Non una vodka di troppo prima del decollo. Non un attacco di panico stando alla cloche. Ma una manovra di volo errata da parte di un altro «top gun». Una violazione delle procedure che l’aviazione sovietica preferì occultare nell’accertamento delle cause di quell’incidente, temendo uno scandalo capace di danneggiarne l’immagine. E’ il 27 marzo 1968: Yuri Gagarin, il cosmonauta che tutto il mondo conosce come il primo uomo nello spazio, sta volando su un caccia Mig-15 sui cieli di Mosca. Una missione come tante, di routine. D’un tratto, si trova di fronte un altro aereo che non dovrebbe stare lì, in quel corridoio di cielo a 3 mila piedi d’altezza (circa 1000 metri).
di Alessandro Fulloni dal Corriere della Sera del 17 giugno 2013
Per evitare la collisione Gagarin vira bruscamente entrando però in «spin», ovvero una picchiata in vite incontrollabile. Il Mig cade come un sasso. Impossibile evitare lo schianto con il suolo. Gagarin muore così, all’età di 34 anni, assieme al suo copilota Vladimir Seryogin. E’ questa l’ultima ricostruzione – forse la più attendibile – emersa in questi giorni sulla stampa russa, tra molte polemiche, riguardo la fine misteriosa del celeberrimo cosmonauta.
IL «TOP GUN» URSS – Una morte, è l’ipotesi autorevole avanzata al quotidiano «Russia Today» da Aleksey Leonov – «top gun» amico personale di Gagarin e componente della commissione d’inchiesta che lo scorso anno chiuse l’indagine sull’incidente, sia pure tra mille dubbi – da addebitare, appunto, ad un errore di volo commesso da un altro pilota. Una tesi dirompente, nel muro di gomma dell’allora Urss, da sempre in fortissimo imbarazzo nello spiegare cosa accadde davvero quel giorno. L’Aeronautica era quella che stava sorpassando gli Usa nella corsa verso lo spazio. Vietato ammettere il guasto a bordo, proibito parlare di un errore del pilota, o di una manovra errata da parte di altri velivoli. Meglio, invece, lasciar correre altre tesi, prima fra tutte quella del complotto orchestrato negli Stati Uniti. Per non parlare di quella vodka di troppo, dell’attacco di panico, e addirittura, dell’agguato di un Ufo.
EROE MONDIALE – Oltre a provocare sincero dolore in tutta l’ex Unione Sovietica, la morte di Gagarin sconvolse il mondo intero che, in piena guerra fredda, aveva adottato, piegandole ad una speranza che forse in realtà non contenevano, quelle parole all’insegna del candido stupore pronunciate nel primo giro attorno alla terra compiuto da un essere umano. Quel sospiro dalla caspula Vostok commosse persino i «rivali» della Nasa: «Da qui la Terra è blu. Che meraviglia. È incredibile». Poi l’epico ritorno a casa. E le copertine su tutti i giornali. Time compreso.
L’INSABBIAMENTO – La nuova testimonianza sulla fine di Gagarin adombra una specie di insabbiamento dell’inchiesta – le cui conclusioni risalgono a pochi mesi fa – condotta per fare luce sull’incidente aereo. Il primo uomo nello spazio potrebbe essere morto dopo aver incrociato un velivolo che sfiorò il suo caccia, mandandolo in stallo e provocandone la caduta. Secondo Leonov (famoso per la «passeggiata» nello spazio effettuata nel 1965) un aereo, non autorizzato, si avvicinò troppo al velivolo di Gagarin, mandandolo in «spin» e causandone lo schianto a terra.
«EVITO’ COLLISIONE» – «Sapevamo che un Sukhoi-15 doveva essere testato quel giorno ma era programmato che volasse a un’altitudine di 10mila metri, e non a 450-500. Fu una violazione delle procedure di volo», ha rivelato Leonov, rifiutandosi tuttavia di indicare il nome del pilota alla guida del Sukhoi e adombrando in questo modo una specie di «guerra» intestina tra top gun ex Urss il cui esito fu l’insabbiamento della verità. Leonov quel giorno volava a bordo di un elicottero nella stessa zona e udì due violente esplosioni. «Credo che uno dei motivi per cui si coprì la verità fu il fatto che vi era stato un simile incidente vicino a Mosca», ha spiegato. La versione ufficiale del Cremlino resta però quella del 2011: il Mig di Gagarin virò bruscamente per schivare un «oggetto», forse una mongolfiera. Ma il cosmonauta è scettico: «Sono conclusioni credibili per un civile, non per un professionista». E il mistero resta.
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