di Fabio Andriola dalla newsletter “E’ la Storia bellezza” del 17 maggio 2025
Un terremoto politico internazionale si prepara ed ha avuto una scossa d’avvertimento molto forte lo scorso 15 e 16 febbraio quando, da Addis Abeba (Etiopia), la 38ma Assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Unione Africana (nella foto qui sopra) ha proclamato ufficialmente il 2025 anno della “Giustizia per gli africani e le persone afrodiscendenti mediante le riparazioni”. Per gli addetti ai lavori non si è trattato di una sorpresa ma, casomai, di un’accelerazione di un percorso iniziato già da tempo. Come ha ricordato Nicolò Vertecchi sul sito dell’ISPI (Istituto di Studi Politici Internazionali): «Nel contesto africano, le riparazioni per le ingiustizie storiche commesse dalle ex potenze coloniali – in particolare per la schiavitù transatlantica, la colonizzazione e il neocolonialismo tra il XVI e il XX secolo – sono state sostenute da governi e organizzazioni della società civile molto prima della fine della decolonizzazione. Eppure, raramente si sono concretizzate».
Negli ultimi anni, le cose hanno però iniziato a correre: nel febbraio 2023 sempre l’Assemblea dei Capi di Stato e di governo dell’Unione Africana aveva deciso la costituzione di un fronte unico per far avanzare «la causa della giustizia e il versamento di riparazioni agli africani» e di promuovere, nel novembre successivo, una conferenza ad hoc ad Accra (in Ghana). Poi, nel febbraio 2024, sempre l’Unione Africana ha fatto suo il rapporto finale redatto ad Accra e preannunciato che nel 2025 la questione delle riparazioni coloniali e per lo schiavismo sarebbe stata il tema centrale dell’attività dell’Unione. E così è stato.
Nel frattempo, anche in altre zone del mondo le cose si stanno muovendo nella stessa direzione. Ad Accra, ad esempio, erano presenti la presidente del consiglio delle Barbados, Mia Mottley, e Carla Bennett, segretario generale della Comunità Caraibica (CARICOM) che riunisce 21 stati delle Americhe, dei Caraibi e dell’Oceano Atlantico. Caricom, rispetto agli africani, si è mosso con un certo anticipo visto che già nel marzo 2014 ha redatto un documento di rivendicazione nei confronti dei “governi europei” (segnatamente Francia, Gran Bretagna, Spagna e Olanda) nel quale ha sintetizzato in dieci punti le rivendicazioni per una compiuta “giustizia riparativa”: dalle scuse formali a programmi educativi, dall’assistenza sanitaria alla cancellazione del debito e, ovviamente, cospicui pagamenti risarcitori. Secondo il documento dei caraibici, alla fine del periodo coloniale europeo, nella maggior parte dei Caraibi, gli inglesi, in particolare, hanno lasciato le comunità nere e indigene in uno stato generale di analfabetismo: ancora negli anni Sessanta, quando si è attivato il processo di indipendenza, circa il 70% dei neri nelle colonie britanniche era funzionalmente analfabeta. Tutto questo, a giudizio dei governi caraibici (ma, come vedremo, non solo) ha fatto sì che a «generazioni di giovani caraibici è stata negata l’appartenenza e l’accesso alla cultura scientifica e tecnologica che è patrimonio mondiale dei giovani. Il trasferimento tecnologico e la condivisione della scienza per lo sviluppo devono essere parte del Programma di Giustizia Riparatrice del CARICOM».
Mentre gli africani ancora si organizzano, i “caraibici” sono già passati all’azione da tempo. Una prima avvisaglia è arrivata, ad esempio, il 12 ottobre 2023 (giorno scelto non a caso perché è l’anniversario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo) quando il discusso presidente del Venezuela, Nicolás Maduro ha chiesto alla CELAC (la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici) di dar vita ad una “commissione per la verità storica del colonialismo e per la riparazione di tutta l’America latina e caraibica”. Undici mesi dopo c’è stato il duro scontro diplomatico tra Messico e Spagna in occasione dell’insediamento della nuova presidente messicana Claudia Sheinbaum: re Felipe IV non è stato invitato alla cerimonia perché non si è scusato per i danni causati dalla Conquista spagnola del Centro America nel Cinquecento. Per protesta la Spagna non ha mandato nessun membro del governo a presenziare all’evento rendendo così formale e ufficiale lo scontro diplomatico.
Tempo poche settimane e un altro sovrano europeo ha dovuto sorbirsi le rivendicazioni delle ex colonie del suo regno. A fine ottobre 2024, in occasione del Commonwealth Heads of Government Meeting (Chogm), tenutosi sull’isola Samoa, nel Pacifico, re Carlo III d’Inghilterra e il primo ministro britannico, Keir Starmer, hanno avuto pressioni da alcuni leader, specialmente quelli caraibici, affinché si affrontasse il tema delle compensazioni per la schiavitù. Tema sul quale i caraibici si son fatti anche due conti concludendo che per rimettere le cose a posto, Londra dovrebbe sborsare circa 18 mila miliardi di sterline. Una somma favolosa e tra poco vedremo come si arriva, in questo e altri casi, a cifre del genere.Iscritto
Ma i guai per gli inglesi non sono finiti anche perché, come si è detto, le loro ex colonie stanno iniziando a coordinarsi. La riprova la dà il fatto che, negli stessi giorni in cui i paesi caraibici del Commonwealth battevano cassa alle Samoa, in Africa il presidente dello Zimbabwe (la ex Rhodesia) Emmerson Mnangagwa ha avviato uno studio accademico sull’impatto del colonialismo sul paese africano, che culminerà in una richiesta di risarcimento da parte dell’ex potenza coloniale britannica. Mnangagwa, prima di parlare ha riflettuto bene ed ha affermato che l’analisi sulle ingiustizie coloniali riguarderà un periodo preciso: dal 1890 al 1980, anno in cui lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza (con conseguente bagno di sangue verso la popolazione bianca ed esproprio di tutte le aziende agricole presenti nel paese). Il professore di Politica Mondiale presso la School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra, Stephen Chan, recentemente espulso dallo Zimbabwe, ha affermato che l’iniziativa fa parte di una politica estera retorica che non porterà da nessuna parte anche perché «la Gran Bretagna non ha mai governato direttamente la Rhodesia per gran parte del XX secolo. Oltretutto, si possono considerare i 2.000 sequestri di fattorie come riparazioni per le politiche di quello che è stato essenzialmente un governo bianco autonomo, spesso in polemica con Londra. La Gran Bretagna potrebbe, a un certo punto, anche affermare che allora dovrebbero essere presi in considerazione anche i milioni di aiuti esteri arrivato nel tempo».
Il copione insomma è sempre lo stesso e ogni considerazione di tipo storico finisce comunque per portare a discorsi molto pratici: ai soldi chiesti, a quelli già dati, a quelli che si è disposti concretamente ad accettare o dare… Dietro ogni richiesta, anche quelle più inverosimili, ci sono calcoli accurati, fatti da gruppi di studiosi, avvocati e giuristi, statistici, storici e chissà chi altro. Ad esempio, i soliti caraibici si sono rivolti – tramite il giudice Patrick Robinson della Corte Internazionale di Giustizia, cittadino giamaicano – al Brattle Group di Boston, un colosso internazionale nel settore della consulenza legale e finanziaria. Con l’aiuto del Brattle Group in occasione di un simposio organizzato dall’Università delle Indie Occidentali (Barbados-Giamaica) – Reparations under International Law for Enslavement of African Persons in the Americas and the Caribbean – l’8-9 febbraio 2023 è stato presentato un dettagliato rapporto che descrive il quadro economico utile al calcolo dei risarcimenti per le violazioni del diritto internazionale relative alla schiavitù transatlantica. La cifra finale è roba da Star Wars: un importo compreso tra 100 e 131 trilioni di dollari. Poiché un trillione corrisponde a mille miliardi, 100 trillioni sono centomila miliardi di dollari. Il che fa supporre che i 18 mila miliardi di sterline chiesti all’Inghilterra siano solo una minima parte di quello che l’Occidente dovrebbe sborsare…
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