Pisapia non commemora i repubblichini. No, non è l’ennesimo capitolo dell’ironico tormentone che ha accompagnato la campagna elettorale vincente del sindaco di Milano. È la decisione annunciata da Giuliano Pisapia di non recarsi, nemmeno in forma privata, il prossimo 2 novembre, per la commemorazione dei defunti, al Campo 10 del cimitero maggiore di Milano, dove riposano i combattenti della Repubblica sociale italiana, e di recarsi, invece, al Campo 64, riservato ai caduti della Resistenza.
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di Marco Fraquelli da Lettera43 del 28 ottobre 2011
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ALBERTINI BIPARTISAN. Interrompendo, così, la tradizione della commemorazione bipartisan inaugurata da Gabriele Albertini che aveva, va pur detto, almeno il buon gusto di indossare la fascia tricolore commemorando i partigiani morti per poi togliersela nel Campo 10. Distinguendo la cerimonia istituzionale da quella privata.
Letizia Moratti non ha mai avuto un preciso cerimoniale: se per esempio nel 2006 aveva commemorato solo i partigiani, nel 2007 aveva anche lei scelto la celebrazione bipartisan, ma privata, in entrambi i Campi; chissà, magari in omaggio al padre, che aveva militato da partigiano accanto al monarchico Edgardo Sogno, e al suocero fascista.
OPERAZIONE RICONCILIAZIONE. Naturalmente le iniziative di Albertini e di Moratti non sono state, e non sono, le uniche in Italia. E non è da escludere che siano state concepite nel clima di ambiguità favorito e alimentato da quello strisciante revisionismo storico – mascherato sotto l’espressione buonista di «riconciliazione nazionale» tanto cara alla destra post-fascista – che, non a caso, si è rivitalizzato e ringalluzzito con lo sdoganamento, avvenuto nel 1994 per opera di Silvio Berlusconi, del Msi, prontamente annacquatosi a Fiuggi nella più presentabile Alleanza nazionale.
Le foibe, tra polemiche e altre amnesie storiche
Certo il revisionismo storico italiano non ha, ancora, toccato le vette raggiunte in altri Paesi (se si esclude l’opera, peraltro di indiscusso valore scientifico, di Renzo De Felice, qualificato dal politologo Giorgio Galli, come membro di diritto della “trimurti del revisionismo negativo” comprendente anche Ernst Nolte e François Furet, e contrapposta al campione del revisionismo positivo, lo storico israeliano Zeev Sthernell).LA GIORNATA DEL RICORDO. Ma non mancano episodi significativi e inquietanti. Come la Giornata del ricordo, istituita, grazie alle forti pressioni di Alleanza nazionale, dalla Legge n. 92 del 30 marzo 2004, peraltro sostenuta anche dagli allora capigruppo dei Ds e della Margherita, Luciano Violante e Willer Bordon, con la quale lo Stato italiano ha deciso di commemorare ufficialmente il ricordo della data simbolo del 10 febbraio 1947, legata alla tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata avvenuti alla fine della seconda guerra mondiale, quando l’Istria, Fiume e il territorio di Zara passarono alla Jugoslavia, provocando l’esodo di migliaia di italiani che scelsero la via dell’esilio per fuggire alle repressioni di Tito.
LO STRAPPO DI NAPOLITANO. Dal 2004 a oggi, il giorno del ricordo, ovvero il tema delle foibe, ha suscitato più di una polemica, e più di una controversia, alimentate, per la verità, anche da prese di posizione istituzionali non sempre felici e misurate, come quella del presidente Giorgio Napolitano che, il 10 febbraio 2007, dichiarò che le foibe rappresentarono «un momento di odio, di furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica», suscitando le rimostranze ufficiali del presidente croato Stipe Mesic, e rischiando un vero e proprio incidente diplomatico tra i due Paesi.
IL BALLETTO DEI NUMERI. E ad alimentare la polemica anche la controversa quantificazione del fenomeno (affidata appunto quasi esclusivamente alla storiografia revisionista). Così, per esempio, il senatore Maurizio Gasparri ha potuto tranquillamente parlare, senza essere smentito, di milioni di infoibati, mentre si sa che il numero più realistico (cosa che naturalmente non attenua la gravità del fenomeno) è attorno a qualche migliaio.
VIOLENZE FASCISTE IN SLOVENIA. In ogni caso, il tema delle foibe si è conquistato nell’ultimo decennio una visibilità straordinaria, mentre pressoché dimenticate sono le devastanti violenze dei fascisti e dell’esercito italiano perpetrate ai danni di partigiani e civili sloveni, da cui nacque la altrettanto violenta reazione anti-italiana. Anche in virtù del fatto che nessuno dei protagonisti di quelle violenze fu mai perseguito, disattendendo le aspettative di molti sloveni (ma anche dalmati, croati, istriani) per una Norimberga italiana.
L”ANELLO’ DI ROATTA. Il principale protagonista, per esempio, il generale Mario Roatta, venne sì condannato, ma perché implicato anche nell’omicidio dei fratelli Rosselli, e comunque riuscì a fuggire nella Spagna franchista grazie alla complicità dei Carabinieri e del Vaticano. Ma non solo: amnistiato nel 1946 rientrò in Italia, dove pensò bene di impiantare un servizio segreto clandestino, denominato il Noto servizio – conosciuto anche come “l’Anello” – che, come ha documentato Aldo Giannuli in un recente e bellissimo saggio (Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro) ha attraversato la storia italiana almeno fino ai tardi Anni 70, intrecciando la propria attività con le pagine più nere della storia d’Italia, dal golpe di Junio Valerio Borghese alle principali vicende della strategia della tensione, dalla strage di Piazza Fontana a quella di piazza della Loggia, fino al caso Moro.
RIABILITAZIONE FALLITA. Non è ancora riuscito, invece, l’altro grande tentativo revisionista, ovvero quello di riabilitare appieno i repubblichini. Ci ha provato la destra una prima volta nel 2004, quando il governo presentò un disegno di legge (il n. 2244) che aveva per oggetto il riconoscimento della qualifica di belligeranti delle formazioni armate della Rsi. Ma grazie alla mobilitazione di tutte le forze antifasciste, che poterono avvalersi del supporto giuridico di emerite personalità del diritto come Giovanni Conso e Giuliano Vassalli, il dl fu accantonato.
L’ORDINE TRICOLORE. Un secondo tentativo fu fatto nel 2008, quando un gruppo di deputati della Camera, capitanati dal socialista e pidiellino Lucio Barani, presentò una proposta di legge, la n. 1360, per l’«Istituzione dell’Ordine del Tricolore e l’adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra», con la quale si individuavano, tra gli aventi diritto, anche i combattenti nelle formazioni dell’esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-1945; equiparando di fatto i partigiani con i combattenti della Repubblica di Salò. Anche in questo caso, la mobilitazione popolare e il parere dei giuristi indusse lo stesso Silvio Berlusconi a impegnarsi per il ritiro della proposta. Cosa che avvenne nel 2009. Ma Barani non si diede per vinto, e la ripresentò nel 2010. Al momento senza alcun esito.
Carlucci, Gelmini e la crociata contro «l’istruzione faziosa»
Infine, la questione dei libri di testo: convinti che nelle scuole italiane ci siano libri di storia troppo comunisti, che esaltano figure della Prima Repubblica come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, un gruppo di 18 parlamentari, tra cui Gabriella Carlucci, ha presentato, lo scorso mese di aprile, un disegno di legge per la costituzione di una commissione d’inchiesta sull’imparzialità dei libri di testo scolastici.
RISCHIO INDOTTRINAMENTO. La nota showgirl, non sappiamo se anche grande cultrice di storia, ha spiegò: «C’è da salvaguardare la libertà di insegnamento, un valore sacrosanto, ma c’è anche da salvaguardare il diritto degli studenti a ricevere un’istruzione corretta e non faziosa. Dobbiamo porre fine a questa situazione a dir poco vergognosa. Non si può, ancora oggi in un Paese che tutti definiscono libero, esercitare un indottrinamento del genere. Indottrinamento subdolo e meschino perché diretto a plagiare le giovani generazioni dando insegnamenti attraverso una visione ufficiale della storia e dell’attualità asservita a una parte politica».
LE PROVE PROVATE. Carlucci si è documentata, e cita per esempio La storia di Della Peruta-Chittolini-Capra, edito da Le Monnier, che descrive Togliatti come «un uomo politico intelligente, duttile e capace di ampie visioni generali»; Enrico Berlinguer come «un uomo di profonda onestà morale e intellettuale, misurato e alieno alla retorica»; e, addirittura, e questo è forse troppo, De Gasperi come «uno statista formatosi nel clima della tradizione politica cattolica». E in effetti, come dare torto all’onorevole Carlucci? Sostenere che De Gasperi fosse cattolico è decisamente fazioso e scorretto.
«SOLO LA VERITÀ». Inutile dire che l’iniziativa ha suscitato una levata di scudi da parte delle opposizioni. Ma in soccorso della soubrette-storiografa è intervenuta il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, sostenendo che il problema esiste: «Penso», ha spiegato Gelmini, «che, in generale, nei libri di testo non debba entrare la politica, ma una visione oggettiva dei fatti e soprattutto degli eventi storici. Andrebbero dunque evitate letture interessate di parte e cercare di consentire ai ragazzi di esercitare la propria formazione su libri di testo che siano indipendenti e rispettosi della veridicità storica degli accadimenti».
Insomma, il ministro Gelmini non vuole rivoluzionare la storiografia. La vorrebbe solo un po’ più equilibrata. Più neutra. Speriamo non neutrina.
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Inserito su www.storiainrete.com il 5 novembre 2011