistito all’assedio francese, avrebbe costruito un santuario sulla collina. Un’altra coincidenza sinistra.