Sul quotidiano online britannico “The Guardian” è stato pubblicato un articolo in cui il giornalista Damien Gayle recensisce Dark Laboratory, un libro dell’autrice Tao Leigh Goffe, professoressa associata di Studi africani, portoricani e latinoamericani presso la City University of New York. La tesi peculiare che la Goffe sostiene è che la crisi climatica sia il risultato diretto della colonizzazione europea, a partire dall’arrivo di Cristoforo Colombo nelle Americhe nel 1492, un evento che avrebbe innescato una serie di conseguenze catastrofiche.
Secondo l’autrice, il collasso climatico è il “figlio mutante” del razzismo scientifico europeo e del colonialismo, nato dalla sofferenza di milioni di africani, asiatici e indigeni americani, sfruttati per l’accumulo di capitale. La crisi climatica, afferma la Goffe, è anche una crisi razziale, e solo riconoscendo questa connessione si potrà trovare una soluzione. “La tesi principale è una sorta di domanda aperta: come possiamo evitare di tradire il futuro?” ha dichiarato l’autrice, sottolineando che il libro è scritto con la convinzione che la “redenzione” sia possibile, ma richieda un’azione collettiva.
La Goffe descrive le isole dei Caraibi come un “laboratorio oscuro” in cui hanno preso forma i desideri e gli esperimenti coloniali, il cuore del mondo globalizzato moderno. Qui, i coloni schiavisti svilupparono le strutture del capitalismo moderno e un metodo scientifico intriso di eugenetica e razzismo, che privilegiava gli uomini bianchi e svalutava le conoscenze indigene e africane. Tra gli esperimenti citati, l’autrice evidenzia l’introduzione dell’agricoltura monoculturale, la distruzione di ecosistemi terrestri e marini, e la classificazione di fauna e razze umane basate su caratteristiche superficiali, pratiche secondo la Goffe “screditate”.
L’approccio coloniale, scrive la Goffe, è stato di saccheggio e devastazione, erodendo il rapporto indigeno con la terra. La studiosa collega direttamente il sistema brutale della schiavitù al degrado ambientale, denunciando un sistema di conoscenza che proietta una logica di proprietà e sfruttamento sulla natura e sugli esseri umani, ridotti a strumenti di profitto.
Nel libro, la Goffe intreccia la sua storia personale – nata a Londra da genitori giamaicani di origini africane e cinesi, cresciuta negli Stati Uniti – con un’analisi storica che attraversa secoli e continenti. Esplora, ad esempio, l’introduzione di lavoratori cinesi sotto contratto nelle piantagioni caraibiche (i sepoy, vedi Storia in Rete n. 119) dopo l’abolizione della schiavitù, un tentativo britannico di salvare l’economia dello zucchero. Paragona questa migrazione forzata all’introduzione della mangusta di Calcutta in Giamaica, mostrando come i coloni applicassero la stessa “pseudoscienza” sia alla fauna che alle persone.
Per smantellare questa eredità, Goffe adotta un approccio multidisciplinare, spaziando dalla storia economica e naturale all’analisi letteraria e culturale. Cita il mito dell’Eden, la nascita della geologia, i testi del cantante reggae Chronixx e la techno di Drexciya, fino alle teorie eugenetiche di Francis Galton. “Questo approccio multisensoriale rende il problema più multidimensionale, non risolvibile solo con leggi o politiche”, spiega l’autrice, immaginando una narrazione globale che coinvolga anche musicisti come King Britt per affrontare la crisi climatica attraverso nuove forme di storytelling.
Nonostante alcune critiche, come quella del New York Times che ha definito il suo lavoro “disorientante” pur riconoscendone l’originalità, Goffe sostiene che proprio le vittime di questa catastrofe – i popoli “vittime di razzismo” e le popolazioni insulari – siano i più qualificati a indicare una via d’uscita. Attraverso incontri con i Maroon della Giamaica e gli indigeni Kalinaga di Dominica, l’autrice ha appreso approcci ecologici alternativi al capitalismo distruttivo. Propone di guardare alle comunità insulari, anche nel Regno Unito, per ripensare il nostro rapporto con l’ambiente, suggerendo che città come Londra o New York si reorientino verso le loro coste grazie alle comunità caraibiche che le abitano.
Dark Laboratory è pubblicato da Hamish Hamilton (Penguin).
Inserito su Storia in Rete il 27 maggio 2025