Il monumento dei Quattro Mori di Livorno: simbolo di fierezza minacciato dai fondamentalismi

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Di Fabio Figara per www.storiainrete.com del 27 agosto 2025

Quattro uomini nudi e sofferenti, dagli evidenti tratti somatici esotici, soccombono, incatenati, sotto la possente figura di un principe: è il monumento al Granduca Ferdinando I de’ Medici, detto popolarmente dei Quattro Mori, indubbiamente uno dei simboli più conosciuti della città di Livorno. Un complesso scultoreo suddiviso in due parti, eseguite in periodi distanti tra loro, in cui l’effigie marmorea del Granduca, vestito dell’armatura con la croce dei Cavalieri di Santo Stefano, scruta e controlla il mare nell’area del vecchio porto, sovrastando le statue bronzee raffiguranti i quattro prigionieri.

Foto Giovanni Dall’Orto, wikimedia commons

Una rappresentazione artistica di sicuro impatto visivo e propagandistico, da leggere come la vittoriosa lotta del Granducato contro i pirati barbareschi, che ha da sempre sollevato non poche polemiche in quanto interpretata come simbolo di dura repressione, un “monumento alla schiavitù” in una città, peraltro, che proprio sotto Ferdinando aveva conosciuto la libertà, politica, economica e soprattutto religiosa. Infatti, in più occasioni, è stata oggetto di contestazioni da parte di personaggi di spicco del territorio livornese e non solo: è stata teatro di manifestazioni e al centro di proposte per tagliare addirittura le catene dei prigionieri, liberandoli simbolicamente dal pesante giogo mediceo.

I primi furono addirittura i francesi, nel 1799: il generale Sextius Miollis, sbarcato nella città toscana con l’esercito repubblicano, con un bel proclama, ispirato ai principi rivoluzionari, definì il monumento un’ «ingiuria fatta all’Umanità», un «mostro», ordinando l’abbattimento della statua di Ferdinando. Come riporta lo storico livornese Giuseppe Vivoli (vissuto tra il XVIII e il XIX secolo) nella sua Guida di Livorno antico e moderno e dei luoghi più notabili dei suoi contorni, il Miollis ordinò di erigere al posto della scultura marmorea del granduca «in di lei vece quella della Libertà, con ai piedi i quattro vizj, che pretendeva figurare nei quattro mori». Pochi anni più tardi, nel 1814, anche Stendhal, osservando le sculture, ebbe a scrivere in una lettera che il complesso era «una cosa davvero sconveniente», soprattutto perché un «principe» non poteva essere «circondato dall’eterna immagine del dolore». E giusto per giungere più vicini ai nostri tempi, ad esempio, nel 2020, di fronte al monumento venne organizzato un flash mob di solidarietà a seguito della diffusione del movimento “Black Lives Matter”, sviluppatosi dopo la morte del 46enne afroamericano George Floyd, ucciso dai poliziotti durante un arresto, che vide la partecipazione di molti giovani.

Ma anche in questi giorni i Quattro Mori sono stati al centro di uno scontro politico locale che, tuttavia, ha trovato notevole risalto nella stampa nazionale. Nell’ambito di un ripristino urbanistico, infatti, già da decenni le varie amministrazioni progettavano di riportare le mura della Fortezza Vecchia in acqua con uno scavo allo studio da tempo, al fine di renderla come in origine, ovvero come un’isola. Infatti la possente struttura difensiva subì un interramento naturale, a cui seguirono, poco più di un secolo fa, operazioni per tombare la parte nord occidentale, interventi resisi necessari per accogliere lo stoccaggio dei blocchi di marmo provenienti da Carrara. È stato così pubblicato su Start, il Sistema Telematico Acquisti Regionale della Toscana, l’avviso per il primo lotto di oltre 3 milioni di euro per avviare tali lavori. La procedura di gara, gestita dalla Porto Immobiliare S.r.l., vede un impegno per più del 70% a carico dell’Autorità di Sistema portuale, e il restante sostenuto dalla Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno. Nel progetto è prevista un’importante riqualificazione dell’area “Parco Fortezza”, con la realizzazione di quattro nuove statue di bronzo, delle fattezze e dimensioni identiche ai quattro prigionieri barbareschi, ma liberi dalle catene e dediti a leggere un libro, a tuffarsi in acqua o impegnati in altri passatempi.

E ancora una volta la Storia diventa luogo di scontro ma anche di confronto tra le parti sociali: in quest’ultima scelta, infatti, si potrebbe ravvisare un segno dei tempi e delle sensibilità che mutano, oppure una semplice iniziativa dal vago sapore goliardico, in linea con lo spirito livornese; o, ancora, una rilettura ed una reinterpretazione del significato originario dell’opera secondo il fenomeno della cancel culture, in un processo che rischia di snaturare il monumento di piazza Micheli, minando così un simbolo e la storia della città stessa.

Ma come venne avviato il progetto per la statua dedicata al Granduca? L’impegno profuso da Ferdinando I de’ Medici si rivolse ad un totale e costante miglioramento dell’allora borgo di Livorno sin dagli inizi del suo governo, incrementando i traffici marittimi e permettendo un importante sviluppo demografico tramite nuove costruzioni e l’approvazione di una serie di provvedimenti. Per la crescita urbanistica e portuale, Ferdinando impiegò sì forzati, ma anche maestranze specializzate, manovali e contadini provenienti non solo dalla Toscana ma anche dalle zone limitrofe. Il borgo divenne ufficialmente città il 19 marzo 1605 (1606 stile comune) su editto dello stesso Granduca, e fu completamente riqualificato: furono abbattute la maggior parte delle mura e delle strutture medievali (tranne il tratto necessario alla creazione del “Bagno” dei forzati); fu potenziata la rete idrica e ne fu predisposta una fognaria; con la Fortezza Nuova si poteva sorvegliare il tratto di mare in cui attraccavano le navi alla fonda, e dalla Fortezza Vecchia si potevano invece controllare il porticciolo e la nuova darsena. Nel frattempo, per attrarre ulteriori artigiani e commercianti, Ferdinando aveva indetto tre bandi, con varie agevolazioni: con l’ultimo dei quali, emesso nel 1591 e ampliato nel 1593, conosciuto come l’Ecumenico privilegio – e chiamato poi “Livornina” – invitava a Livorno mercanti di «qualsivoglia natione» a cui riconoscere «gratie et privilegi, immunità et essentioni», fossero essi «leuantini, e’ ponentini spagnioli, portoghesi, greci, todeschi, et italiani, hebrei, turchi, e’ mori, armenij, persiani» o «altri»: un documento eccezionale di tolleranza religiosa ed etnica e, conseguentemente, di libertà commerciale per il periodo, proprio nell’età della Controriforma, che poneva una netta separazione tra la sfera d’influenza politica ed economica, appannaggio esclusivo dello Stato, e la sfera spirituale, di pertinenza esclusiva della Chiesa. Franchigie, privilegi, protezione e ampie possibilità di lavoro portarono così a Livorno numerose comunità, chiamate “Nazioni”.

Nel frattempo Ferdinando aveva commissionato allo scultore Giovanni Bandini una statua di marmo che potesse ritrarlo in tutta la sua fierezza, in un più ampio progetto di pura propaganda medicea che prevedeva la realizzazione di opere da esporsi in varie città della Toscana. Il lavoro fu ultimato nel 1599 a Carrara ma, a causa della morte dell’artista, i figli del Bandini trattennero l’opera fino al saldo del compenso, che giunse a destinazione due anni dopo. Purtroppo venne posta da una parte di fronte alla darsena, senza basamento e senza nessun progetto documentato per i Mori, in attesa di essere finalmente innalzata.

La città era anche divenuta luogo di transito delle navi dei Cavalieri di Santo Stefano, la cui sede era a Pisa, e che vantava come altra importante sede Cosmopoli (oggi Portoferraio): quest’ordine venne istituito da Cosimo, padre di Ferdinando, nel 1561, per combattere i pirati provenienti per lo più dalle attuali Algeria e Tunisia, tributarie del più grande Impero ottomano, contro cui venivano ingaggiati continui combattimenti navali che portavano inevitabilmente alla cattura di numerosi schiavi da una parte e dall’altra. A Livorno giunsero così in pochi anni numerosi detenuti mori, tant’è che tra il 1598 e il 1607 l’architetto Alessandro Pieroni dovette realizzare il Bagno per incarcerarli e per utilizzarli come manovalanza. E proprio tra il 1606 e il 1607 è attestata la presenza dello scultore Pietro Tacca, originario di Carrara e allievo del Giambologna, inviato a Livorno per modellare un’opera in cera prendendo come modello un detenuto del Bagno. I motivi che spinsero alla realizzazione delle statue bronzee dei Mori non sono tuttavia facilmente riscontrabili, neanche dallo studio delle fonti, così come spiegato dallo storico livornese Giorgio Mandalis (I Mori e il Granduca: storia di un monumento sconveniente, Livorno, Salomone Belforte & C., 2009): sicuramente il successore di Ferdinando, Cosimo II, ordinò al Tacca di completare l’opera realizzando il basamento, facendo giungere i marmi necessari da Avenza, in modo da far erigere finalmente la statua del padre: ma non è chiaro se impartì anche l’ordine di realizzare i quattro bronzi per ricordare Ferdinando come liberatore dei mari – prendendo ad esempio la coeva statua equestre del Re di Francia, ai cui piedi aveva proprio quattro prigionieri – oppure se fu un suggerimento dello stesso Tacca, forte dell’esperienza nel Bagno. È certo tuttavia che, dopo la morte dello stesso Cosimo II, lo scultore lavorò ai primi due bronzi da porsi anteriormente alla statua di Ferdinando, il «colosso», ispirandosi – scrive padre Santelli, studioso vissuto nel secolo successivo ai fatti – «da certo Turco schiavo, nativo di Algeri, di giovanile età (…) detto “Morgiano”» e da un altro, un «robusto vecchio Saletino detto “Alì”» (originario della città marocchina di Salé). Successivamente furono creati gli altri due, uno di mezz’età e l’altro piuttosto giovane, di cui in realtà la tradizione non riporta alcun nome: tra il 1622 e il 1626 i Quattro Mori erano finalmente al loro posto. Il complesso scultoreo sarebbe poi stato arricchito da alcuni trofei, memoria di quanto sottratto ai pirati, come descritto ancora dal Vivoli: «un manto reale barbaresco», un «turbante, con arco, turcasso e scimitarra, lavorati pure dal Tacca (…) involati dai sedicenti nemici dei Tiranni», ovvero dai francesi nel 1799, o comunque fusi.

Nonostante queste vicissitudini e le continue polemiche, oggi il monumento – restaurato nel 2021 e di cui ricorreranno nel 2026 i quattrocento anni dal completamento – resta intatto e fiero a sorvegliare il mare di Livorno, simbolo indiscusso della città e del suo percorso storico, nella speranza che, come scrive sempre Mandalis (pag. 62), «oltre ad essere difeso dagli agenti inquinanti, non debba essere tutelato anche dai fondamentalismi ideologici».

[foto Giovanni Dall’Orto CC 3.0 sa by]

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