Dal nuovo libro di Maurizio Molinari Governo ombra. Dagli Usa nuove rivelazioni sull’Italia degli anni di piombo (in uscita oggi per Rizzoli , pp. 300, € 18), anticipiamo un ampio stralcio dal capitolo VI, «Il veto Dc al visto per Giorgio Napolitano». Grazie ai documenti declassificati del Dipartimento di Stato e all’accesso ad altre fonti esclusive, il libro racconta i retroscena del 1978, un anno che segnò la democrazia italiana.
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di Maurizio Molinari su “la Stampa” del 10 maggio 2012
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Dopo settimane di roventi tensioni politiche, a inizio febbraio c’è un’aria più distesa fra i partiti attorno alla formazione del nuovo governo, ed è in questo clima che il 14 febbraio il «membro della segreteria del Pci» Giorgio Napolitano ha una «breve conversazione» con un diplomatico americano, probabilmente Martin Wenick, che nell’ambasciata curava i rapporti col Pci. L’ambasciatore Gardner due giorni dopo ne informa Washington con un telegramma di quattro pagine intitolato Views of Pci Official – le opinioni di un dirigente del Pci.
«Durante la breve conversazione con un addetto dell’ambasciata l’alto funzionario del Pci ha sottolineato la preoccupazione del suo partito per la prolungata durata della crisi, ammettendo che c’è stato un certo confronto nella leadership del partito sul modo di gestire le conseguenze del discorso di Berlinguer al Comitato centrale», ma che comunque ora «il partito avrà il sostegno della base in una soluzione politica che garantisce un significativo passo in avanti nell’affermare l’influenza politica del Pci a livello nazionale» scrive Gardner. (…) Durante il colloquio, «Napolitano ha fatto sapere che intende visitare gli Stati Uniti per quindici giorni a partire da aprile sulla base di inviti ricevuti dalle università di Princeton, Harvard e Yale». Il funzionario americano mette subito le mani avanti e gli dice che «non ci sono prospettive di incontri con rappresentanti del governo degli Stati Uniti» sulla base della cornice politica disegnata dalla dichiarazione del 12 gennaio.
«È la stessa valutazione che mi ha fatto il corrispondente dell’ Unità da Washington, Jacoviello, che ho recentemente visto a Roma», è la replica, e tuttavia Napolitano conclude così: «Attiro la vostra attenzione sulla moderazione con cui il Pci ha reagito alla dichiarazione del Dipartimento di Stato del 12 gennaio, in evidente contrasto con le posizioni prese da alcuni dei vostri alleati occidentali». Come dire, non sottovalutate le nostre aperture all’America. È un messaggio che Washington raccoglie, facendo venire meno le obiezioni alla visita che in precedenza erano state avanzate dall’ex segretario di Stato Henry Kissinger, consentendo così a Napolitano di diventare nell’aprile seguente il primo leader del Pci a sbarcare negli Stati Uniti.
Il 12 aprile l’ambasciatore offre un pranzo al nuovo ministro della Pubblica istruzione Mario Pedini, della Dc, e al senatore repubblicano Giovanni Spadolini, a cui partecipa anche l’addetto culturale dell’ambasciata. L’intenzione di Gardner è di discutere anzitutto il caso Moro – siamo nel pieno del sequestro del leader democristiano – e in effetti tanto il ministro della Dc che il senatore del Pri lo definiscono un «evento spartiacque» che «sta mettendo alla prova lo Stato italiano» e «cambierà le regole del gioco d’ora in avanti». Pedini e Spadolini concordano anche nel sostenere che «il pericolo delle Br aumenta la cooperazione da parte del Pci» con il governo Andreotti, precisando solo che «non è chiaro quanto ciò durerà».
È nel corso di questa conversazione, descritta dal cablogramma che Gardner invia a Washington il giorno stesso, che Pedini cambia argomento «e pone la questione del significato della visita di Giorgio Napolitano negli Stati Uniti». Gardner viene colto di sorpresa e risponde «spiegando la politica dei visti del governo degli Stati Uniti, le nuove aperture che la contraddistinguono, e ricorda a Pedini che il governo non esercita un controllo sul diritto delle università di estendere inviti».
Ma il ministro Dc non è convinto delle spiegazioni ricevute e ribatte: «La mia obiezione non è nei confronti di una visita del Pci negli Stati Uniti, al contrario sono a favore di farne il più possibile, la mia obiezione è a Napolitano, che rappresenta la parte sbagliata dell’attuale Pci. Berlinguer necessita del nostro aiuto e noi lo dobbiamo aiutare per consentirgli di portare il suo partito in una cornice socialdemocratica». Gardner a questo punto chiede a Pedini «cosa ha in mente» e la risposta è: «L’ambasciata americana deve conoscere gli elementi progressisti presenti nel Pci, prendendo contatto con loro a tutti i livelli tranne che con l’ambasciatore, facendo svolgere ai funzionari il lavoro che può fare la differenza».
«Spadolini tende ad assentire», si legge nel testo del cablogramma, che continua così: «Pedini ha detto che noi dobbiamo comprendere la differenza fra gli elementi con i quali possiamo lavorare e quelli con cui ciò non è possibile», a cominciare da Napolitano. La presa di posizione di Pedini, già esponente della sinistra Dc e attualmente vicino a Piccoli, suscita un certo stupore e sollecita qualche riflessione. Evidentemente nell’analisi del dirigente democristiano, Napolitano è ritenuto non abbastanza vicino a Berlinguer, quanto piuttosto all’ala filo-socialista del Pci, quella per intendersi di Amendola ma anche del leader Cgil Lama. È in questo senso, probabilmente, che Pedini invita gli americani a trovare un interlocutore maggiormente legato al segretario, e dunque forse più in grado di interpretare gli umori prevalenti al vertice del Pci.
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Inserito su www.storiainrete.com il 12 maggio 2012