Ventuno anni fa, dopo sei decenni di silenzi imbarazzati e mistificazioni a tutti i livelli culturali del paese, ai trecentomila esuli giuliano-dalmati, i loro discendenti e tutti coloro che nel nome dell’Italia hanno condiviso il loro dolore è stato finalmente riconosciuto dalla Repubblica italiana il diritto a un pubblico riconoscimento. La legge del Ricordo faceva uscire dalle foibe della storia la storia delle foibe, insieme a quella dell’esilio e della perdita di terre latine da 20 secoli. Dalle foibe della storia però usciva anche la cattiva coscienza di chi per sessant’anni aveva fatto da “tappo” a quel pozzo dal quale ora prepotentemente usciva la verità.
A distanza di oltre 20 anni da quella legge, la cattiva coscienza di chi è nostalgico delle foibe e delle stelle rosse si sfoga col rancore, i vandalismi, l’offesa alla memoria nazionale. Se le lapidi vengono spaccate e i monumenti nazionali imbrattati da scritte in sloveno, sui social è un profluvio di semicolti (fra cui diversi cattedratici) che aggiustandosi l’occhialetto da intellò dichiarano il 10 febbraio una “versione neofascista” o direttamente “buffonata nazifascista”.
La logica dietro questi sfoghi da frustrati è nell’inversione logica di causa ed effetto e in quell'”etica delle intenzioni” (termine che ancora una volta rubo ad Adriano Scianca e Guido Taietti) che oggi costituisce la spina dorsale dell’ideologia liberal. Costoro, infatti, sono passati dalla granitica capacità ragionativa delle elite comuniste educate alla scuola di marxismo-leninismo alle Frattocchie al “gni gni gni” da social nel quale la progressività del fine (secondo loro) è automatica giustificazione di ciò che l’ha preceduto. E viceversa. In altre parole, se i partigiani erano buoni, anche se hanno ammazzato qualcuno l’hanno fatto a fin di bene; se il fascismo è il Male Assoluto™®© anche se ha fatto cose buone erano cose malvagie. E via discorrendo con i combinati disposti delle due cose.
L’evidente rozzezza intellettuale di queste categorie ragionative è disarmante. E’ la logica del buonavoglia che vede una svastica su un muro e la contro-scarabocchia, le guardie lo pizzicano e lo multano per vandalismo e la sua giustificazione è che stava imbrattando una svastica. Il gesto vandalico, dunque, sarebbe giustificato dall’evidente malvagità di quel simbolo scarabocchiato su un muro. E sui social si scatenano i benpensanti arrivando perfino a falsificare la notizia iniziale (da imbrattatore, il multato viene spacciato per uno che stava “ripulendo il muro”) così da far passare una narrazione da dittatura orwelliana dove è lecito disegnare svastiche sui muri ma se provi a cancellarle arriva il regime a reprimerti. L’adagio popolare “due errori non fanno una cosa giusta”, non pervenuto.
Questo sistema di pensiero viene ormai applicato a qualunque ambito, fra questi il problema storico delle vicende giuliano-dalmate nel XX secolo.
La categoria storica (o sarebbe meglio anti-storica) del Male Assoluto™®© viene creata in Italia pochi mesi prima dell’approvazione della Legge del Ricordo. Era il novembre del 2003 e l’allora capo del principale partito della destra italiana – forse pensando d’essere Enrico di Navarra – ritiene necessario fare un virtue signaling clamoroso nel tentativo (vano) di troncare, abiurare, ripudiare e detestare ogni relazione fra la sua formazione e il Fascismo. Così come l’apertura di Berlusconi al MSI nel 1993 aveva “sdoganato” il neo-fascismo fino ad allora relegato fuori dall’arco costituzionale e dal dibattito mainstream, così questa improvvisa svolta aveva “sdoganato” una categoria rozza, manichea e indisponibile a qualunque ragionamento scientifico. Se il Fascismo era il Male Assoluto™®© non valeva la pena di discuterne, approfondirlo, comprenderlo. Occorreva solo abiurarlo, ripudiarlo e detestarlo.
Del resto, uscito di scena il Bene Assoluto™®© del Comunismo col quale ogni nefandezza del XX secolo poteva essere assolta, derubricata a danno collaterale o inevitabile, deprecabile ma scusabile, la nuova intellighenzia liberal, nell’epoca del politicamente corretto creata a inizio millennio nei salotti dem e labour dell’anglosfera, aveva bisogno di nuovi miti, un nuovo pensiero magico sul quale fare affidamento. In Italia è diventato il mito del Male Assoluto™®©.
Non è dunque casuale che dopo decenni di negazionismo, di fronte all’evidente fallimento dell'”operazione foibe” sulla verità storica, la nuova parola d’ordine fosse diventata quella di giustificare l’azione dei partigiani titini (e loro complici) attraverso l’ingigantimento della relazione fra essa e la guerra mossa dall’Italia fascista alla Jugoslavia e ancor prima alla snazionalizzazione operata dal regime sulle popolazioni slave della Venezia Giulia. Alle sofferenze patite dagli italiani fra 1943 e 1954 occorreva innanzitutto opporre quelle degli slavi, rimarcando come essendo quelle “di stampo fascista” fossero anche “più gravi”. I giuliano-dalmati, in sostanza, se l’erano cercata, se la meritavano o – nella migliore delle ipotesi – pagavano loro la “colpa collettiva” degli italiani per essere stati fascisti.
L’impiego della categoria del Male Assoluto™®© impedisce qualunque ragionamento razionale. Se fino a un decennio fa i manipoli di negazionisti ancora cercavano di dimostrare che gli infoibati erano stati “poche centinaia” e quasi tutti “criminali fascisti” oggi la narrazione ha assunto un’altra veste: non c’importa se gli infoibati (o deportati, o liquidati in altre maniere) erano mille, diecimila o ventimila, tanto è colpa del Fascismo. Lo sfregio dell’8 febbraio scorso a Basovizza ha dunque questo retropensiero: “siamo contenti che in questo pozzo ci siano 300 metri cubi di cadaveri: se erano fascisti se lo meritavano, se non lo erano ci sono finiti per colpa dei fascisti” [segue foto rovesciata di 180°. Tutti ridono. Sipario].
A livello storiografico questo becerume-intellò è spalleggiato da case editrici importati – non più solo locali – e da una schiera di autori, anche cattedratici, che hanno fatto dell’ignorazionismo la loro prassi. Lavorando a tesi e con lo scopo di confezionare una narrazione coerente con l’idea di Male Assoluto™®© che tutto giustifica e tutto assolve, gli ignorazionisti apparecchiano un racconto da fare invidia alla BBC o all’Ordenspalais del tempo di guerra, ingigantendo degli episodi oppure ignorandone completamente altri. La narrazione, in ogni caso, ha solo lo scopo di fornire un alibi para-intellettuale alle loro posizioni, poiché l’intelaiatura alla base nonché l’uscita d’emergenza da ogni contestazione nel merito è sempre l’invocazione del Male Assoluto™®© come formula magica. Secondo la prassi wokeista, che in Europa pare ancora dura a morire, ogni contestazione può essere rintuzzata invocando tutta una serie di variazioni sul tema del “I’m offended” con il quale si tronca la discussione quando piglia una piega scomoda (cioè sempre).
Nell’impossibilità dunque di poter discutere con gli ignorazionisti, che fuggono da ogni confronto come il diavolo dall’acquasanta, forniamo qui un piccolo vademecum in 8 punti sulla questione giuliano-dalmata, le foibe e l’esodo, a mo’ di catechismo, utile per discutere con coloro i quali non hanno ancora portato il cervello all’ammasso e possono essere salvati dall’indottrinamento.
1 – Le foibe non furono una reazione al Fascismo
L’operazione di snazionalizzazione e sostituzione etnica degli italiani in Venezia Giulia e Dalmazia era iniziata già nella seconda metà dell’Ottocento, quando la dirigenza asburgica (il Kaiser primo fra tutti) promette a croati e sloveni la testa degli italiani in cambio del loro abbandono degli ideali mazziniani-risorgimentali di indipendenza per tornare leali sudditi della Duplice. Se gli italiani non erano più domabili dal bastone tedesco, ci avrebbero pensato gli slavi a cacciarli via, demograficamente e attraverso la burocrazia imperiale.
2 – L’inimicizia fra slavi e italiani non inizia con l’incendio dell’hotel Balkan da parte degli squadristi, nel 1920
Scontri e aggressioni da parte slava verso gli italiani si erano susseguiti dalla seconda metà dell’Ottocento. L’azione squadrista al Balkan – sede peraltro di attività spionistiche e terroristiche anti-italiane – è del tutto paragonabile a quello che accadde alla sede de “il Piccolo” all’indomani della dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria. Eppure quell’episodio (insieme a tante altre violenze anti-italiane) è completamente rimosso dalla narrazione.
3 – L’opera di snazionalizzazione degli slavi da parte fascista non fu la causa delle violenze a guerra finita
Al di là della reale durezza con la quale il Fascismo cercò di assimilare gli slavi, perseguendo fuori tempo massimo una tendenza dei secoli passati e ormai terminata, la sproporzione della brutalità con cui vennero trattati gli italiani nel 1943 e poi nel 1945-47 rispetto a essa è evidente. Vale inoltre la pena notare che le stesse politiche erano attuate in moltissimi altri contesti, per esempio dai francesi in Alsazia-Lorena contro i tedeschi (e lo sarebbero state contro gli italiani a Briga e Tenda nel secondo dopoguerra) e dagli stessi jugoslavi nei confronti delle tante minoranze nel paese. La contro/reazione, se così vogliamo chiamarla, fu tuttavia relativa alle usanze locali e non alla snazionalizzazione usata contro di essi.
4 – Non esiste alcuna specificità storica dell'”imperialismo italiano”
Quello fra Italia e Jugoslavia per il controllo delle regioni orientali del nostro paese – Venezia Giulia e Dalmazia – è stato un banalissimo scontro di imperialismi uguali e contrari fra loro, nel quale ha trionfato la seconda, nelle sua declinazione titino-comunista, dispiegando peraltro una violenza e una spregiudicatezza totalmente fuori portata degli stomaci dei più duri fra gli esponenti della classe dirigente italiana. Non vi è alcuna specificità storica nel nostro imperialismo, portato avanti tanto dai governi liberali quanto da quello fascista, rispetto a qualsiasi altro imperialismo del suo tempo, compresi quelli di altre nazioni all’epoca già democratiche.
5 – La verità sull’aggressione italiana alla Jugoslavia
Il 25 marzo 1941 il legittimo governo di Belgrado, immediatamente dopo aver firmato l’adesione al Tripartito, venne rovesciato da un golpe orchestrato dai britannici. I golpisti iniziarono immediatamente a minacciare l’Italia di attacco preventivo in Albania (l’Italia era impegnata sul fronte greco, e un attacco sul retro del proprio schieramento sarebbe stato micidiale). Per evitare l’irreparabile e cercare di evitare l’invasione tedesca, che un furibondo Hitler aveva già ordinato e che non era gradita a Roma in quel momento, la diplomazia italiana e quella ungherese erano le uniche due a cercare di trovare una soluzione negoziale. Nel frattempo a soffiare sul fuoco sono proprio i britannici assieme agli americani, con promesse favolose di aiuti diretti in caso di attacco jugoslavo all’Italia, e i sovietici, che con somma perfidia prima avevano promesso a Belgrado un patto di mutua difesa, poi ritirando l’offerta e informandone Ribbentrop a Berlino… L’invasione dell’Asse è dunque la logica conseguenza di azioni volute dai golpisti di Belgrado, peraltro accolta da quasi tutti i popoli jugoslavi, tranne i serbi, come una “liberazione”.
6 – L’occupazione italiana della Jugoslavia: oggi lo chiameremmo peace keeping
Il Regio Esercito passò nel 1941 da forza di “liberazione” a forza di “occupazione” nel giro di pochi mesi, complice una serie d’errori diplomatici delle nostre classi dirigenti, della guerra etnica scatenata dagli ustascia croati (fuori dal controllo italiano) e della guerra civile ordinata dal Comintern dopo l’avvio dell’Operazione Barbarossa in Russia (prima i comunisti avevano avuto ordine di non infastidire l’Asse, alleata ancora di Stalin). I metodi barbarici e disumani usati nei Balcani spinsero gli italiani a reazioni spesso spietate ed è indubbio che molte migliaia di persone soffrirono e furono uccise dai nostri soldati. E’ altrettanto vero però un dato: che le aree occupate dal Regio Esercito, a differenza di quelle sotto i tedeschi o gli ustascia o – dopo la guerra – di quelle occupate dai comunisti di Tito, divennero luogo di rifugio e non di fuga delle popolazioni civili.
7 – La guerra civile jugoslava sarebbe scoppiata comunque, con o senza invasione dell’Asse
La violenza spaventosa, tanto da lasciare esterrefatti i nostri funzionari nei Balcani, dispiegata dalle diverse fazioni inter-jugoslave dopo il crollo del regime golpista nell’aprile 1941 non esce come Atena in armi dalla testa di Zeus. Basta leggere qualche scritto di Tito degli anni Venti per capire come per la Jugoslavia questo bagno di sangue non fosse affatto evitabile. L’unica cosa incerta era il “quando”. Non esiste che una e una sola relazione fra la guerra portata dall’Asse contro la Jugoslavia e la successiva violenza scatenata da tutte le sue fazioni, l’una contro l’altra: quella di aver determinato il “quando” e stabilito una data certa all’inevitabile. Un “inevitabile” che si è ripetuto anche alla fine del XX secolo, quando a far collassare la Jugoslavia precipitandola in una serie di guerre civili fu la fine della dittatura comunista e l’arrivo di “democrazia” e “autodeterminazione dei popoli”. Tutte cose bellissime secondo l’etica oggi più à la page. Ma che hanno fatto esplodere la polveriera jugoslava esattamente come l’entrata delle truci armate dell’Asse il 6 aprile 1941.
8 – Le violenze commesse durante l’occupazione italiana non sono paragonabili a quelle commesse dai titini
La differenza essenziale è che le prime, per quanto deprecabili e in certi casi perfino ascrivibili a crimini di guerra, avvennero in un contesto di guerriglia e guerra civile asimmetrica, come rappresaglia immediata per atrocità subite dai nostri soldati e comunque su popolazioni per lo più in armi contro gli italiani. Le violenze scatenate dai titini sugli italiani in Dalmazia e in Venezia Giulia avvennero su popolazioni inermi, che si erano arrese o comunque disarmate. Se le prime erano condotte a scopo di rappresaglia – fattispecie brutale ma prevista dagli usi di guerra del tempo allo scopo di tenere la guerra a una questione fra eserciti e combattenti legittimi – le altre vennero perpetrate per vendette etniche, personali e ideologiche e poi per decapitare la classe dirigente italiana e terrorizzare il resto della popolazione affinché si sottomettesse al nuovo regime comunista.
9 – Il Partito comunista italiano fu complice delle atrocità jugoslave
Non esiste alcun dubbio sulla complicità del PCI di Togliatti con Tito. I comunisti italiani appoggiarono senza riserve le rivendicazioni territoriali jugoslave, addirittura sottomettendosi al PCJ nelle aree bramate da Belgrado, fornirono alla polizia jugoslava liste di nomi da liquidare, parteciparono essi stessi all’eliminazione di italiani fra cui numerosi membri non comunisti del CLN. Sul fronte interno attaccarono gli esuli, con comportamenti bestiali (come il famigerato latte per i bambini dei profughi rovesciato sulle rotaie) e campagne di demonizzazione. Naturalmente tutto ciò sarebbe perfettamente legittimo in un’ottica ideologica in cui la categoria dell’adesione al Comunismo risulti più importante di quella nazionale, com’è stato nel secondo dopoguerra. E’ però del tutto inammissibile oggi, in un contesto in cui la lealtà alla bandiera è considerato un valore condiviso. Inoltre non si può non sottolineare la profonda e perfida ipocrisia dell’agitare contemporaneamente la bandiera italiana, come fanno talune associazioni, mentre si glorifica il tradimento e l’intelligenza col nemico.
10 – Nel dopoguerra venne avviata una vera e propria amnesia di massa
Nel cercare di far dimenticare al più presto agli italiani d’essere stati sconfitti in guerra, tanto la DC quanto il PCI – per scopi differenti – cancellarono dal dibattito pubblico la questione della Venezia Giulia perduta. Dopo il 1954, col ritorno di Trieste all’Italia, la questione venne dichiarata chiusa, tanto per gli interessi commerciali italiani verso la Jugoslavia, che diventava uno dei principali partner economici del nostro paese, quanto per la cattiva coscienza di chi aveva apertamente appoggiato l’annessionismo di Belgrado contro l’Italia. L’argomento rimase relegato a tema “di destra” e “da neofascisti” e tale è rimasto oggi nella mentalità di tanti, che continuano a considerare, infatti, il 10 febbraio e la memoria di esodo e foibe come qualcosa di ideologico.
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Conclusioni
Non sfugga al lettore che punto per punto, tutti gli argomenti sommariamente elencati sopra possono essere annullati semplicemente facendo ricorso alla categoria del Male Assoluto™®©. Perfino il punto 1 – che riguarda fatti di gran lunga precedenti al Fascismo – è stato in certi casi declinato come una sorta di pre-fascismo, da inserirsi nella macro-categoria dell'”ur-fascismo” inventata da Umberto Eco, in cui pressoché ogni ambito sgradito alla sinistra liberal può essere incasellato.
Nel punto 2 si dirà che l’assalto squadrista al Balkan, in quanto portato dai fascisti, è sicuramente peggiore dell’analoga azione slava contro “il Piccolo”, al punto 3 si ribatterà che il Fascismo aveva in sé i “germi del genocidio” e sarà del tutto inutile far notare come anche l’attuale regime ucraino sta tuttora applicando con i russofoni provvedimenti di snazionalizzazione estremamente più rigidi di quelli fascisti in Venezia Giulia, senza che ciò impedisca alle democrazie europee di continuare a supportarlo.
Gli argomenti sono i medesimi sui punti successivi. A nulla rileva che la Jugoslavia venne letteralmente spinta in guerra dalle potenze alleate (compresi gli USA, formalmente ancora non belligeranti) e dall’URSS, nella chiara speranza di far esplodere una polveriera nel cuore dell’Europa tedesca. A nulla rileva che l’unica nazione a cercare d’evitare la guerra – certo, per motivi di convenienza e non umanitari, beninteso – fosse stata l’Italia, come dimostrano le carte diplomatiche conservate alla Farnesina. Non importa che il Regio Esercito abbia agito per due anni e mezzo come vera e propria forza di interposizione ante litteram fra fazioni slave impegnate a massacrarsi a vicenda, perdendo molti più soldati (circa il doppio) di quante vittime abbia procurato nelle pur dure rappresaglie. L’aggressione italiana fu una “aggressione fascista” e l’occupazione una “occupazione fascista”, aggettivo che evidentemente a parità di vittime provocate risulta essere peggiore di quelle effettuate da qualsiasi altra potenza, che sia l’URSS, gli Stati Uniti oppure gli stessi jugoslavi gli uni contro gli altri armati. Quasi che il morto provocato da una pallottola fascista fosse più morto di un vietnamita freddato da un G.I. a My Lai o di un cetnico infoibato con tutta la famiglia in una fossa comune a Bleiburg.
E così via. Le stesse argomentazioni vengono tirate fuori su ogni altro punto. Fa specie notare come coloro che si sbracciano per sottolineare a ogni pie sospinto la retorica della “complessità” e delle “più complesse vicende” della Venezia Giulia siano poi i fautori di una spietata semplificazione fino ai livelli di rozzezza intellettuale che abbiamo visto. Non ha alcun valore per loro che un modello interpretativo e narrativo dei fatti storici sia vicino alla realtà e tenga conto di tutti gli elementi fattuali, categoriali e documentali in nostro possesso. Se esso è “la versione neofascista” è il male di per se stesso. Chesterton vai a farti una passeggiata perché al tuo “fuochi verranno accesi, spade verranno sguainate” c’è già una risposta: se c’è il Male Assoluto™®© di mezzo fai una fatica inutile, con loro.
La realtà è che i nemici del Giorno del Ricordo, col loro corteo di intellettuali ignorazionisti, hanno il terrore nero di ciò che quella “complessa vicenda” può insegnarci. Per esempio, che non esistono “buoni” e “cattivi” così rigidamente divisi come sulla lavagna della III elementare. O che un popolo che non può difendersi da un invasore più forte e più feroce ne finisce preda e non gli resta scelta fra la sottomissione o lo sterminio e l’esilio: una lezione che oggi, con l’afflusso di milioni di immigrati – maschi, giovani e cresciuti in culture con un rapporto diametralmente opposto con la forza bruta, la violenza e la crudeltà – verso un’Europa vecchia, infiacchita, imbelle, dovrebbe far tremare le vene e i polsi a qualunque persona dotata di raziocinio. O ancora, che quello della Patria e della libertà sono valori per il quale centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato tutto per non privarsene, e – ancor di più – che l’una e l’altra non possono esistere separati, come già 180 anni fa aveva spiegato Giuseppe Mazzini: “Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell’umanità”.
Sissignore: i nemici del Giorno del Ricordo continuano a ripeterci la favoletta che i partigiani comunisti erano I Buoni Assoluti™®© che facevano giustizia del Male Assoluto™®©, continuano a ripeterci che tutti i popoli sono amici e si tendono la mano fra loro cantando “Imagine” e che tutto sommato è una bella cosa, essere i bastardi dell’umanità.