Gibilterra è la ferita ancora sanguinante tra Spagna e Regno Unito. La Brexit ha complicato la vita quotidiana sulla frontiera, ma UE, Madrid e Londra dovrebbero essere vicini a un accordo
Dalla newsletter cosedispagna del 3 giugno 2024
Questa è cosedispagna, una newsletter di cadenza settimanale in cui racconto la Spagna che mi colpisce e che difficilmente trova posto sui media italiani. Oggi vi racconto dell’accordo che Unione Europea, Regno Unito e Spagna stanno negoziando per una delle due frontiere terrestri rimaste tra UE e UK dopo la Brexit, quella di Gibilterra. Tra nazionalismi, rancori storici e sguardi al futuro, la soluzione dovrebbe essere vicina.
Spagna e Regno Unito: un accordo per Gibilterra, again
Nell’eterna competizione con il Regno Unito, un tempo rivale per il controllo dei mari e delle colonie americane, c’è una ferita ancora sanguinante per gli spagnoli. Gibilterra, ceduta con il Trattato di Utrecht (1713), al termine della Guerra di Successione spagnola. È in Andalusia, in una posizione strategica per controllare lo Stretto che porta il suo nome ed è caratterizzata da una Rocca visibile da grande distanza. Gli spagnoli rivendicano il ritorno del Peñón sotto la loro sovranità, i britannici non ci pensano neanche a cederlo, forti del fatto che i residenti, i gibraltareños, sono felici sotto Sua Maestà re Carlo III e non intendono cambiare bandiera. Fatto sta che ogni dimostrazione di potere del Regno Unito, tipo la partenza della luna di miele di Carlo e Diana da Gibilterra o una visita di qualche membro della Famiglia Reale, suscita una reazione a Madrid, tipo che Juan Carlos e Sofia non partecipano, sebbene invitati, al matrimonio dei suddetti (stiamo parlando del 1981, ma certe regole sono ancora valide).

Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, Gibilterra è con l’Irlanda del Nord l’unico territorio che ha confine terrestre con un Paese della UE, la Spagna in questo caso. I due Governi e l’Unione stanno quindi preparando un accordo che permetta vita quotidiana e scambi tra Gibilterra e la circostante Andalusia. La formula del negoziato è a quattro: Londra e Bruxelles, con Madrid e Gibilterra. La scelta del Regno Unito di un’uscita dura dall’Unione Europea, ovvero senza accordi, non solo ha enormemente danneggiato l’economia britannica, ma ha messo in difficoltà anche le frontiere, un tempo più permeabili. A Gibilterra lavorano quotidianamente migliaia di andalusi, residenti nella vicina La Línea e la cui vita è stata complicata dalla Brexit.
Nei negoziati entrano soprattutto i controlli alla frontiera, compresi porto e aeroporto. I britannici rifiutano che i controlli siano affidati agli spagnoli, perché pensano sarebbe una cessione della propria sovranità sul Pennone, per cui sul tavolo c’è la proposta che se ne occupi per quattro anni Frontex, l’agenzia europea dei controlli di frontiera. A loro volta, gli spagnoli vogliono un uso comune dell’aeroporto del Peñón, in modo che se ne possa beneficiare anche quel tratto di Andalusia, al termine occidentale della Costa del Sol, ma i britannici si rifiutano, sempre nel nome della sovranità. Il problema è che l’aeroporto è costruito su un territorio che la Spagna non ha ceduto al Regno Unito con il Trattato di Utrecht, ma che è stato occupato dai britannici all’inizio del XIX secolo, durante un’epidemia di febbre gialla. Sembra curioso far riferimento a un trattato di 300 anni fa, per risolvere questioni del XXI secolo, ma quando si tratta di Gibilterra si controllano anche le virgole di quell’accordo del XVIII secolo. E gli spagnoli rivendicano il territorio su cui si trova l’aeroporto.
Nei negoziati in corso si è fatta sentire giustamente anche l’Andalusia, il cui presidente conservatore Juanma Moreno ha chiesto non sia permesso “un paradiso fiscale in territorio andaluso“. Il presidente della Junta rivendica il suo posto al tavolo dei negoziati: se c’è anche Gibilterra, perché non dev’esserci Siviglia? E fa presente che “il problema di Gibilterra non è solo togliere una frontiera o usare insieme l’aeroporto“, ma è soprattutto il regime fiscale speciale, che ha creato una forte differenza tra i redditi dei due lati del confine. “Vogliamo che la breccia che c’è oggi, 11mila euro pro capite all’anno per i residenti de La Línea e 90mila per un gibraltareño, sia superata e per questo bisogna mettere fine al paradiso fiscale“. E come fare, se Gibilterra è il motore economico di un’area depressa?
Sono tanti i temi sul tavolo del negoziato, rimasto paralizzato dopo che il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha anticipato le elezioni al 4 luglio. Le tre capitali manifestano ottimismo, perché i tecnici continuano a lavorare all’accordo. Lo stesso Fabián Picardo, Primo Ministro di Gibilterra, ha detto ai media che “se i tecnici ci dicessero ‘Guardate, crediamo di aver risolto alcune delle questioni sul tavolo, queste sono le soluzioni’ e fossero accettabili a livello politico, sarebbe possibile annunciare l’accordo anche in questo periodo“. Il clima resta insomma propositivo, mentre il Peñón e l’Andalusia aspettano il nuovo modus vivendi, quattro anni dopo la Brexit.