La cancel culture e la ricerca di una “memoria condivisa” (che implica l’autodafé delle posizioni non liberal) minano l’unità del Cile attorno alla sua memoria. Lo racconta Valerio Clari in un’inchiesta su Il Post del 29 ottobre 2024.
Negli ultimi dieci anni, la percentuale di cileni che giustifica la dittatura di Augusto Pinochet è cresciuta dal 16% al 36%, secondo i sondaggi CERC MORI del 2013 e 2023, condotti in occasione del 40º e 50º anniversario del colpo di stato del 1973.
Questo aumento non è un’interpretazione di parte, ma un dato ufficiale che riflette un cambiamento nell’opinione pubblica. Sempre più esponenti della destra cilena, anche moderata, rivendicano apertamente il golpe e il regime militare (1973-1988).
Nel 2023, le commemorazioni per i cinquant’anni del colpo di stato sono state controverse. La destra non ha partecipato, e il governo di sinistra di Gabriel Boric ha ridimensionato i progetti iniziali per evitare tensioni in un contesto politico già agitato, segnato dalle proteste del 2019 e dai falliti tentativi di riformare la Costituzione. In Cile, manca una memoria condivisa su quasi ogni aspetto della storia: dai simboli coloniali, contestati solo da una parte della società, agli eventi fondativi dello Stato, messi in discussione dai discendenti dei popoli nativi come i Mapuche, fino alla dittatura di Pinochet, responsabile di oltre 3.200 morti e gravi violazioni dei diritti umani. Ogni evento storico è interpretato in modi diversi, un fenomeno più evidente in Cile a causa del trauma degli ultimi cinquant’anni.
Il colpo di stato e le macerie della Moneda
L’11 settembre 1973, racconta Clari, i militari presero il potere con un atto drammatico: il bombardamento del palazzo presidenziale, La Moneda. Salvador Allende, presidente socialista eletto democraticamente, morì durante l’assalto, probabilmente suicida. Il palazzo, restaurato nel 1981, portava i segni del bombardamento, le cui macerie sono al centro di una storia simbolica sulla memoria e i crimini contro l’umanità.
Francisco “Pancho” Medina, oggi artista, quindici anni fa scoprì una storia legata a queste macerie. La madre di un’amica, che lavorava in un bar vicino alla Moneda durante la ricostruzione, raccontò che le macerie del palazzo furono scaricate nel fiume Mapocho. Per livellare il terreno della sua casa in un quartiere popolare di Santiago, chiese agli operai di portare alcuni “rifiuti” della Moneda. Nel 2023, Medina, ispirato da questa storia, decise di scavare nel giardino della casa (ora di proprietà di una nipote) per recuperare il “corpo della Moneda”. Con la scrittrice Nona Fernández, la fotografa Paz Errázuriz e l’archeologa Flora Vilches, ottenne fondi per il progetto, nonostante le difficoltà nel comunicare l’idea. Gli archeologi lo avvertirono che non si poteva provare con certezza l’origine dei reperti, ma al terzo scavo trovarono mattonelle compatibili con quelle dei marciapiedi del centro di Santiago e chiodi del XVIII secolo, epoca di costruzione della Moneda.Per Medina, il progetto aveva un intento poetico e politico: recuperare i resti come “prove di un crimine”, richiamando la ricerca dei resti dei desaparecidos da parte delle famiglie, spesso ridotte a seppellire oggetti simbolici. Inoltre, Medina vedeva in queste macerie, interrate in un giardino popolare, il “seme” dell’utopia democratica di Allende, su cui una famiglia umile ha costruito il proprio futuro. I reperti, insieme ad altri trovati in depositi governativi, sono stati esposti al Centro Cultural La Moneda, con poca attenzione in Cile ma maggiore interesse all’estero. Medina è diventato un punto di riferimento per chi ritrova frammenti della Moneda, come balaustre o sottotetti riutilizzati in luoghi come Concepción o un campo da calcetto a Santiago.
La memoria storica e il Museo della Memoria
La questione del patrimonio e della memoria storica in Cile è emersa con forza solo negli ultimi 20-25 anni, dopo la dittatura. Riporta Clari che nel 2010, sotto la presidenza di Michelle Bachelet, fu aperto il Museo della Memoria e dei Diritti Umani a Santiago, che documenta il golpe, la dittatura, le torture, le uccisioni e le violazioni dei diritti umani, concludendo con il referendum del 1988 che pose fine al regime di Pinochet. Il museo non copre gli eventi successivi, come il ruolo di Pinochet come capo delle forze armate fino al 1998 o senatore a vita fino al 2006, né il suo arresto a Londra nel 1998 per iniziativa spagnola, senza processi in Cile.
Il museo è contestato: nel 2015, Mauricio Rojas, allora ministro della Cultura, lo definì una “manipolazione della storia”, dimettendosi dopo le polemiche. La destra sostiene che dovrebbe includere la crisi politica pre-golpe per giustificare il colpo di stato. Nel 2023, il parlamento ha sospeso i finanziamenti diretti al museo, e le scuole dei quartieri conservatori spesso evitano di visitarlo per non alimentare controversie. Paolo Hutter, giornalista italiano testimone del golpe e arrestato all’epoca, nota che il sostegno a Pinochet non è nuovo: nel 1988, il 44% dei cileni votò per prolungare il suo mandato. Dopo un calo negli anni 2000, il consenso è risalito per la persistenza di una forte corrente di destra.
I siti della memoria e le divisioni simboliche
Circa 50 siti della memoria, per lo più a Santiago, ricordano la dittatura, ma la loro istituzione è controversa e i fondi scarseggiano. Il museo dedicato a Violeta Parra, simbolo della cultura cilena, fu danneggiato nel 2019 da un incendio di cause incerte e non è stato restaurato. Nel Cimitero generale di Santiago, le tombe di figure storiche, come militari, colonizzatori o Jaime Guzmán (consigliere di Pinochet ucciso nel 1991), sono state vandalizzate durante le proteste del 2019. La tomba di Allende, invece, è stata deturpata con insulti e scritte pro-Pinochet. Questi atti riflettono una società profondamente divisa, dove nemmeno la condanna delle violazioni dei diritti umani è condivisa.Le proteste del 2019 hanno intensificato la battaglia sui simboli. La statua del generale Manuel Baquedano, figura della guerra del Pacifico ma anche della repressione dei Mapuche, fu vandalizzata ripetutamente. Il governo la rimosse per “restauro” e non l’ha più reinstallata, lasciando un piedistallo vuoto in piazza Baquedano (o Dignidad). I lavori di riqualificazione della piazza sono visti dai movimenti studenteschi come un tentativo di cancellare la memoria delle proteste, anch’esse divisive nonostante la loro ampia partecipazione.
Un simbolo intoccabile
L’unico simbolo che sembra sfuggire alle dispute è la bandiera cilena, esposta ovunque durante le Fiestas Patrias (17-18 settembre) per obbligo di legge, non per spontaneo patriottismo. Questo dettaglio riflette l’assenza di una memoria condivisa in Cile, dove ogni aspetto della storia, dal passato coloniale alla dittatura, rimane oggetto di interpretazioni opposte.