Nel «Periscopio» di Italia Oggi del 18 novembre è stato ripubblicato un brano di Paolo Granzotto apparso su Il Giornale. Granzotto, accostando impropriamente Feltri, che ha involontariamente scritto una cosa non vera e se ne è scusato, a Montanelli,che dichiarò essere preferibile la veridicità alla verità, afferma che i giornalisti, nel 1937, non vollero avallare la sospensione per due anni di Montanelli, accusato di reportage poco patriottici dalla Spagna (punizione che sarebbe stata «inflitta» da non si sa chi) e invece chiesero (astutamente?) che a Indro venisse ritirata la tessera del partito, cosa che rendeva impossibile continuare a fare il giornalista.
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di Serena Gana Cavallo, da Italia Oggi del 23 novembre 2010
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A parte il paradosso per cui questi fieri difensori della categoria avrebbero agito in modo tale da espellerne Montanelli in via definitiva (a Feltri quindi gli è andata bene), è evidente che mai Montanelli, se non reiscrivendosi al partito, avrebbe potuto riprendere la sua carriera giornalistica dopo che fossero passati i «due anni di esilio a Tallin» che, dice sempre Granzotto, dovette trascorrere «per mettere assieme il pranzo con la cena».
Nei fatti, Montanelli dirigeva il locale Istituto italiano di cultura. Naturalmente l’autobiografia e tutte le biografie di Montanelli, e per buona misura anche la breve «biografia ufficiale» che appare sul sito della Fondazione Montanelli Bassi ci dicono in coro che mai più Indro aderì al Pnf e, dato che continuò a fare il giornalista, la cosa non si spiega.
Peraltro la Fondazione riduce il periodo di penosa miseria di Montanelli a circa un anno. In effetti fu ancora meno. E c’è la prova che a Montanelli non fu ritirata la tessera del partito, e ne esiste un’altra che dimostra che restò iscritto almeno fino al 1940.
La prima prova della non espulsione, apparsa in una ricerca sul fascicolo militare di Montanelli sul Mensile Storia in Rete nel settembre 2009, consiste in una lettera che il giornalista, dopo il suo rientro dalla Spagna, inviò al comando militare di Roma, chiedendo copia della documentazione sull’Africa, richiesta «dalla Federazione fascista di Roma per l’aggiornamento della mia cartella personale di fascista».
La seconda prova è riportata a pagina 148 del libro di Gerbi e Liucci, Lo Stregone, Einaudi, 2006, ed è un rapporto dell’Ovra su Montanelli, e il temutissimo servizio segreto interno che afferma che il Montanelli è «iscritto al Pnf dal 21/4/1932». Non risultano né espulsioni né interruzioni del tesseramento. Granzotto potrebbe non sapere di queste due pubblicazioni? Sembra difficile, trattandosi di uno dei biografi del mitico giornalista, ed essendoci stata anche una polemica, sulle pagine del suo giornale, in merito al testo di Storia in Rete. Il guaio è che la verità sulla vita di Montanelli è ormai scritta nella pietra e quindi nulla può essere messo in dubbio o modificato. Secondo la vulgata, Montanelli andò in Spagna per conto del Messaggero, avendo trascorsi i primi mesi dopo il suo rientro dall’Africa a cercare lavoro. Sbagliato anche questo. Montanelli tornò in Italia, con un permesso temporaneo del quotidiano di Asmara per cui scriveva dal dicembre del 1935, con l’impegno di rientrare al più presto, una volta ottenuto il congedo dall’esercito. Continuò ad essere pagato come redattore e a rinviare il ritorno, quando, all’inizio del ’37, in un sussulto di correttezza, scrisse al direttore del giornale, ringraziandolo per la sua generosità e chiedendo di essere pagato da lì in avanti come collaboratore. Montanelli stava male, era in preda al suo primo episodio di depressione, «neurastenia la diagnosi dei medici», ma, appena meglio, sarebbe tornato. L’ultimo pagamento, 5.000 lire, che per l’epoca erano bei soldi, lo ricevette nell’ aprile 1937. Verso la fine del ’36 il padre di Indro aveva scritto al direttore, di cui era amico, che il ministero della cultura aveva proposto al figlio «una missione segreta in Spagna», anche se per il momento la cosa sembrava finita in nulla. Sta di fatto che, quando Montanelli partì, non aveva nessun contratto e successivamente concordò l’invio di articoli col Messaggero. E nel gennaio del ’38 scrisse ancora una volta da Tallin al suo ex direttore, cui nel frattempo aveva dedicato un libro, scusandosi per non averne mandato copia, perché quando era uscito, lui era «a zonzo per la Spagna». Non un cenno ad espulsioni o altro, solo un commento sullo «strano paese popolato di ermellini candidi e donne bionde», e una considerazione: «La vita qui non è precisamente brillante, ma io considero questa pausa come un temporaneo esilio in vista di avventure più ampie.» Col tempo, la visione soggettiva è diventata una verità oggettiva: esilio e «cucire pranzo e cena».
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Inserito su www.storiainrete.com il 29 novembre 2010