…anche se piacerebbe a certa storiografia transalpina. Non Hugues de Paiens ma Ugo di Pagani, nato a Nocera nel XII secolo. Tornano genealogia, simboli araldici ed esoterici, anche i nomi dei compagni d’avventura in Terra Santa. Tutto questo è miracolosamente sopravvissuto ad una «damnatio memoriae» che ha cancellato – forse non a caso – soprattutto nei luoghi d’origine del suo fondatore ogni traccia dell’Ordine del Tempio…
di Orazio Ferrara da Storia in Rete n. 24
«Si l’on devait, par un seul mot, caractériser l’Ordre du Temple, celui de “mystere” ’s’imposerait sans contredit». [Se si dovesse caratterizzare in una sola parola l’Ordine del Tempio, «mistero» si imporrebbe senza rivali]. Così Charles Bartolini, un moderno studioso francese della Militia Templi, i Templari. Non si può non essere d’accordo, il mistero comincia fin dall’inizio: l’enigma della nazionalità e del luogo d’origine del fondatore dell’Ordine. L’argomento ancora oggi è oggetto di studio e di accese dispute. Gran parte degli scrittori francesi, sull’onda di un certo sciovinismo, lo hanno detto di nazionalità francese, salvo però a litigare di brutto sull’identificazione del luogo che gli avrebbe dato i natali. Tra il Seicento e la fine dell’Ottocento diversi studiosi italiani hanno avanzato l’ipotesi, provocando iratissime reazioni Oltralpe, che il fondatore dell’Ordine del Tempio avesse invece origini italiane. Cominciò, nel 1610, Filiberto Campanile, il quale affermò essere stato un Ugo discendente da un Albertino di Bretagna ed originario di Nocera dei Pagani in provincia di Salerno. Questa tesi venne ripresa dal siciliano Antonino Amico 25 anni più tardi, e poi con più validi argomenti a metà Ottocento da Matteo Camera e infine da Michele De Santi. Quest’ultimo, affidabile storico nocerino, nonché Corrispondente della Consulta Araldica del Regno e della Commissione Araldica Napoletana, in diversi passi delle sue opere scrive di avere le prove dell’italianità di Ugo o Ugone dei Pagani e che tutto ciò esporrà nel volume sui feudatari di Nocera. Purtroppo questo libro non sarà mai pubblicato e, per quello che ne sappiamo, anche il prezioso manoscritto sarebbe andato perduto.
Come sempre, in questi casi controversi, la cosa più opportuna è riguadagnare le fonti senza alcuna intermediazione. E le fonti, come concordano unanimemente questa volta gli storici, sono soltanto due: le cronache di Guglielmo di Tiro (1130-1186) e di Giacomo di Vitry o Vitriaco (1160-1240): ambedue scrivono, seppure a scalare di una generazione, nei decenni successivi alla fondazione dell’Ordine del Tempio e quindi sono contemporanei del periodo di maggior espansione e potenza dei cavalieri templari. Per le funzioni rivestite, ambedue hanno potuto accedere a documenti e archivi altrimenti inaccessibili ad altri. Ambedue possono contare su testimonianze di prima mano. Ad esempio, Guglielmo di Tiro scrive che «…furent dui chevalier. Li uns ot nom Hues de Paiens delez Troies; li autres Giefroiz de Saint Omer». Per quest’ultimo nome un’altra edizione del medesimo manoscritto recita «Geoffroi de Saint Aldemar». L’altro cronachista, Giacomo di Vitry, annota testualmente «… viri venerables e amici Dei, Hugo de paganis, e Gaufridus de sancto Aldemaro», in altra parte Ugo è detto addirittura Paganensis.
Nel Medioevo, molto spesso, la formulazione di un nome patronimico [cognome o soprannome che indica la paternità o la discendenza da un antenato illustre NdR] varia in funzione della lingua in cui il testo è redatto, nel nostro caso invece la concordanza è assoluta. La traduzione letterale del francese Paiens in italiano è Pagani. Quindi Ugo dei Pagani, come esplicita chiaramente il testo latino di Giacomo di Vitry. Anche la concordanza sul nome del secondo cavaliere è abbastanza univoca: Goffredo di Santo Aldemaro. Quest’ultima constatazione, lungi dall’essere secondaria, costituisce, come vedremo, un punto a favore nella dimostrazione delle origini nocerine dei due cavalieri e che, pertanto, l’errata e forse strumentale traduzione in Goffredo di Sant’Omero appare del tutto funzionale alle tesi di alcuni studiosi francesi. Soffermiamoci ancora sul testo di Guglielmo di Tiro, che è più vicino in ordine temporale alla fondazione dei Templari. Egli scrive «Hues de Paiens delez Troies». I francesi hanno immediatamente e facilmente identificato Troies con la loro cittadina di Troyes. Ma, secondo l’uso del tempo, la persona si identificava o genealogicamente con gli ascendenti o con il luogo di origine o con qualche attributo particolare che lo caratterizzava. Rari i casi in cui vi è una commistione di questi elementi, fatta eccezione per l’attributo che qualche volta è seguito dall’identificazione genealogica o dal luogo di origine. Nel caso di Ugo, Guglielmo di Tiro, lo identifica, classicamente, nel senso genealogico e cioè Ugo dei Pagani dei Troies (in italiano Troisi). Ciò concorda anche con l’uso dell’articolo plurale delez (dei) da parte dello scrittore, il quale se avesse voluto riferirsi alla città avrebbe usato de (di). Quindi il fondatore dell’Ordine del Tempio è Ugo dei Pagani (o più correttamente, dei Pagano) dei Troisi. Mentre, per quello stesso periodo storico, in Francia si riscontrano personaggi dal cognome quali Paenciis, de Peanz, de Pedans, in Italia invece numerosi personaggi dei Pagano dei Troisi si ritrovano nei documenti del territorio di Nocera in provincia di Salerno.
Alla stessa Nocera riporta poi il secondo personaggio: Goffredo di Santo Aldemaro. Gli Aldemaro o Aldemari, Ademari formano in quel torno di tempo una potente e nobile famiglia nocerina, originaria di Salerno. Da questa Casa, di stirpe longobarda come illustra ampiamente il De Santi, escono alcuni dei più potenti conti di Salerno e gli ultimi conti di Nocera. Forse a questa presenza di sangue longobardo allude qualche autore antico quando parla di origini anche germaniche dell’Ordine. Scrive il summenzionato De Santi «…ed ultimi a reggere le sorti di Nocera col titolo di conti furono Pietro Ademaro o Terravendica e Landoario, Romualdo ed Alfano suoi fratelli.». E tutti gli studiosi sul Templarismo concordano nel ritenere che «Gaufridus de sancto Aldemaro» appartenesse ad una illustre famiglia di conti. In Nocera, Sancto oltre che come cognome (de Sancto, poi de Santo o de Santi) compare spesso nell’onomastica. Un’ultima annotazione, sotto Guglielmo II (1166 – 1189) a Nocera risulta un Aldemari di nome Giovanni figlio di Gotofredo. Quest’ultimo potrebbe addirittura coincidere con il compagno di Ugo dei Pagano, peraltro non contrastando al riguardo le date.
Non si può fare a meno di osservare che gli Aldemaro nocerini alzarono per arme uno scudo troncato alla fascia d’argento caricata da tre stelle d’oro, con il campo superiore di oro e l’inferiore di nero con tre sbarre d’argento. Il nero e l’argento, quest’ultimo rappresentato sempre con il bianco in araldica, rimandano immediatamente ai colori del Baucent, il glorioso vessillo templare. Nell’arme dei Pagano poi la bordura dello scudo è composta alternativamente (10 volte) di azzurro seminato di gigli di oro (concessione dei re angioini) e d’argento alla croce potenziata d’oro accantonata da quattro crocette del medesimo (cioè la Croce di Gerusalemme, concessione forse dei re della città santa?). Stranamente ambedue le armi presentano la particolarità di avere elementi, che vanno contro la ferrea regola araldica che vieta di sovrapporre metallo a metallo come si verifica nella fascia per gli Aldemaro e nella Croce di Gerusalemme, d’oro in campo argento, per i Pagano. L’eccezione alla regola può non essere dovuta al caso, e potrebbe trovare una sua spiegazione in quel simbolismo esoterico, di cui è permeato tutto ciò che ha attinenza con il mondo templare. Che oltre all’Aldemaro e al Pagano non vi siano stati altri cavalieri nei primissimi momenti della formazione della nuova Militia e che questa sia stata un’idea-forza concepita dalla loro mente, salvo forse le inevitabili intermediazioni dell’allora nascente modello dei cavalieri giovanniti, formato in gran parte dai cugini amalfitani, è testimoniato, oltre che dagli scritti di Guglielmo di Tiro e di Giacomo di Vitry, da uno dei primi sigilli templari, che riproduce appunto due soli cavalieri. Malgrado ciò degli studiosi hanno, in tempi posteriori, ampliato il numero originario dei cavalieri dai cognomi, manco a dirlo, tutti francesi. Questa predominanza francese sull’Ordine ci sarà, ma soltanto dopo la morte di Ugo dei Pagano, e durerà fino alla fine.
Capostipite dei Pagano, da cui discende Ugo fondatore dei Templari, è quel Turgisio normanno, italianizzato in Trogisio, poi Troisio (da cui i Pagano dei Troisi), che intorno al 1045 arriva nel principato longobardo di Salerno. Lo accompagnano il fratello Angerio, che fonderà la potente Casa dei Filangieri, ed altri nobili della sua razza. Questi normanni vengono «pour faire chevalerie» al servizio dei principi del luogo, ma alla fine, nel crepuscolo fiammeggiante della Longobardia meridionale [i Ducati di Spoleto e Benevento NdR], si ritagliano con la forza delle armi dei propri personali feudi. Troisio, combattente intrepido, conquista il gastaldato [circoscrizione amministrativa longobarda governata da un funzionario detto gastaldo di nomina regia o ducale NdR] di Rota (attuale Mercato San Severino) impadronendosi dell’omonimo castello. Nell’anno 1061, da Roberto il Guiscardo (Robert Guiscart) riceve l’investitura a conte di Rota. Da tale data egli è il conte Troisio, e i discendenti si diranno dei conti Troisi (studiosi francesi identificheranno Ugo dei Pagani quale discendente dei conti Troyes, forzando ancora una volta l’evidenza alle loro tesi). A pensare che questo qui pro quo dei conti Troyes è ritenuta una delle armi migliori da parte di quegli studiosi. Il nuovo conte in molti atti è detto «Trogisio de castello S. Severino de loco Rota». La comparsa del nome di San Severino si deve al fatto che questi è il celeste protettore del conte Troisio. E in quel periodo storico il culto di San Severino è assai diffuso in Normandia ed è molto venerato dalle case nobili di quella regione. Ciò sembra confermare quanto sosteneva il De Santi che Troisio discendesse da Rollone primo duca di Normandia e non da Albertino di Bretagna come sostenuto dal Campanile e dal Camera. Noi concordiamo in pieno con la tesi del De Santi. Eredi del conte Troisio sono i figli Ruggiero, Silvano, Troisio II e Diletta. Il primogenito Ruggiero sarà il capostipite della potente schiatta dei Sanseverino. Da Silvano, milite, nascono Alessandro e Pagano, quest’ultimo capostipite dell’omonima famiglia. L’originario feudo dei Pagano è da ricercarsi nell’Apudmontem presso Nocera, precisamente in una zona di Rocca (ora Roccapiemonte) detta «delli Pagani», come si evince da un successivo atto del 1170. Un ramo fiorisce in Nocera, dando successivamente, per un certo periodo, il nome alla stessa città, detta Nocera dei Pagani, ed infine alla odierna città di Pagani. Quest’ultima, già borgo di Corteinpiano, comincia a chiamarsi Casale dei Pagani a partire dal XIV secolo. I Pagano furono tra i più grandi feudatari del Regno di Napoli, e godranno sempre di rari privilegi, tra cui quello che, pur possedendo feudi e beni in Nocera, non sono soggetti all’autorità del conte di quella città. Tale antichissimo privilegio viene riconfermato, ancora nell’anno 1398, da Ladislao re di Napoli.
Nell’aprile dell’anno 1104, quattordici anni prima della fondazione dell’Ordine del Tempio, Diletta «filia D.ni Turgisii normanni e neptis D.ni Angerii», assenziente il marito Eremberto normanno, procede ad un atto di donazione, a favore del cenobio benedettino di Cava, dei suoi terreni in Malloni di Nocera, confinanti con quelli del pronipote Guglielmo Pagano e di Giovanni Ungaro. Questo Guglielmo è figlio di Pagano citato sopra, e fratello di quell’Ugo o Ugone dei Templari. Come accennato, dal conte Troisio I nasce, tra gli altri, Silvano, detto in alcuni atti «de Castello Montisfalzonis» di cui ha forse la signoria, che muore intorno al 1120. Eredi di Silvano, allo stato storicamente accertati, sono Alessandro e Pagano. Non è da escludere l’esistenza di altri figli. Da Pagano dei conti Troisi, divenuto signore di San Giorgio nell’anno 1126, e da sua moglie Castellana, figlia di Guglielmo milite normanno e di Alberada, nascono Guglielmo, Ugo milite, Ruggiero e Giovanni I giudice. Di Gugliemo sappiamo che è feudatario o suffeudatario [vassallo di un feudatario, o valvassore NdR] in Nocera. Di Ruggiero non abbiamo notizie. Di quell’Ugo milite si perdono subito le traccie a causa del suo mestiere delle armi, che lo vuole errabondo, salvo poi a ritrovarlo a Gerusalemme nell’impresa che lo consegnerà alla Storia. Di Giovanni I giudice sappiamo diverse cose. Che è potente signore di feudi in Sarno, Rocca e Barbazzano, e grande benefattore dell’Abazia di Cava. Che è sposato con la sorella di Angerio II Filangieri, sua lontana parente. Da quest’ultimo matrimonio nascono Benedetto, Riccardo prima milite poi monaco nel convento di Materdomini nell’anno 1174, e Giovanni II milite, che in diversi atti è detto Peregrinus in quanto è stato in Terrasanta. Infatti con l’appellativo «Peregrinus» si fregiano, nel Medioevo, coloro che sono tornati da un pellegrinaggio a Gerusalemme. Egli nell’anno 1158 è protettore dell’Ordine del Tempio, fondato da suo zio Ugo. Da Giovanni II Pagano milite, detto Peregrinus, nascono Simone milite, munifico benefattore dell’Abazia di Materdomini nell’anno 1213, Guglielmo milite ed Abelardo milite, anch’egli protettore dell’Ordine templare. Nel 1192 egli interviene a Trani per dare il benestare ad una sepoltura nella chiesa, che era grancia [granaio o fattoria di un monastero, o commenda e privilegio di un ordine cavalleresco NdR] dell’Ordine medesimo.
Sulla caprina questione della nazionalità francese o meno del fondatore dei Templari, fermo restando l’incontrovertibile ascendenza normanna e quindi francese dello stesso e nel contempo la nascita e la permanenza di diverse generazioni della sua famiglia in Nocera e quindi da ritenersi ormai con radici italiane, non è da escludere che, in Terrasanta, sia stato lo stesso Ugo dei Pagano ad ingenerare l’equivoco, appellandosi «Francese» com’è a volte consuetudine nei discendenti di Troisio. Difatti un suo consanguineo, che nell’anno 1172 in una donazione a Pietro Ferrara, fondatore e primo abate dell’Abazia di Materdomini nonché dell’Ordine dei Monaci Bianchi, si è qualificato «Robertus filius quondam Domini Turgisii terratoriii S. Severini Dominus», ancora negli anni 1182 e 1183 in diversi diplomi si fregia dell’appellativo di Roberto «Francese». Eppure è passato oltre un secolo da quando il suo avo, Turgisio I, ha abbandonato la Normandia. D’altronde l’ambiente di quel tempo nella città di Nocera è meno provinciale di quanto si è portati a credere. Quella società è cosmopolita, si parla correntemente longobardo, francese e il primo volgare italiano, e si scrive in latino. I nobili compiono frequenti viaggi sia in Francia che in Terrasanta. Nell’atto di donazione del 1104 di Diletta figlia di Troisio, sopra accennato, confinante con i feudi di Guglielmo Pagano in Malloni di Nocera, troviamo quelli di Giovanni Ungaro. Gli Ungaro, sempre fedeli alleati dei Pagano nell’arco dei secoli, anche nelle sanguinose faide cittadine, forniranno anch’essi cavalieri alla Militia Templi. Ne dà conferma l’atto del re Carlo I d’Angiò, datato 20 giugno 1271, con cui si comunica al Baiulo [maggiordomo o scalco di una residenza nobiliare, che si occupava dell’ordine e della pulizia del palazzo, delle provviste e delle cantine NdR] di Barletta che il templare Adriano Ungaro è a Lagopesole, a servizio dello stesso sovrano, per la festa di San Giovanni Battista. Altre nobili famiglie nocerine seguono le orme dei Pagano e degli Ungaro, diventando cavalieri templari. E’ il caso della famiglia Mansi o Manso, originari della costiera amalfitana. Della vicina Amalfi è poi quel Camponello d’Afflitto, signore di Reliegaldo, che gli araldisti segnano come Magister di una domus dei Templari. Probabilmente originario di Nocera è anche quel Guglielmo «de Nozeta», precettore della domus templare «de Brandisi en Polha», cioè Brindisi in Puglia.
Altri indizi che indicano in Nocera l’origine del fondatore dei Templari sono di valenza esoterica. Non dovrebbero essere valutati, ma per un Ordine che, fin dall’inizio, mostra di avere vari livelli iniziatici (cosa che lo perderà e lo porterà al tremendo rogo finale), questi indizi hanno la loro importanza. Nella sua giovinezza il cristianissimo Ugo dei Pagano deve aver molto frequentato la chiesa paleocristiana di Nocera, e restare affascinato dal suo bellissimo battistero centrale dalla perfetta forma ottagonale. E l’ottagono sarà uno degli originari e persistenti simboli esoterici dell’Ordine. Infatti uno dei primi sigilli templari riproduce la pianta del Tempio della Roccia in forma ottagonale. Come di forma ottagonale saranno le cappelle elevate dai Templari in tutta Europa. Anche la «croix pattée» o croce patente del loro stemma [croce araldica i cui bracci vanno allargandosi NdR] riconduce all’ottagono. I suoi vertici infatti coincidono con gli otto vertici dell’ottagono stesso. Croci simili si possono notare raffigurate sulle pareti dello stesso battistero nocerino. Inoltre sul giovane Ugo avrà influito, non poco, quello che sente raccontare a riguardo di certi intrepidi cavalieri di un nuovo ordine (nato prima delle crociate) detto di San Giovanni di Gerusalemme o Giovanniti, i quali sotto la guida dell’amalfitano Gerardo de Saxo (Sasso), intorno all’anno 1099 aiutano e difendono i pellegrini cristiani sulle insicure strade della Palestina. E’ inevitabile che molti militi, cadetti di famiglie nobiliari, si sentano irrimediabilmente attratti. Tra questi certamente Ugo dei Pagano dei Troisi e Goffredo dei conti Aldemaro. Essi a Gerusalemme osserveranno da vicino il modello ospitaliero e militare dei Giovanniti, e penseranno di superarlo in un nuovo ordine di monaci-soldati terrore dei nemici.
A questo punto viene spontaneo domandarsi del perché non si riscontrano documenti coevi nocerini che fanno esplicito riferimento all’Ordine, rivendicandone la fondazione da parte di Ugo dei Pagano. Proprio negli anni della formazione dell’Ordine dei Templari, esattamente nel 1137 Ruggiero il Normanno, conte di Sicilia, rade al suolo l’intero abitato di Nocera, costringendo le superstiti famiglie a riparare nel vicino Apudmontem. Nelle fiamme che consumano la città, vanno in fumo documenti e pergamene, sicuramente preziosi per gli studi che ci riguardano. Ma questo è il male minore. Devastante è la damnatio memoriae, che inflessibilmente ha perseguitato i Templari nell’arco dei secoli, dai roghi del 1314 fino ai nostri giorni, cancellando accuratamente documenti, testimonianze e perfino vestigia murarie che li riguardano. Per la Campania tale persecuzione rasenta l’inverosimile. Ad uno studio superficiale, sembra che non vi siano tracce significative di fondazioni templari, con le eccezioni di quelle di Capua e della vicina Maddaloni. Eppure in Campania i cavalieri rossocrociati avevano i più estesi possedimenti di tutto il regno di Napoli e Sicilia. La distruzione e l’occultamento dei documenti deve essere stata sistematica e capillare. Quale colpa ha commesso questa terra per meritare tale trattamento? Si deve ciò al fatto che qui era la città che ha dato i natali al fondatore della Militiae Templi?
Solo da due antichi documenti vaticani viene qualche sprazzo di luce. Il primo è una bolla di papa Onorio III, datata sede di San Pietro 21 novembre 1216 e indirizzata ai magistri delle domus templari, costituite, tra l’altro, nelle provincie ecclesiastiche di Salerno, Amalfi, Ravello e Sorrento. Il secondo una lettera di papa Clemente V, datata Poitiers 12 agosto 1308, con cui si ordina a vari arcivescovi e vescovi, tra cui quelli di Napoli e Avellino, di recarsi in diverse provincie, comprese Salerno e Amalfi, per mettere in istato di accusa «magister et fratres Militiae Templi». Dunque nelle province ecclesiastiche di Salerno ed Amalfi, e fino ai primi decenni del 1200 anche di Ravello, esistono delle fondazioni templari, quella di Nocera deve essere tra quelle dipendenti da Amalfi. Ma per Nocera lo sradicamento di ogni memoria templare raggiunge il parossismo, tanto che per secoli la Casa dei Pagano evita di rivendicare, ritenendola una grave onta, l’appartenenza al suo ceppo di quell’Ugo fondatore e primo Magister dei Templari. Nel primo decennio del 1300, negli anni culminanti della persecuzione di Santa Romana Chiesa contro il Tempio, accade in Nocera qualcosa di terribilis. Diversi storici hanno avanzato l’ipotesi dell’uccisione di un vescovo, a seguito di un tumulto popolare. Certamente non deve trattarsi del vescovo di Nocera, in quanto quest’ultima città non è più sede vescovile da qualche secolo. Nocera per quel tempo dipende, come visto, dal vescovo di Amalfi. Potrebbe quindi trattarsi dell’uccisione di un vescovo inviato a Nocera per una inquisizione. Ma allora perché non è stata emessa la bolla di scomunica, di regola in simili casi, contro la popolazione e che sarebbe stata illuminante al riguardo? Forse perché quell’inquisizione riguardava i Templari e pertanto tutto doveva restare segreto? Brancoliamo nel buio più assoluto. Un monaco basiliano del 17° secolo ha annotato, a margine di una pergamena nocerina dei primi del Trecento concernente la giurisdizione della chiesa di Amalfi su quella nocerina, la frase «ob nefandum scelus» (cioè «a causa di un delitto nefando»). Intendeva riferirsi, come sembra, a quel delitto maturato nel torbido clima di caccia ai Templari e soprattutto ai loro beni? Per noi resta ancora un enigma, come sempre quando si ha a che fare con i cavalieri rossocrociati.